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L’Isola dei due Pd: chi ci mette il cuore, chi si volta indietro

di Alessandro Russo il . Calabria

Il Pd allo sbando una volta tanto ha l’occasione di dire con chiarezza da che parte sta. Il problema non sono le chiacchiere – tante qui in Calabria – ma i fatti: pochi o inesistenti, fino a oggi. Soprattutto a Isola di Capo Rizzuto, uno di quegli avamposti dove più forte è la presenza della ’ndrangheta.
E dove il simbolo del Pd non è presente alle elezioni, nonostante l’amministrazione uscente, quella guidata da Carolina Girasole, sia stata portata dal Pd nazionale come esempio da seguire in tutta Italia. Solo qualche giorno fa, a dimostrazione di quanto il clima da queste parti sia infuocato, due esponenti del centrodestra hanno subito gravissime intimidazioni con l’incendio degli appartamenti estivi.

Intimidazioni che nel corso di questi anni hanno interessato anche esponenti dell’amministrazione di centrosinistra e la stessa Carolina Girasole, con tanto di auto bruciate e minacce continue e costanti. Insomma, qui la ‘ndrangheta sta con il fiato sul collo alla politica: eppure qui il Pd ancora non è stato in grado di dire con chi sta. Non sa dire se esiste. Se ha una posizione qualunque. Gli evanescenti organismi dirigenti regionali comunicano su tutto, si accapigliano sulla data dei congressi, inondano le redazioni di comunicati sul nulla, ma non sono in grado di prendere un briciolo di posizione sulle elezioni amministrative in uno dei comuni più importanti della Calabria, dal punto di vista sia strategico che simbolico. A Isola Capo Rizzuto si gioca una battaglia difficile ma chiara, visto che una delle parti in causa rappresenta in modo limpido un modello di amministrazione che punta sulla legalità, sulla correttezza amministrativa, sull’uguaglianza dei cittadini contro la legge del favore per pochi, sull’utilizzo dei beni confiscati alla ’ndrangheta per restituirli alla collettività. Il tutto in un territorio che solletica gli appetiti mafiosi e speculativi, alla luce di un potenziale turistico elevatissimo (con le sue spiagge e l’area marina protetta) e di una vocazione agricola molto accentuata.

Il modello di amministrazione incarnato da Carolina Girasole ha restituito onore e dignità a una Calabria che sa rimboccarsi le maniche e reagire, che non piagnucola ma produce fatti. Per ottenere questo Carolina ha pagato e paga un prezzo altissimo: un prezzo fatto d’intimidazioni, di ostruzionismi e trappole poste sulla strada della corretta gestione del Comune. Spesso la lotta non è stata condotta a viso aperto e spesso quelli che avrebbero dovuto essere suoi amici si sono dimostrati avversari: il partito che a Isola avrebbe dovuto sostenerla, il Pd, a livello locale l’ha più volte delegittimata, mettendo in discussione la sua ricandidatura. E tutto questo avveniva mentre Carolina era invitata dal Pd in ogni parte d’Italia a parlare del modello Isola di Capo Rizzuto e i dirigenti del Pd calabrese si voltavano dall’altra parte.

Nessuno del circolo locale del Pd si è preoccupato di spiegare perché Carolina non si sarebbe dovuta ricandidare a sindaco. D’altra parte, visto che i risultati concreti in opere pubbliche e in azioni a favore della collettività (appunto: della collettività) sono sotto gli occhi di tutti, sarebbe stato arduo trovare una motivazione plausibile. Ma la mancata chiarezza ha contribuito a rafforzare la solitudine politica con cui il sindaco uscente, a causa delle sue scelte nette, ha dovuto fare i conti. Carolina, infatti, si è fatta dei nemici dentro e fuori il Comune: quando si amministra con trasparenza si mettono in discussione clientele e favori, rendite di posizione e tante sacche di consenso elettorale che nessuna parte politica, in fondo, disdegna. E chi perde privilegi reagisce, nel migliore dei casi, con il fango, tanto fango, e con la delegittimazione alle spalle. Ma aldilà dell’isolamento che Carolina condivide con tutti gli amministratori che rompono schemi e abitudini consolidate (stessa situazione per Maria Carmela Lanzetta a Monasterace, Elisabetta Tripodi a Rosarno, per i sindaci antimafia della primavera della Piana di Gioia Tauro alcuni anni fa o per il compianto sindaco di Reggio, Italo Falcomatà), quello che è inspiegabile è l’atarassia degli organismi dirigenti del Pd regionale, i quali non solo non si schierano pro o contro Carolina Girasole (qualunque scelta sarebbe legittima) ma neppure provano a spiegare perché il primo partito d’Italia non si sia presentato alle amministrative.

Ci provano oggi alcuni membri del direttivo del Pd di Isola, che sostengono Carolina Girasole e che hanno diramato un comunicato che riportiamo integralmente in fondo a questa pagina.

Quello che ho capito è che una parte del Pd locale, capitanata dai dirigenti che hanno sottoscritto la nota, sta con Carolina in questa difficile battaglia per la rielezione. Un’altra parte – e lo deduco anche, fosse necessaria la prova plastica, dallo striscione che fa bella mostra di sé sopra la sezione – sostiene il candidato Damiano Milone, che di Isola è già stato sindaco: quando l’amministrazione comunale fu sciolta per infiltrazioni mafiose. Ora il Pd regionale (anche quello provinciale non può tirarsi indietro) deve dire se lo striscione sopra la sede del Pd significa che il partito sostiene ufficialmente il già sindaco Milone: se così fosse ne prenderei atto visto che, comunque, si tratterebbe di una scelta legittima anche se per me incomprensibile. Oppure, rispondendo a quei dirigenti che sostengono Carolina Girasole, deve spiegare se quel percorso che fino a qualche mese fa era un esempio nazionale sia ancora valido. Se, cioè, l’amministrazione di Carolina Girasole incarni ideali e valori che il Pd calabrese sostiene e difende. Sarebbe inaccettabile un silenzio tattico, magari per paura di perdere qualche voto in vista degli imminenti congressi, provinciale e regionale, del partito.

L’articolo su “Scirocconews”

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