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Isola di Capo Rizzuto: il paradosso della speranza che deve vincere ancora

di Paola Bottero il . L'analisi

Sembra austera. In realtà è timida, molto timida. Come la maggioranza della gente di Calabria, quella vera, ci mette un po’ per aprirsi, per darti confidenza. Ma quando succede è una vera esplosione di colori. Quando succede è per sempre. E allora non vedi più “nu lignu tostu”, come l’ha definita una sua concittadina, ma tutte le sfaccettature di un animo nobile. Quello di primo cittadino. Quello di donna. Quello di professionista. Carolina Girasole è innanzitutto una mamma. Federica, da poco maggiorenne, sta preparandosi per l’esame di maturità, e da lei ha preso quasi tutta la signorile riservatezza. Sara, di poco più giovane, è molto più matura della sua età, molto più esuberante. Molto più diretta. Sarà perché loro, i “nostri” ragazzi, capiscono al volo, prima di noi. E non hanno ancora in sé il valore della mediazione e dei non detti. Ieri sera Sara ha postato su Facebook una frase che potrebbe essere (anche se è stata scritta come moto d’animo totalmente distaccato dal contesto politico) il riassunto di questa storia, che parte e arriva a Isola di Capo Rizzuto: “Chiedere scusa è inutile, si fa solo per stare meglio con noi stessi. Se hai fatto un’azione stupida, tu rimani stupido. Chiedi scusa, ma lo fai per riuscire a guardarti allo specchio senza provare disprezzo per te stesso. Chiedere scusa significa chiedere pietà, e una persona pietosa è la peggiore perché è misera e patetica”. Ha ragione, Sara, perché la consapevolezza deve essere alla base di ogni azione. Ed ha torto, perché si può sbagliare, ma il prenderne coscienza e chiedere scusa ha un valore assoluto.

Ieri sera leggevo la rassegna stampa politica regionale. Leggevo l’interpretazione dei miei colleghi sui paradossi calabresi. Niente di nuovo: più volte ho parlato con Carolina dell’enorme difficoltà di seguire la legge, la legalità e le pratiche di buona amministrazione in un avamposto degli enti locali come la cittadina simbolo della lotta alla malavita – organizzata e disorganizzata – non solo nel crotonese e nella Calabria, ma nell’intera penisola italiana. Più volte Carolina lo ha raccontato a colleghi nazionali e internazionali, diventando, su testate come El Pais – tanto per citarne una –, un esempio da portare avanti. Diventando, nella preistoria politica del Pd (era ottobre 2012), insieme alle sue colleghe sindaco di Decollatura, Monasterace e Rosarno, una risorsa su cui puntare, sempre e comunque. Dopo la preistoria, il brontosauro delle primarie – terminate all’inizio di questo 2013 e appena rinnegate – è diventato ciò che sappiamo e vediamo. In mezzo, a una quarantina di giorni dalle elezioni politiche prive di un vincitore, ma zeppo di sconfitti (60 milioni di cittadini italiani, poco più, poco meno), c’è stato il peccato originale. Carolina era, sempre con le sue colleghe, uno dei nomi certi nella lista Pd dei candidati alla Camera per la Calabria. In tal senso il suo nome, la sua faccia, le sue interviste, andavano avanti e indietro per l’Italia, approdando a Torino nella super convention organizzata da Bersani. Ha pensato a lungo cosa fare, quando fosse arrivata la richiesta ufficiale: non avrebbe mai voluto lasciare la sua Isola, i suoi cittadini, quel percorso iniziato cinque anni fa e ancora molto lungo. Si è decisa per il sì quando ha avuto la certezza di poter portare avanti entrambi i ruoli: a Roma, da parlamentare, avrebbe potuto rappresentare al meglio le istanze delle amministrazioni locali, a partire dalla sua. Era il tempo, ve lo ricorderete bene, in cui poco si capiva sulla direzione dei democratici. Era il tempo in cui quella candidatura nel Pd non è mai arrivata, come non è arrivata per le altre “sindache antimafia”: nessuno ha pensato a formalizzarla, troppo compreso nel pensare alla propria sistemazione nel listino (in posizione “utile”, come se non sapessero già tutti che in Calabria avrebbe stravinto il modello Peppe-Pdl). Era il tempo in cui è arrivata una telefonata dal ministro Riccardi, un incontro con il presidente Monti, e Carolina ha firmato per Scelta Civica. Il sindaco di Isola ha fatto un breve ma intensissimo lavoro sul territorio, che però non è bastato a far scattare seggi.

Chiusa quella parentesi, iniziata la bagarre del governo delle larghe intese, su Isola si sono spenti i riflettori. Il simbolo Girasole non serve a ricucire gli strappi causati dalla miopia (ma forse sarebbe meglio chiamarla cecità) di chi aveva la vittoria e l’Italia in mano e non si è accorto che fare politica significa innanzitutto ascoltare e poi interpretare le istanze del territorio e dei cittadini. Carolina conosce il sapore dell’isolamento: cinque anni fa è stata eletta contro tutto e contro tutti. Ma con – e dai – suoi cittadini. Oggi si sta preparando a una nuova sfida: confermare, con il voto, che a Isola la maggioranza dei cittadini sta dalla parte giusta. Che sono finte e strumentali le accuse di chi continua ad affannarsi nel dire che con le sue denunce ha portato su Isola il velo del dubbio, facendo credere che quel paradiso sul mare sia tutta ’ndrangheta e malaffare. Che non è logico trovarsi tra i candidati a primo cittadino proprio il sindaco dell’amministrazione precedente alla sua, sciolta per infiltrazioni mafiose.

Chiedere scusa è inutile, scriveva proprio ieri la figlia Sara. Non chiederà mai scusa chi ha sbagliato, né tantomeno chi continua a giocare sull’errore creato ad hoc. Chi ha impedito – con i giochetti che ben conosciamo, grigi come grigia è la morsa di chi rifiuta la verità e la luce del sole e lavora sotto con il venticello della calunnia sperando di trasformarla in timore e giogo nei confronti dei cittadini – che il Pd si presenti alle amministrative ormai prossime con il proprio simbolo. Ma possiamo iniziare a chiedere noi, scusa.

Scusa, Carolina, se non abbiamo fatto il possibile e l’impossibile perché le cose andassero in modo differente. Scusa, Carolina, se troppo spesso abbiamo permesso che il corso delle cose si insabbiasse in quei grigi che tu combatti ogni giorno, e che vuoi continuare a combattere. Scusa, Carolina. E scusate anche voi, cittadini di Isola. Perché il 26 e il 27 maggio, se fermerete il corso della buona politica iniziato cinque anni fa dal sindaco Girasole sarà, oltre che vostra, anche colpa nostra. Sarà una sconfitta vostra e nostra. Che non siamo riusciti a spiegarvi quanto siamo orgogliosi di voi, della vostra Isola e del vostro sindaco. Che non è una luce, ma un arcobaleno in grado di portare la vostra splendida cittadina agli onori nazionali e internazionali come il miglior esempio del fatto che la volontà è sufficiente per spazzare via ogni paura. E ogni giogo.

 

 

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