NEWS

Aziende confiscate ai boss: Roma si mobilita per una legge di iniziativa popolare

di redazione il . Lazio

645 beni confiscati nel Lazio e 335 si trovano proprio nel comune di Roma. 110 di questi beni nella regione sono aziende, come spiega l’ultimo report dell’Agenzia nazionale del beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Con questi numeri che portano il Lazio al sesto posto nazionale per numero di beni sottratti ai boss, fa tappa anche a Roma  “Io riattivo il lavoro” , la campagna nazionale per una legge di iniziativa popolare che aiuti le aziende confiscate e i suoi lavoratori. Ieri nei locali dello Zoobar, del quartiere Montesacro, l’appuntamento con la raccolta firme promossa dalla Cgil e sostenuta dalla  rete di associazioni impegnate nella lotta alle mafie per la legalità, aderenti a Libera. A parlarne Noemi De Simone del presidio di Libera III Municipio, Stefano D’Alterio (Cgil Lazio) e Marco Genovese (Libera  nazionale, responsabile per i beni confiscati nel Lazio).

«Una intuizione fondamentale – spiega Stefano D’Alterio  – quella che tanti anni fa ebbero prima il sindacalista Placido Rizzotto e poi il politico siciliano Pio La Torre, quella di fare in modo che la comunità, i cittadini, potessero tornare in possesso dei beni illecitamente accumulati dai mafiosi. Prima erano i latifondisti che impedivano ai cittadini di coltivare le terre del corleonese, poi diventeranno i mafiosi – imprenditori che inquinarono l’economia legale. E sia per Rizzotto che per La Torre il prezzo della battaglia per colpire i boss nei loro patrimoni avrà un costo molto alto. Verranno uccisi da Cosa nostra». Una pagina di storia, quella ricordata da D’Alterio che rappresenta le radici profonde dell’antimafia sociale cui si ispira – come ricorda Noemi De Simone che ha moderato il dibattito – l’attività quotidiana di Libera. La De Simone, ricorda il complesso iter che porta i beni, prima sequestrati e poi confiscati, a raggiungere lo step del riutilizzo sociale e istituzionale. E come numerose falle, anche di tipo normativo, non aiutino i lavoratori e i nuovi animatori delle aziende,  a continuare. «Non si tratta solo delle leggi che riguardano direttamente i beni confiscati – spiega  – ma anche di quelle che riguardano tutto il sistema del lavoro, dalle mancate riforme agli interventi del ministro Fornero».

Un dibattito, quello che si è tenuto ieri per promuovere la raccolta firme “Io riattivo il lavoro” che giunge a poche ore proprio dal 1 maggio, il tradizionale appuntamento con la giornata nazionale dedicata al lavoro, quest’anno – commenta la De Simone “dedicata al lavoro che non c’è”. Un tema riportato al centro del dibattito  anche da D’Alterio che come Cgil chiede proprio di ripensare al modello economico di sviluppo, all’interno del quale, introdurre interventi mirati a sostenere proprio i lavoratori delle aziende confiscate ai boss. «Quello che non molti sanno – spiega il sindacalista – è che quando una azienda viene messa in amministrazione giudiziaria tutto intorno si crea un vuoto: i fornitori che scompaiono o vengono fatti scomparire, i clienti anche. Tutto questo, e i debiti che solitamente gravano come ipoteche bancarie sull’azienda, riducono l’attività sul lastrico e a farne le spese sono i lavoratori».

Un iter complesso ma che ha portato in questo primo decennio di attività dalla nascita della prima cooperativa su terreni confiscati ai boss, alcuni risultati importanti. A ricordarli Marco Genovese di Libera nazionale, che spiega la scelta strategica per la società civile e per l’economia sociale del riutilizzo dei beni confiscati, ancor più per le tante aziende sottratte ai boss, in questi ultimi anni. «Un’importanza che non è solo legata al valore economico e a quello sociale per il territorio ma che è prima di tutto culturale: non può e non deve accadere più che passi il messaggio per cui “quando c’era la mafia si lavorava, con lo Stato si chiude”. Serve fare tutto il necessario – afferma Genovese – e che ciascuno, dalle banche, ai cittadini, alle istituzioni locali, faccia la propria parte per restituire a pieno ritmo aziende che sono pezzi di economia, ricchezza per il  Paese». «E serve farlo come si è fatto in questi anni – ribadiscono da Libera – perché è un modello che funziona, che ha dato frutti e che si può riproporre, adeguandolo alle situazioni e migliorandolo, come si tenta di fare con la proposta di legge lanciata dalla Cgil». Genovese guarda infine all’Europa. «Da tempo i boss investono le proprie ricchezze all’estero ed è necessario estendere queste normative al resto dei Paesi». Un tassello spesso trascurato ma fondamentale per non rendere vani tanti anni di sequestri, confische e riutilizzo sociale di questi beni dei clan. E di antimafia sociale.

La proposta di Legge presentata ieri a Roma, dunque,  si articola in 10 punti che mirano a risolvere concretamente i vuoti lasciati dalla normativa vigente: si va dalla costruzione di una banca dati nazionale delle aziende confiscate, all’estensione della casse integrazione per i lavoratori delle aziende in crisi, alle agevolazioni fiscali per la costituzione in cooperative, dalla tutela dei lavoratori e  alla loro formazione. Clicca qui per leggere i dieci punti della proposta di Legge. 

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link