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Il silenzio perpetua la malapolitica e mantiene la mafia

di Rino Giacalone il . L'analisi

Siamo a poche ore dal forte rimprovero del riconfermato Capo dello Stato Giorgio Napolitano e bisogna dire che l’effetto che quelle parole avrebbero dovuto provocare ancora non si vede. Vicende di Governo nazionale a parte, che indubbiamente era il tema al quale il Presidente Napolitano si è maggiormente rivolto, nelle periferie d’Italia le cose non sembrano mutare. Anzi. I sostenitori non della “grande coalizione” ma dell’“inciucio”  – che sono due cose ben diverse – si sentono oggi legittimati da parole che il Presidente della Repubblica non ha mai detto. E gridano il loro “urrà”. Nelle periferie d’Italia gli “inciuci”  esistono da decenni, e hanno prodotto grandi guasti, guai rimasti irrisolti, crisi che si sono palesate ancora prima che si sentisse parlare di “spread”  o di “spending review”. A Trapani, per esempio, l’esercito di precari, anche donne e uomini ultracinquantenni, che a quell’età  dovrebbero pensare alla pensione e invece oggi si trovano a inseguire una assunzione a tempo indeterminato, gli operai che occupano per protesta palazzi delle istituzioni, i giovani che ogni giorno lasciano questa terra per cercare fortuna altrove, non sono il risultato della crisi contingente, ma frutto di scelte sbagliate o comunque di scelte e collusioni che hanno inghiottito milioni di euro, fondi pubblici svaniti o meglio finiti nelle casseforti dell’illegalità. “Inciucio”  significa mantenere quella una incredibile catena di solidarietà  nella malapolitica, significa sostenere la politica della corruzione, le mazzette e le tangenti che secondo il cavaliere Berlusconi non sono da cacciare indietro, ma strumenti per operare.

La vicenda dell’ancora mancata cattura del boss mafioso Matteo Messina Denaro, le denunce che sono arrivate da magistrati autorevoli, come il procuratore Teresa Principato, è la sintesi delle collusioni che oggi esistono e persistono grazie agli “inciuci”. Un ministro dell’Interno non può rispondere a questa realtà sostenendo, come ha fatto il ministro Cancellieri, che i giornalisti conoscono particolari che il ministro non conosce, se il ministro non conosce le parole dure del procuratore Principato e poi va in giro tenendo vicino il senatore Tonino D’Alì, Pdl, sotto processo per mafia, e forse anche solo per questo non può essere definito un ottimo ministro come qualcuno ha fatto. Ecco è di questi “inciuci” che presto vorremmo fare a meno. “Inciucio” significa mantenere silenzi “assordanti”. Appena qualche giorno addietro l’ultimo esempio di questo stato di cose ce lo ha ricordato dalla prima pagina de “La Stampa” l’efficace e bravo Massimo Gramellini quando ha ricordato l’incarico conferito dal presidente del Senato Pietro Grasso al senatore trapanese del Pdl Tonino D’Alì, rappresentante dell’Italia in un organismo europeo, oggi che D’Alì è personaggio politico sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa. Il presidente del Senato ha spiegato che non poteva dire di no a quella segnalazione di pertinenza del gruppo Pdl al Senato, ma qualche parola di distinguo poteva essere pronunziata. A Roma come a Trapani. E invece solo silenzio. Lo stesso opposto dinanzi a fatti che nel tempo sono emersi da indagini antimafia nel trapanese. Si sono scoperte collusioni, funzionari pubblici corrotti dalla mafia, Cosa nostra che si arricchiva grazie ai suggerimenti di politici che hanno permesso a imprese della mafia di conquistare appalti che mai avrebbero potuto aggiudicarsi, si sono sequestrati e confiscati beni e casseforti, e tutto questo è stato solo circondato da silenzi se non ipocriti apprezzamenti alla magistratura e alle forze dell’ordine operanti, poi tutto è continuato come sempre, l’area grigia della mafia è puntualmente tornata a pulsare. Eppure per citare i fatti più recenti ci sono stati consiglieri provinciali arrestati e condannati, consiglieri comunali che si è scoperto si facevano corrompere in cambio anche di incontri a luci rosse, sindaci rimasti in carica sebbene condannati per favoreggiamento alla mafia. Quando pochi giorni addietro un sequestro di beni ha svelato, grazie alla intercettazioni, una rete del malaffare che si sarebbero mossi attorno al senatore Tonino D’Alì, i primi eloquenti silenzi sono giunti da coloro i quali dovrebbero essere i suoi avversari, in silenzio anche i nuovi della politica, come gli appartenenti al movimento 5 stelle. Non funziona così, non può funzionare. Episodi che avrebbero dovuto consigliare forti prese di posizione e invece…solo silenzi e chi ha cercato di alzare la voce, o sollecitare qualche riflessione in più è stato tacciato di essere “professionista dell’antimafia”. Magari a sostenere ciò sono stati gli stessi che nei momenti degli anniversari si sono visti ricordare morti eccellenti come Giovanni Falcone: quel “professionisti dell’antimafia” scritto da Sciascia nel 1986 torna puntualmente anche sulle bocca di chi celebra Falcone, dimenticando che, come disse Borsellino, Falcone cominciò a morire il giorno in cui comparve quell’articolo di Sciascia sul Corriere della Sera. Ecco a cosa sono serviti gli “inciuci” nelle periferie del Paese,a sbarrare la strada al rinnovamento della politica, al cambiamento della società, alla cancellazione delle soggiogazioni. Oggi a Trapani c’è una società che è costretta a inseguire i suoi bisogni che quando esauditi non suonano come un diritto riconosciuto ma come un favore concesso, e la malapolitica, come la mafia, con la mafia, hanno bisogno per vivere di avere attorno gente allo stremo che chiede e che garantisce consenso sociale. E’ da questi scenari che bisogna fuggire via. Malapolitica e mafia hanno inghiottito fior di milioni e negato possibilità di sviluppo. Si può stare in silenzio dinanzi a tutto questo? No! C’è un impegno che la società civile onesta deve condurre, si deve fare emergere la consapevolezza che oggi questi “inciuci” hanno provocato stallie paralisi, hanno dato linfa alle mafie, hanno provocato stragi e omicidi.

Avremmo gradito dal presidente Napolitano qualche parola chiara contro le mafia che imperversano in Italia e fin dentro al Parlamento, ma vogliamo riconoscere che quando il presidente Napolitano ha richiamato deputati e senatori al rispetto della Costituzione le sue parole non possono altro che significare l’indirizzo preciso a mettere fuori dal Parlamento e non solo fuori da queste autorevoli aule i mafiosi. Non si può infatti auspicare, come ha fatto Napolitano, il riformarsi di una politica nobile, di una nobiltà della politica, se continueranno ad esserci da Roma a Trapani o da Roma a Bolzano i mafiosi  nelle stanze dei governi. Non è difficile mandarli via. Basta parlare, basta alzare la voce, basta indicare i blocchi che ci hanno reso testimoni silenziosi, per cacciare via i mafiosi, i loro soci e malapolitica.

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Rino Giacalone

Giornalista siciliano, da tanti anni segue la cronaca nera e giudiziaria in particolare della provincia di Trapani, ed oggi è una delle firme dalla "periferia" per "Il Fatto Quotidiano". Ha seguito le più importanti inchieste sulla ricerca dei latitanti e del super latitante Matteo Messina Denaro nonché sulle connessioni tra la mafia, la politica e l'imprenditoria; ha seguito dandone resoconti inappuntabili i processi e da ultimo quello per il delitto del sociologo e giornalista Mauro Rostagno, indagine questa rispetto alla quale è riconosciuto essere uno degli artefici delle sollecitazioni che hanno portato la Dda di Palermo a non archiviare le indagini. Attento osservatore della realtà siciliana e trapanese, si è spesso scontrato con la politica che a proposito di mafia ha sempre scelto profili bassi se non talvolta di deliberata connivenza. Perchè sostengo Libera Informazione? Perchè qui si trova la informazione libera e qui ogni giorno si continua a fare palestra di giornalismo con gli insegnamenti del direttore Roberto Morrione.

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