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Calabria, la Dia di Catanzaro sequestra beni per il valore di due milioni di euro

di redazione il . Calabria

Follow the money, “segui i soldi”, era il metodo adottato da Giovanni Falcone. Un’impostazione vincente, fatta propria dalla Direzione nazionale antimafia che, attraverso i mille rivoli della finanza e ad indagini patrimoniali, riesce ad incastrare boss o presunti tali. Analizzando le proprietà, i conti correnti, e le partecipazioni aziendali di gregari, affiliati o prestanome e incrociando i dati con quanto dichiarato dall’indagato e il gioco è fatto.

E’ questo, in sintesi, l’esito della triplice confisca eseguita oggi dal personale del centro operativo della Dia di Catanzaro. Beni immobili, autoveicoli, oggetti preziosi, per un valore totale di oltre due milioni di euro. A finire nel mirino delle indagini patrimoniali degli agenti della Dia Giavanni Franzè, cinquantenne di Stefanaconi, cittadina del vibonese, pregiudicato e arrestato per usura. Con lui Francesco Pugliese di San Calogero condannato, con sentenza definitiva, per traffico internazionale di droga nell’ambito dell’operazione Decollo. Infine, le misure di confisca sono state adottate nei confronti di Domenico Campisi di Nicotera, morto nel 2011, ma condannato in via definitiva per traffico di droga.

Le disposizioni di confisca nei confronti di Franzè sono state adottate dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Vibo Valentia, quelle nei confronti di Pugliese, e degli eredi di Campisi sono state adottate dalla Corte d’Appello di Catanzaro. In tutti e tre i casi è stata la Dia ad indagare sulle reali proprietà dei tre indagati, confrontandole con quanto ufficialmente dichiarato al fisco. Per quel che riguarda Franzè, il Tribunale vibonese ritiene che: «Risulta aver avuto redditi leciti pressoché inesistenti dal 1991 ad oggi. Tale dato descrive quindi una palese sproporzione tra il valore dei beni sequestrati ed il reddito del proposto e quindi consente di ritenere ingiustificata la provenienza dei medesimi beni».

Su Pugliese, la Corte d’Appello di Catanzaro, basandosi sugli accertamenti dell’intelligence antimafia, scrive che i beni: «Nella diretta disponibilità del Pugliese sono sicuramente di valore sproporzionato al reddito dichiarato e alle attività economiche riconducibili al predetto». Mentre su Campisi, le indagini della Dia hanno dimostrato, come confermato dalla Corte, che il patrimonio in suo possesso è: «Sproporzionato rispetto alle condizioni di reddito del Campisi ».

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