Racconti dal carcere
“Se l’opinione pubblica ha una visione distorta del carcere e dei detenuti troppe volte è colpa della cattiva informazione che si fa”. Siamo a Regina Coeli e questa volta non si parla della Carta di Milano ma del premio nazionale “Racconti dal carcere” intitolato a Goliarda Sapienza e giunto alla sua terza edizione, i cui finalisti sono stati presentati questa mattina. A pronunciare parole di condanna ma che sono al tempo stesso l’ennesima richiesta di aiuto è Serenella Pesarin (Direttore Generale Dipartimento Giustizia Minorile), nel corso di un intervento sentito a appassionato. Quest’anno infatti il premio è stato aperto per la prima volta anche ai minori, con cinque racconti selezionati.
Ideato e curato da Antonella Bolelli Ferrera, e promosso da Dap, SIAE, inVerso Onlus e Dipartimento della Giustizia minorile, “Racconti dal carcere”, che ha visto anche l’assegnazione di una medaglia da parte del Presidente della Repubblica come riconoscimento ufficiale, diventa dunque il pretesto, l’ennesimo, per parlare di detenzione ristabilendo un principio di realtà al di là delle distorsioni o forzature possibili. Ed è la Pesarin a mettere sul piatto, di fronte ad una platea piuttosto numerosa, composta anche da molti colleghi, una serie di elementi e dati su cui riflettere, cominciando con lo sfatare i soliti falsi miti. Negli istituti minorili non ci sono più stranieri, sottolinea la direttrice, anche perchè non sono la maggioranza della popolazione e tra i ragazzi italiani ci sono molti che tornano a delinquere, vuoi perchè legati alla criminalità organizzata vuoi per un’impennata dei cosiddetti border-line. Di fronte ad una simile constatazione, sottolinea ancora Serenella Pesarin: “…L’intera società civile dovrebbe sentire il dovere di interrogarsi e capire perchè questi ragazzi sbagliano e dovrebbe sentirsene responsabile...”
Una società civile che invece continua a rimanere distante o completamente assente guardando al carcere e ai condannati come a corpi estranei da tenere a debita distanza. Allora l’arte, l’espressività nelle sue diverse forme diventa anche il medium attraverso il quale riuscire a creare dei punti di raccordo tra “il mondo dentro e il mondo fuori”, come puo avvenire appunto con la scrittura. La maggior parte dei racconti selezionati ( 20 adulti e 5 ragazzi, più una menzione speciale per i disegni di un giovane curdo) trae infatti spunto da esperienze di vita vissuta, dalla realtà molte volte dura, pesante anche solo da ricordare, e trova nella forma letteraria la possibilità di uscire fuori dalle mura del carcere per raggiungere il grande pubblico. Tutti i racconti selezionati saranno pubblicati in un testo collettivo a cura di Rai Eri, con l’introduzione per ogni racconto di un breve preambolo scritto dai tutor ( scrittori, sceneggiatori, giornalisti…) assegnati ad ogni finalista.
E sul valore supremo e irrinunciabile della cultura come strumento di liberazione e reinserimento sociale, al pari del lavoro, i pareri sono unanimi. Lo sottolinea Giovanni Arcuri, già noto al grande pubblico come il Cesare del film dei fratelli Taviani e in concorso con un suo racconto, lo ribadisce il suo tutor, De Cataldo, insieme al direttore di Regina Coeli Mariani, e al vide capo del Dap Pagano… lo rimarca, seppur a partire da una premessa caustica ( la situazione di incostituzionalità vigente nelle carceri), il Garante dei detenuti per il Lazio, Angiolo Marroni che tiene a ricordare come, oltre a Cesare deve morire in carcere ci sono altre esperienze legate all’arte e al teatro che forse varrebbe la pena conoscere e raccontare di più e meglio.
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