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Processo Garofalo, parla Venturino

di Marika Demaria il . Lombardia

dall’inviata a Milano, Marika Demaria– “Per me oggi è un giorno difficile. Io mi sto accusando di concorso in omicidio, i miei complici sono cugini di mio padre. Ma io sto facendo tutto questo per amore di Denise, che occupa il primo posto nel mio cuore”. Così Carmine Venturino esordisce con la propria deposizione, nel secondo giorno di udienza del processo di appello per la morte di Lea Garofalo.

Nella gabbia degli imputati, Carlo Cosco è seduto in disparte, sulla scalinata. Anche Massimo Sabatino se ne sta isolato rispetto agli altri due fratelli e a Rosario Curcio, ed è il più vicino al paravento che “protegge” Venturino dagli sguardi dei presenti. Rispondendo alle domande del Procuratore Generale Marcello Tatangelo, il giovane inizia a ripercorrere gli ultimi anni della sua vita. “Dalla Calabria mi sono trasferito a Milano il 9 settembre 2006. Ricordo con precisione la data perché il giorno prima Andrea, uno dei due figli di Giuseppe Cosco, compie gli anni. Per circa otto mesi ho abitato in maniera abusiva in viale Montello, poi mi sono trasferito in via Fioravanti, una traversa di Paolo Sarpi. Dopo qualche mese Carlo Cosco è venuto a vivere a casa mia. Da ragazzo, a Petilia, ho sentito parlare di Lea come di una donna che aveva lasciato il compagno e che per questo lui la voleva uccidere. Carlo Cosco diceva anche che lei gli aveva portato via la figlia”.

Il progetto di uccidere Lea Garofalo ha dunque origini molto lontane. Odio e rancore serbati per anni, una vendetta che si sarebbe già  dovuta consumare in Calabria, prima ancora dei fatti di Campobasso (il tentato sequestro del 5 maggio 2009). “Lea Garofalo vuole tornare in Calabria, chiede a sua sorella Marisa di verificare con Carlo se effettivamente non avrebbe corso rischi. Ma Marisa, oltre che parlare con Carlo, si è rivolta a Salvatore Comberiati, fratello di Antonio (ucciso nel 1996, delitto di cui riferì Lea Garofalo ai Carabinieri accusando Carlo e Giuseppe Cosco, n.d.a.). Marisa ha parlato anche con Vincenzo Mantella, capo della locale. Insomma, si è rivolta alla ‘ndrangheta”.

Per consumare il delitto a Petilia, Vito Cosco commissiona a Venturino l’acquisto di quattro tute ed altrettanti mephisto e paia di scarponi, oltre a due mitragliatori con silenziatore. Quattro persone devono quindi entrare nell’appartamento di Lea Garofalo in Calabria, con l’ordine di “prenderla”, cioè ucciderla. Il progetto però sfuma perché l’abitazione della donna è costantemente sorvegliata da una pattuglia dei Carabinieri. L’occasione successiva si presenta quando Lea e Denise decidono di trasferirsi a Campobasso in modo che la ragazza possa terminare l’anno scolastico.

“Un giorno Carlo mi racconta che ha preso in affitto un appartamento per le due donne e che lì vuole uccidere Lea. La sera stessa, c’è stata una riunione: eravamo presenti io, Carlo Cosco, Vito Cosco, Giuseppe Cosco, Massimo Sabatino e Rosario Curcio”. Insomma, tutti gli imputati. Venturino prosegue raccontando che Carlo Cosco chiede a Sabatino di recarsi in quell’appartamento per riscuotere un credito di droga dei Cosco. “Non gli è stato detto che in quella casa ci sarebbe stata Lea e non ho sentito Carlo promettere denaro a Sabatino”.

Durante le festività pasquali del 2009, Vito Cosco va a Polignano per la cresima del figlio di Pasquale Amodio. Lì avviene l’incontro con il fratello Carlo e lo scambio di auto: Vito presta il suo Chrysler a Carlo e lui la sua Punto al fratello. Nel frattempo, Carmine Venturino, Massimo Cosco (quarto fratello) e Rosario Curcio ritirano un camion di Giuseppe Marino. “Lui è in affari con i Cosco, con il suo mezzo trasporta la cocaina. Solo che Carlo Cosco gli ha prestato dei soldi come usuraio e lui, non riuscendo a pagare il debito, gli ha dato il camion”. Lì sopra viene caricata la Punto. Si delineano le coordinate della trappola mortale: “Carlo – riferisce Carmine Venturino – dice che io, Curcio e Sabatino saremmo dovuti partire con una macchina e un furgone e che Vito, su un’altra auto, ci avrebbe aspettato un po’ più in là rispetto alla casa di Lea. Avremmo dovuto uccidere Lea in casa e seppellirla dalle parti di Bari. Carlo ci aveva ancora raccomandato di usare i guanti per non lasciare impronte e di non toccare Denise se fosse stata in casa”.

La deposizione di Carmine Venturino proseguirà alle 14, con la ripresa dell’udienza.

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