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Processo Garofalo: “Cosco voleva uccidere anche Denise”

di Marika Demaria il . Lombardia

dall’inviata a Milano, Marika Demaria – “Io ho paura dei Cosco, perché so che per loro ormai sono carne da macello. Ma io vorrei rifarmi una vita e soprattutto non potevo più pensare, senza fare niente, di essere anche io colpevole del dolore di Denise Cosco. Perché io di lei sono innamorato”. Carmine Venturino nel pomeriggio di oggi, giovedì 11, ha proseguito le proprie dichiarazioni spontanee, presentandosi come un cosiddetto “contrasto onorato”, cioè una persona non cresciuta in un contesto di criminalità organizzata –  “nella mia famiglia, fatta di gente povera e onesta, non c’è nessun pregiudicato” – non affiliata alla ‘ndrangheta ma che alla stessa ubbidisce e si sottomette. “Io con loro (i Cosco, n.d.a.) ci sono entrato in contatto da ragazzino, per la droga. Facevo uso di stupefacenti. Nell’estate 2007 Massimo Cosco mi ha chiesto di iniziare a lavorare per loro, ma io ho rifiutato. A settembre però ho accettato e da quel momento ho dovuto obbedire a loro. Per paura, perché a Pagliarelle non si fa niente senza il consenso dei Cosco. Carlo Cosco è un santista”. Carmine Venturino spiega che il delitto di Lea Garofalo “è un fatto di ‘ndrangheta. Perché lei aveva macchiato l’onore del fratello e del compagno andandosene via da Milano e decidendo di testimoniare dai Carabinieri. Era un’infame, doveva pagare con la vita. Floriano Garofalo, suo fratello, aveva l’obbligo di ucciderla. Ma lui nel 2002 le ha solo bruciato l’auto; nel 2005 lui è stato assassinato e di fatto il potere e il controllo di Pagliarelle sono passati a Carlo Cosco. Lui si è vendicato, ma perché così ha voluto la ‘ndrangheta”.

Una vendetta che – come aveva anticipato con alcune frasi nel corso della prima parte dell’udienza odierna –  non solo è atavica, ma doveva essere consumata molto tempo prima del 24 novembre 2009. “Dai fatti di Campobasso mi sono estraniato per paura, così come Rosario Curcio. Anzi, è stato lui a convincermi, a dirmi di non entrare nei loro affari, che si dovevano sbrigare tra loro. Così io, alla vigilia della partenza, ho detto che non me la sentivo perché il giorno prima avevo avuto un incidente con l’auto e mi avevano messo due punti di sutura in testa. Curcio ha invece detto che non poteva chiudere il solarium che gestiva. Nel pomeriggio del 5 maggio Vito mi telefona per dirmi che stanno rientrando a Milano. Prende in giro Sabatino, mi dice che è stato picchiato da Lea e Denise. Mi ricordo però che Carlo si era molto arrabbiato, ha detto al fratello che sono vent’anni che non ne fa una giusta e che se non c’è lui le cose non vanno per il verso giusto”.

Nell’estate 2009 Denise e Lea tornano in Calabria. “Quell’estate uscivo spesso con la ragazza e con Carlo. Una sera siamo andati in discoteca, abbiamo fatto tardi ma Denise aveva il cellulare con la batteria scarica quindi non ha avvisato la madre in tempo. Quando siamo arrivati Lea era molto preoccupata e le ha dato un ceffone. Rimasti da soli, Carlo mi ha detto: “Adesso basta. Quella stronza ha vissuto fin troppo”. Da quel momento, l’obiettivo di uccidere Lea per Carlo si trasforma in una vera e propria ossessione. Chiede a Venturino di pedinare la donna. In un’occasione progettano di ucciderla mentre lei esce per andare a riempire le taniche di acqua: “Io dovevo controllarla mettendo alla finestra di casa di mia nonna, che abita di fronte. Quando ho visto uscire Lea ho fatto uno squillo a Carlo che è partito armato, su una moto guidata da Rosario Curcio. Ma quel giorno Lea ha cambiato l’abituale programma ed è andata solo nella bottega di fronte, così quando loro sono arrivati era troppo tardi”.

Diversi tentativi andati male secondo il punto di vista di Carlo Cosco, fino al 24 novembre 2009. “Carlo sapeva che Lea e Denise erano a Firenze, voleva raggiungerle e uccidere la donna. Ma poi l’ha convinta a venire a Milano. Per due sere sono usciti tutti e tre a mangiare cena, Lea si fidava di nuovo di Carlo. Infatti lui mi diceva “Ce l’ho fatto, è nella trappola”. Addirittura, Lea aveva mandato un sms a Carlo, aveva scritto che Ninì, cioè Denise, voleva un fratellino”. Carmine Venturino in aula ha raccontato tutti gli agghiaccianti particolari del sequestro, dell’omicidio e della distruzione del cadavere di Lea Garofalo; in una stanza vicina, Denise ha ascoltato tutto. Non una pistola ma una corda per chiudere le tende d’arredo dunque l’arma del delitto, non l’acido ma le fiamme per cancellare il corpo della coraggiosa testimone di giustizia. Per una notte il corpo della giovane donna è stato chiuso in uno scatolone, dentro il bagagliaio di un’auto parcheggiata nel box di Massimiliano Floreale, che aveva prestato ai Cosco le chiavi dell’appartamento della nonna. Lì si è consumata la tragedia. Lì Floreale, durante la sua testimonianza resa nel corso del processo di primo grado, ha raccontato “di aver trovato tutto in ordine, fuori posto c’erano solo due bicchieri sul tavolo, che ho lavato e messo al loro posto”. In realtà, dal racconto di Venturino è emerso che il pavimento era macchiato di sangue, così come il divano che schiacciava  Lea Garofalo, il cui volto era tumefatto e livido. Sarà lo stesso Floreale, insieme a Venturino, a gettare via il divano “ma non mi ha mai chiesto niente, per sapere cosa fosse successo”.

Secondo la ricostruzione dei fatti raccontati dal pentito, ad uccidere materialmente Lea Garofalo è stato Carlo Cosco. Presente anche Vito Cosco. Venturino e Curcio sono arrivati in un secondo momento per trasportare il cadavere prima nel box e l’indomani mattina sul terreno di San Fruttuoso. Ad assistere alla distruzione del cadavere anche Gaetano Crivaro, proprietario dell’appezzamento di terra. Venturino e Vito Cosco fanno la spola da Milano a Monza per tre giorni, il primo giorno c’è anche Rosario Curcio. “Massimo Sabatino e Giuseppe Cosco sono estranei a questi fatti” asserisce Carmine Venturino. Che prosegue, quasi rivolgendosi a Carlo Cosco che lo sta ascoltando da dietro le sbarre, in aula: “Non è vero che Carlo Cosco darebbe la vita per sua figlia. Perché dopo che è stato arrestato, ha chiesto a Vito e a me di capire se le dichiarazioni che Denise aveva reso ai Carabinieri di Petilia fossero vere, aggiungendo che “se così è sapete la fine che dovete farle fare”. Signor Presidente, Carlo Cosco voleva uccidere sua figlia”. Infine, “quando lei per un periodo, nel 2010 dopo che ci eravamo messi insieme, se ne è andata dalla Calabria, è stata la zia Marisa, su richiesta dei Cosco, ad obbligarla a rientrare a Pagliarelle.

Domani, venerdì 12, proseguirà  il contro esame di Carmine Venturino da parte delle difese.

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