Il Messico verso la “Zetanizzazione”?
Sono passati poco più di tre anni da quando (marzo 2010) i Los Zetas sono entrati, ufficialmente, a far parte del gruppo dei cartelli di narcotrafficanti più pericolosi dell’America Latina. Era stato il rapporto annuale del Dipartimento di Giustizia americano a sottolineare la conseguita autonomia dal cartello del Golfo, attribuendo la denominazione di “Compania” che, in realtà, verrà poco utilizzata. In questi anni i Los Zetas sono stati i protagonisti di una sanguinosa guerra con altri cartelli per conseguire il controllo dei mercati delle droghe (e di altre attività criminali) con una ferocia e una spietatezza che non hanno paragoni nel mondo criminale. Il pericolo che il Messico si stia “zetanizzando” è, purtroppo, reale. Alcuni degli episodi che si elencano possono servire per capire il dramma che sta vivendo questo paese.
A San Josè de Lourdes, il primo luglio del 2011, l’uccisione, in un conflitto a fuoco con i fanti della Marina militare, di una quindicina di sicari del cartello dei Los Zetas, e la cattura, a Garcia e a Coatzcoalcos, di altri narcos, sempre della stessa organizzazione criminale, avevano riproposto, nella loro drammaticità, il ruolo rilevante nello scenario criminale messicano dei temibili Los Zetas. Lo stesso presidente americano Obama, in occasione della presentazione del Piano strategico contro il crimine organizzato transnazionale (25 luglio 2011), aveva rimarcato la pericolosità di quel cartello messicano che, insieme alla Camorra italiana, alla Yakuza giapponese e alla Mafia russa, rappresenterebbero le quattro organizzazioni criminali internazionali più violente. Un ulteriore, preoccupante segnale di allarme giungeva a metà settembre 2011. Il rapporto del Centro di Intelligence di El Paso –redatto un mese prima- parlava di presenze significative dei cartelli messicani in ben 1286 città americane. I quarantaquattro detenuti assassinati dai Los Zetas nel carcere di Apodaca il 19 febbraio 2012, durante una rivolta “pilotata” per eliminare i rivali del cartello del Golfo e la contestuale evasione di una trentina di pericolosi narcos, avevano rappresentato un’ulteriore conferma della estrema pericolosità dei Los Zetas. Ancor più drammatico il massacro, il 13 maggio 2012, di 49 persone ( cadaveri in gran parte senza testa,senza braccia e senza gambe, per impedirne l’identificazione), lasciati al km 47 della statale Monterrey-Reynosa. La firma “Z100%” lasciata sul cippo della strada per sviare le indagini e attribuire la strage ai rivali del “Golfo”, confermava la sfida macabra tra i Los Zetas e i narcos del cartello del Golfo e di Sinaloa. La mattanza era stata anche filmata da uno dei Los Zetas che vi aveva partecipato come dichiarerà Daniel de Jesus N. detto “El Loco”, capo cellula a Cadereyta, arrestato il 20 maggio. A lui l’ordine, trasgredito, ricevuto da El Lazca, capo dei Los Zetas, di organizzare il “trasporto funebre” dei cadaveri sino alla piazza principale di Cadereyta.
Ma chi sono i Los Zetas? Il gruppo originario dei Los Zetas era formato da una trentina di ex appartenenti alle forze armate ed in particolare ad un reparto d’elite – il “Primo Gruppo Aereotrasportato delle Forze Speciali” – alle dirette dipendenze della Segreteria della Difesa Nazionale (SEDENA) sorto, inizialmente nei municipi di Hidalgo e Puebla, con Arturo Guzman Decena ( noto come Z1, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nel 2002). Nel dicembre 2008, secondo informazioni rese alla magistratura da collaboratori di giustizia, il gruppo dei Los Zetas si è andato riorganizzando ampliando le proprie attività “istituzionali”; non più soltanto traffico di droghe ma anche estorsioni, sequestri di persona, omicidi, tratta dei migranti. Relativamente a quest’ultimo ambito va ricordata la cattura, il 16 aprile 2011, di Martin Omar Estrada Luna (alias El Kilo), capo dei Los Zetas di San Fernando. A lui è stato attribuito il concorso nel massacro di 72 migranti avvenuto in una fattoria nell’agosto del 2010 e la strage di altri 145 rinvenuti in alcune fosse, alcuni giorni prima, alla periferia di San Fernando. Con El Kilo finiscono in manette altre sei malviventi, tra cui tre donne (due delle quali di appena 18 anni). Il sei ottobre 2012, i fanti della marina arrestano a Nuevo Laredo, Salvador Alfonso Martinez (La Ardilla), capo regionale dei Zetas, ritenuto l’organizzatore della strage dei 72 migranti di San Fernando.
La struttura criminale si basa su una rigida disciplina militare e si articola in squadre (estacas) con un “comandante”, gli “halcones”, addetti al controllo del territorio, “los cobras”, per assicurare la sicurezza del gruppo, “los zetas viejos” , gli “anziani” del gruppo originario e “los zetas nuevos”, giovani, in parte disertori dell’esercito messicano ed ex militari guatemaltechi.
Attualmente cellule ben strutturate dei Los Zetas sono presenti in almeno 18 Stati messicani tra cui Tamaulipas, Nuevo Leon, Coahuila, Sonora, Veracruz, Tabasco, parte dello Chiapas e San Luis Potosì, Quintana Roo, Yucatan, Guerrero, Michoacan, e in alcune zone di Oaxaca e Zacatecas.
Particolarmente curato il sistema delle telecomunicazioni anche grazie a tecnologie moderne e a tecnici pagati per creare un net work radio in grado di assicurare contatti a lunghe distanze. La scoperta, nello Stato di Veracruz, l’8 settembre 2011, da parte di un reparto della Marina militare, di un’articolata rete di comunicazione riservata ai Los Zetas, rappresenterà la conferma di quanto detto. Altri interventi per individuare sistemi di comunicazione sul territorio verranno attuati per tutto il 2011 con il bilancio finale di sequestri di 155 ripetitori, 170 antenne, 166 gruppi elettrogeni, 1500 apparati radio e computer. Si accerterà, inoltre, l’impiego, forzato, di tecnici “sequestrati” ( almeno tredici di cui due trovati cadaveri alcune settimane dopo la scomparsa), dai narcos per installare le complesse maglie radio in territori impervi.
I Los Zetas hanno costituito diversi nuclei operativi al confine con il Guatemala e la loro presenza, non solo sul mercato delle droghe1, è stata documentata processualmente in diversi paesi del continente americano2, europeo3 ed asiatico. Sulla spregiudicatezza ( spesso i membri del cartello utilizzano autovetture con le fiancate marcate dalla lettera Z) e sulla crudeltà dei Los Zetas, gli episodi sono innumerevoli. Tra questi, il sequestro, nell’ottobre del 2008, di un appartamento nel municipio di Ocampo, con attrezzature sofisticate per torturare i “rivali” di altri cartelli, l’attentato al consolato americano di Monterrey nello stesso periodo, l’assalto, in pieno giorno, nel dicembre del 2009, alla caserma di polizia di Escobedo (Monterrey) per liberare ventitre affiliati al cartello arrestati poco prima e l’eliminazione di una quindicina di persone, tra cui due donne, nel luglio 2010, i cui cadaveri “sezionati” verranno fatti ritrovare lungo la strada Matamoros-Ciudad Victoria con la lettera “Zeta” impressa sugli indumenti. Le mutilazioni e gli smembramenti dei cadaveri rappresentano la modalità più feroce, primitiva di eliminazione dei “concorrenti” e dei “traditori” del cartello dei Los Zetas. Si parla, addirittura, di “arruolamenti” di macellai e chirurghi per decapitare e sezionare i cadaveri dei nemici. Una vera organizzazione criminale di belve. Gli episodi si susseguono con una cadenza impressionante che rivelano una vera guerra con il cartello del Golfo (in particolare a Nuevo Leon) e con quello della Familia ( e della “costola” dei Caballeros Templares”), in altre zone del paese. Tra gli episodi più eclatanti del 2011, va ricordato quello del 9 luglio a Torreon. Dieci corpi decapitati, tra cui quelli di tre donne, sono il segno della loro presenza! La strage, poi, del 25 agosto, a Monterrey, dove viene incendiato il casinò Royale da un gruppo dei Los Zetas, con la morte di cinquantadue persone, rappresenta l’atto di barbarie più terrificante di cui si abbia memoria in Messico. Quattro mesi dopo, il 4 gennaio 2012, verrà assicurato alla giustizia Baltazar Sauceda Estrada (El Maperros), uno dei Los Zetas che aveva ordinato l’incendio al casinò.
Nonostante i duri colpi inflitti dai militari e dalla polizia federale con la cattura e l’uccisione, in molteplici scontri a fuoco, di appartenenti, anche di primo piano, alla struttura criminale, del gruppo originario dei Los Zetas, dopo la morte del suo fondatore e di Heriberto Lazcano Lazcano (El Lazca o El Verdugo), ucciso in un conflitto a fuoco con i fanti della Marina il 6 ottobre 2012 a Progreso (Coahuila), a metà ottobre 2012, erano ancora latitanti ben otto personaggi di rilievo: Miguel Angel Trevino Morales (Z40),Carlos Vera Calva (El Vera), Daniel Enrique Marquez Aguilar (El Chocotorro), Galdino Mellado Cruz (El Mellado), Gonzalo Geresano Escribano (El Cujie)4, Rogelio Guerra Ramirez (El Guerra), Priscilliano Ibarra Yepis, Eduardo Estrada Gonzales e Victor Nazario Castrejon Pena.
El Lazca è stato il leader indiscusso del cartello sino alla sua morte. Alla sua “generosità” si deve la costruzione, a Pachuca (Tezontle), nel 2009, della cappella in onore della Senora de los Lagos. Una targa, affissa in modo ben visibile all’ingresso, ricorda che il Centro di Evangelizzazione Giovanni Paolo II (così è intitolato il santuario), fu realizzato grazie alla donazione di Heriberto Lazcano. A ben vedere niente di nuovo nel panorama internazionale dei “mafiosi” e della loro apparente “vicinanza” alla Chiesa.
Le violenze del cartello diventano particolarmente “insopportabili” quando a settembre e ottobre, in tre circostanze diverse, vengono abbandonati lungo le strade di Veracruz i cadaveri di sessantuno persone. La “mattanza” viene rivendicata da un gruppo che si autodefinisce dei “Mata Zetas”, che appaiono, incappucciati, in un video di internet il 28 settembre. Alcuni osservatori parlano di gruppi paramilitari costituitisi innanzi all’inerzia e alle collusioni della polizia. Le autorità parlano di un gruppo criminale che rappresenterebbe la “Nueva Generation” del cartello di Jalisco. Difficile, anche per la polizia, riuscire a districarsi nel groviglio di cartelli, minicartelli, scissioni all’interno di cartelli e bande di criminali che fioriscono qua e là in tutto il paese.
In questa guerra, ai primi di novembre, scendono in campo anche gli hackers di Anonymous che accusano i Los Zetas di aver rapito un loro membro a Veracruz minacciando, laddove non venga liberato entro il 5 novembre, di diffondere on line informazioni sui narcotrafficanti e sugli appoggi di cui godono con la stampa e i politici. Il “simpatizzante” di Anonymous verrà liberato il 3 novembre con un messaggio dei Zetas; per ogni persona che dovesse essere segnalata come collusa con il cartello, saranno giustiziate dieci persone. Il silenzio cala subito sulla vicenda mentre a Guadalajara, il 24 novembre, vengono recuperati i cadaveri di ventisei persone a bordo di tre furgoni parcheggiati lungo la strada. In un messaggio i Los Zetas si attribuiscono il massacro.
In un rapporto elaborato da Stratfor (USA), agli inizi di dicembre 2011, si parla di una “alleanza” (Nueva Federacion) stretta tra il cartello del Golfo, la Familia e Sinaloa per contrastare adeguatamente i Los Zetas che, anche nel settore dei sequestri di persona , la fanno da padroni, seguiti dalla Familia Michoacana e dai Caballeros Templares (32%), dal cartello de Pacifico (10%), di Juarez (3%) e degli Arellano Felix (1,4%). Ben 704 persone sono state liberate dalla polizia federale nel corso del 2011 contro le 326 del 2010 e le 161 del 2009. Secondo analisti della criminalità messicana, nel periodo della presidenza Calderon, i casi di sequestri di persona portati a conoscenza delle autorità non avrebbero superato il 20% degli episodi verificatisi. Insomma, sarebbero state non meno di ventimila le persone sequestrate negli ultimi cinque anni, molte delle quali uccise, ed oltre l’80% degli episodi si sono verificati nello Stato del Messico, nel Distretto Federale, a Chihuahua, Tamaulipas, Oaxaca, Hidalgo, Guerrero, Veracruz, Michoacan. Una piaga dolente che, alla fine del 2011, si è andata ad aggiungere alle altre che già affliggono un paese per altri versi affascinante.
Il 12 giugno 2012 al termine di un’indagine durata tre anni, con l’ausilio del Dipartimento di Giustizia americano e della Dea, veiene arrestato Josè Trevino Morales, fratello del più noto Miguel Angel (El Z40), e dodici “soci” accusati di riciclaggio di denaro proveniente dal narcotraffico attraverso l’impresa Tremor Enterprises specializzata nell’acquisto di cavalli di razza. L’operazione si svolge con un grosso spiegamento di uomini e mezzi negli Stati di New Messico ed Oklahoma dove erano le sedi della Tremor.
Il 22 settembre, con il ritrovamento nel municipio di Venustiano Carranza (Michoacan), di una settantina di pezzi di cadaveri umani (sette persone?) a bordo di un’auto bruciata, riesplode lo scontro dei Los Zetas con i Caballeros Templarios. Alla fine del 2012 le statistiche (ufficiose) parlano di oltre quindicimila omicidi collegati alla criminalità organizzata a cui si aggiungono diverse centinaia di sequestri di persona con gli ostaggi mai più ritrovati. Impietoso il rapporto dell’Istituto di Economia e Pace che pone il Messico tra i paesi più violenti al mondo (135° su 158, solo dopo Iraq, Sudan, Afghanistan e Somalia). Nel 2013, la prima notizia di un certo rilievo sui Los Zetas emerge il 12 marzo. Sono terminate alcune indagini antidroga condotte congiuntamente dalle autorità russe e nicaraguensi che hanno portato alla cattura di diversi narcotrafficanti che organizzavano spedizioni di cocaina in Europa e in Russia. Due i messicani arrestati tra cui tale Martin Flores, esponente dei Los Zetas e “operativo” a Managua.
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