4 anni dal terremoto: nulla sia dimenticato
Il tempo scorre e va via, non sare dire nessuna bugia. Sono passati 4 anni dalla terribile notte che devastò L’Aquila e l’Abruzzo. Ripercorriamo le strade del capoluogo abruzzese, torniamo nei luoghi del dolore, da Via XX Settembre al cuore del centro storico. Tutto è fermo, immobile. Come se quella terribile notte non fosse mai passata. Il tempo passato non dice bugie ed urla una verità terribile, quella di una città da 4 anni ostaggio di chi vuol strapparle ogni futuro. In queste ore, di rinnovato dolore, torniamo indietro di quattro anni. Ricordiamo il momento della terribile scossa, dove ci trovavamo, cosa stavamo facendo, la paura che ci ha invaso. E, subito dopo, il pensiero a L’Aquila, già da mesi teatro di molteplici scosse. Dalla tv, dalla radio, dal web abbiamo cominciato a vedere le prime immagini, ed una fitta al cuore ci rapì. Ricordiamo perfettamente l’angoscia per i cari di cui non avevamo notizie, lo scorrere delle ore nelle quali gioie, speranze, dolore e tristezza s’intervallavano. Non dimenticherò mai la mattina del 6 Aprile. Ero a Vasto ed insieme ad un’altra persona provavamo a chiamare sua cugina che studiava a L’Aquila. Passavano le ore e il telefono era sempre spento. E ad ogni tentativo a vuoto si cercava di farci forza a vicenda. Poi, dopo due giorni, abbiamo saputo che era già tornata a casa, sulla costa, il venerdì, spaventata dallo sciame. E nel frattempo piombava su Vasto la notizia che non era stato ancora ritrovato Davide Centofanti. Un’intera comunità si strinse e trattenne il fiato. Passarono i giorni, “Davide torna” “Davide ti aspettiamo”, si cercava nelle parole e nella voglia di non mollare fino alla fine la speranza. Invano. Perché alla fine il corpo di Davide Centofanti fu ritrovato, e la tristezza avvolse tutti. Davide era stato schiacciato quella maledetta notte nella Casa dello Studente, diventata la tomba di lui ed altri studenti dopo che gli allarmi sulla sicurezza dell’edificio per mesi erano rimasti inascoltati.
La memoria corre contro il vento del tempo e torna a quei maledetti momenti. Ma non si ferma solo lì. Sarebbe ingiusto, crudele, ipocrita, un partecipare ad un nuovo assassinio de L’Aquila e dei 309 morti. La memoria non può che avere molte altre tappe. Perché nel tornare indietro inciampa nelle tendopoli che per mesi e mesi ingabbiarono gli aquilani, nella scelta deliberata di impedire loro ogni attività sociale, di recluderli nelle loro tende, impendendo loro di essere comunità. Furono i mesi definiti dall’Abruzzo Social Forum di un “colpo di stato strisciante”, della totale “militarizzazione”. S’incontrano gli sciacalli che ridevano quella notte, s’inciampa nelle cricche di mafiosi e speculatori che si arricchivano alle spalle di una città a cui s’impediva di rinascere. Bruciano ancora le manganellate e la brutale repressione del luglio 2010 a Roma, a difesa del passerellomane di quei mesi. Perché mentre L’Aquila soffriva giorni atroci, le passerelle e gli show si inannellavano uno dopo l’altro. Dal G8 al compleanno in diretta tv. Mentre il mondo e l’Italia contemplavano i “Grandi” della Terra, per la cui passerella venivano spesi miliardi, migliaia di anziani agonizzavano nelle tendopoli. Nel ricordare il terremoto non possiamo dimenticare le false promesse, gli affari delle cricche e delle mafie, la speculazione che arrivò a falsificare persino il “grado” della scossa e a lucrare sulle bare, sulle case provvisorie (che appaiono sempre più definitive), sui bisogni fisiologici delle popolazioni con i bagni chimici. Non possiamo dimenticare che un processo penale ha affermato che si è redatto postumo un verbale della “Commissione Grandi Rischi”, la finta commozione di chi doveva invece rappresentare e tutelare la cittadinanza. Mai perdoneremo chi ci ha insultato, definendo L’Aquila un peso morto o accusando gli aquilani di essere i “colpevoli” della mancata ricostruzione (lo disse qualcuno un anno fa, creando false contrapposizioni tra aquilani indolenti ed emiliani che invece sarebbero stati subito laboriosi) e che forse avrebbe dovuto pensare alla sua avventura di sindaco siciliano, interrotta prematuramente dal commissariamento del Comune per “infiltrazioni mafiose”.
“Se quattro anni vi sembran pochi” hanno denunciato i comitati cittadini in questi giorni. Se quattro anni vi sembran pochi per restituire la propria città a L’Aquila, all’Abruzzo, al mondo civile. Ripercorriamo la “via della strage”(come è stata ribattezzata in questi giorni Via XX Settembre), torniamo alla Casa dello Studente. E rivediamo le stesse identiche scene di quella maledetta notte, di quei giorni di dolore. Ho ancora sul mio cellulare le foto scattate la notte del 31 dicembre 2009, durante la Marcia per la Pace di fine anno che quell’anno si svolse a L’Aquila. Oggi rivedo le stesse immagini, le stesse macerie, la stessa distruzione e desolazione. Stride quindi con la realtà l’affermazione del ministro di un governo dimessosi mesi fa che accusa di “gufare”, senza spendere una sola parola per smentire (se ci riesce) le denunce di chi non crede a promesse che non appaiono realizzabili.
E non si pensi che sia un caso che, proprio nelle ore in cui ricordiamo la strage del 6 Aprile 2009, a Pescara riesploda la rabbia della marineria, sacrosantemente indignati per un mancato dragaggio che li sta riducendo alla disperazione. Sono figli dello stesso mondo, L’Aquila e Pescara, sono figli della stessa gestione dei territori.
Ma non credete, la storia non è finita, la storia sono loro, siamo noi. Aquilani, Pescaresi, italiani e italiane tutte. Non smetteremo mai di indignarci, di ricordare, di impegnarci per la giustizia, la verità, il futuro. E se qualcuno si crede intoccabile, invincibile, autoassolto, torneremo sempre a bussare alle sue porte e a gridare la nostra indignazione e la nostra rabbia…
Ass. Antimafie Rita Atria
PeaceLink Abruzzo
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