Torni in Sicilia la marcia per la Memoria e l’Impegno
Con ancora nella mente e nel cuore il turbinio di emozioni e sensazioni della XVIII giornata in ricordo delle vittime delle mafie che ha avuto una grandissima partecipazione di cittadine e cittadini a Firenze, capitale del vecchio e del nuovo rinascimento, proviamo a guardare avanti, al nuovo anno di impegno che ci attende. Tanti i temi lanciati dal palco e poi dai seminari e queste giornate servono già a mettere a punto tantissime proposte approfittando anche del fatto che tutto questo è avvenuto mentre si insediava il nuovo Parlamento e mentre Camera e Senato si apprestano a definire i percorsi per eleggere il nuovo Capo dello Stato e dare la fiducia al nuovo Governo. E quindi le proposte del “popolo” di Libera potranno essere presentate approfittando delle porte aperte del Parlamento, potranno essere sicuramente accompagnate dalla spinta dei nuovi presidenti delle Camere, Laura Boldrini e Pietro Grasso che non a caso nei loro discorsi di insediamento hanno voluto dedicare interessanti parole proprio all’associazione Libera. Io personalmente penso a due proposte di legge che non posso non avere cittadinanza nel nuovo Parlamento: la legge contro la corruzione, e una norma di legge che difenda il diritto di fare informazione introducendo anche quella norma che faccia scattare il diritto di rivalsa per tutti quei giornalisti che oggi patiscono le citazioni in sede civile che in sostanza sono le moderne intimidazioni “in nome della legge” che colpiscono tanti cronisti. Ma di proposte ce ne sono ancora tante altre e si spera vengano accolte in Parlamento perché domani non ci siano più morti per causa dei vivi che non sono stati vivi abbastanza. Se accadrà questo significherà che ci sarà maggiore legalità e maggiore contrasto alle mafie.
Può sembrare prematuro pensare, con tutto quello che ancora c’è da fare, alla XIX giornata del 2014. Ma io provo a farlo. In punta di piedi, carico di quelle emozioni vissute a Firenze, lancio una proposta: la marcia torni in Sicilia, perché, come scriveva Leonardo Sciascia, se si vuole difendere la democrazia e la libertà nel nostro Paese è in Sicilia che ogni giorno bisogna combattere la battaglia. Spesso ho la sensazione che distratti da tante cose, pensando che le mafie oramai abbiano fatto armi e bagagli e si siano trasferite al nord, convinti e soddisfatti che le novità politiche abbiano messo già all’angolo Cosa nostra. Ma la realtà, purtroppo, è altra.
Ce lo dicono le recenti relazioni dei servizi segreti, lo raccontano alcuni reportage giornalistici, Cosa nostra che sta tornando ad organizzare le sue truppe, assolda giovani, come pare accada nel nisseno, e non solo in provincia di Caltanissetta. Abbassare la guardia è cosa pericolosa. E questo in Sicilia sta avvenendo. Tanti politici e professionisti hanno saputo riciclarsi, l’antimafia è predicata da tanti e poi però ci sono silenzi che fanno tanto rumore dinanzi a sindaci ignavi che chiamano malandrini i mafiosi, a primi cittadini che condannati per avere favorito imprenditori mafiosi non si dimettono, dinanzi alla cittadinanza onoraria a un prefetto coraggioso che viene ancora oggi negata con tanta ipocrisia, dinanzi all’assenza di collaborazioni e denunce, mentre si continua a dare dell’untore a chi decide di collaborare con gli organi investigativi. Resiste un assordante silenzio davanti ai sequestri e alle confische che ogni giorno si fanno in Sicilia e che testimoniano che dinanzi ad una cassaforte della mafia scoperta ve ne sono tante altre che restano segrete, e le banche qui continuano a fare raccolta di denaro, che viene trasferito nelle city europee, dove si decide la finanza dell’Europa, ingenti depositi di denaro in aperta contraddizione alla povertà e alla disoccupazione che non salva nessuna delle nove province siciliane. E la mafia oggi se ne ride della crisi dei mercati.
Questa è la terra che ancora dopo 20 anni continua a nascondere quel mafioso e assassino che porta il nome di Matteo Messina Denaro. Ce lo hanno detto le più recenti relazioni, come quella dei Servizi, questa è una latitanza che non viene interrotta perché in questi 20 anni, e ancora prima di questi 20 anni, ha trovato incredibili coperture da parte della politica, della massoneria, di forze imprenditoriali, da parte di banche e banchieri, di professionisti e colletti bianchi, personaggi che invece di essere pubblicamente appellati come professionisti della mafia, vengono rispettati e riveriti anche quanto la giustizia si è interessata a loro. Matteo Messina Denaro ancora oggi viene venerato come un dio, c’è chi crede alle sue bugie, lui dice di essere un perseguitato, mentre porta appresso, come una sorta di salvacondotto, il famoso “papello” che Riina aveva scritto per quella trattativa alla quale parte dello Stato aveva ignobilmente creduto e sostenuto, provocando altre stragi e altri morti mentre ci raccontavano questi uomini dello Stato che la mafia la stavano combattendo e invece alcuni andavano a sedere agli stessi tavoli. Trattative grandi e trattative piccole, trattative nazionali e trattative di periferia. Di tante trattative si potrebbe scrivere. Questa è la terra dove si parla di generica difesa della legalità e non si pronunzia mai bene e in modo adeguato la parola mafia. Qui resiste la mafia sommersa, quella che ha riposto ma non sotterrato le lupare e le bombe, ma che indossa grisaglie e porta in giro 24 ore colme di denaro per corrompere.
E allora forse ce ne sono abbastanza di ragioni perché nel 2014 torni in Sicilia la “marcia” dei familiari delle vittime delle mafie e dei cittadini che ogni giorno in ogni parte d’Italia difendono facendo uso della memoria la democrazia e la libertà con un grande e volontario impegno. Io penso che Erice, città della Pace, gemellata con la città di Assisi dedicata a San Francesco, città che ha conosciuto come Firenze e Palermo uno dei momenti più tragici dello stragismo mafioso, con la strage di Pizzolungo del 2 aprile 1985, possa accogliere la celebrazione della giornata alla vigilia dei 30 anni dalla morte di Barbara Rizzo Asta e dei suoi gemellini Salvatore e Giuseppe che avevano sei anni quando il tritolo mafioso li dilaniò e un lampo li inghiottì per sempre. Penso che l’antico borgo medievale di Erice potrebbe accogliere i familiari e poi tra Erice e Trapani può bene allungarsi la marcia facendo toccare con mano che la storia del nostro Paese, delle nostre città se si vuole può davvero cambiare.
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