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Vent’anni dopo la bomba al Velabro

di Norma Ferrara il . Lazio

Della bomba che nella notte fra il 27 e il 28 luglio del 1993 aprì una breccia sulla facciata della Chiesa di San Giorgio al Velabro a Roma, oggi agli occhi del visitatore, rimane poco. La ricostruzione della chiesa, gli anni trascorsi, i processi sulle stragi ancora lontani da una verità completa, non aiutano la memoria. Ma vent’anni dopo quell’attentato programmato otto minuti dopo la mezzanotte e solo 5 minuti dopo l’altra bomba che scoppiò nella vicina piazza San Giovanni, una iniziativa promossa da Libera e una vasta rete di associazioni ha riportato memoria e impegno in questo luogo simbolo della strategia terroristica di Cosa nostra, messa in atto fra il 1992 e il 1993. Ed è qui che sono stati letti ieri i 900 nomi delle vittime delle mafie, nella Giornata che da 18 anni i familiari hanno scelto per rinnovare la memoria e l’impegno: il 21 marzo.

Il primo giorno di primavera al Velabro si apre con il ricordo di quelle bombe, scoppiate secondo una “strategia della tensione”, a Firenze, a Roma e a Milano. Un periodo fra i più difficili della storia della nostra Repubblica come ricorda Ferdinando Secchi, coordinatore di Libera a Roma e nel Lazio –  ma che ha dato spinta ulteriore alla nascita di una rete di associazioni, istituzioni, impegnate in Italia sul fronte antimafia. Lotta alle mafie che è soprattutto riaffermazione dei diritti fondamentali  che sono  – spiega Secchi  – “interconnessi” perché “non ci sono diritti che possono essere rivendicati separatamente da altri diritti”. C’è un legame indissolubile – al contrario – che tiene unite la battaglia per la legalità, la giustizia sociale, la dignità delle persone. E per fare questo non possiamo permetterci di dimenticare le storie di chi – per l’affermazione di questi diritti – ha perso la vita “perdere anche solo una di queste storie – conclude Secchi – significa perdere un pezzo di noi, un pezzo di storia di questo Paese”.

Una storia che portano nella mente, negli occhi e nel cuore i familiari delle vittime della violenza dei clan. Molti di loro hanno scelto di diventare testimoni di questo dolore trasformandolo in impegno, concreto, contro le mafie e la corruzione. E’ cosi per Alfredo Borrelli e Alessandro Antiochia, ieri presenti alla Giornata del 21 marzo al Velabro. «La mia storia – spiega Alessandro è simile a quella di molti altri, sono il figlio di una vittima di mafia, uccisa due volte: dalla mafia e dal silenzio» Il padre di Alfredo, Francesco Borrelli, era un carabiniere, un elicotterista. Mentre si trova in Calabria, nel centro storico del suo paese, Cutro, il 13 gennaio del 1982 capisce che sta per nascere una sparatoria che potrebbe coinvolgere molti innocenti. Fa il suo dovere e cerca di evitarla, si mette ad urlare per far allontanare la gente, i mafiosi sparano, il boss si salva mentre Francesco Borrelli muore. Negli stessi attimi il comandante dei carabinieri di Cutro è al riparo dietro la saracinesca di un bar che abbassa durante la sparatoria per nascondersi. «Per noi familiari – racconta Alfredo – nostro padre è stato ucciso due volte quando l’amministrazione comunale decise di dare un encomio al maresciallo (poi espulso dall’Arma, ndr). Sono  scelte come questa che uccidono i nostri cari una seconda volta». Il paradosso, la mancanza di consapevolezza, l’indifferenza. Si può uccidere anche con il silenzio, come ha ricordato Don Luigi Ciotti a Firenze, nel suo discorso con quell’appello ripetuto più volte “non uccidiamoli una seconda volta”.

Un silenzio che si può rompere con la testimonianza. Come ha fatto per tanti anni la mamma di Roberto Antiochia agente della polizia di Stato, collaboratore del commissario Ninni Cassarà e di Beppe Montana. Fu ucciso mentre con il suo corpo faceva da scudo a quello di Cassarà il 6 agosto del 1985 a Palermo. E’ dall’intuizione di Saveria Antiochia che nacquero i principali movimenti di società civile impegnati nella lotta alle mafie nel nostro Paese, dal primo gruppo chiamato appunto “società civile” a Milano sino a Libera, nel 1995. A portare avanti quell’impegno, doloroso ma necessario, oggi dopo la scomparsa di Saveria, il fratello di Roberto, Alessandro Antiochia che ieri ha raccontato queste due storie, intimamente legate, la sofferenza della madre e la determinazione del fratello che quel giorno, quando scelse di stare accanto al commissario Cassarà, “sapeva di rischiare” “ma non volle lasciarlo solo”.  «Oggi – dice Alessandro – che la mamma non c’è più ho scelto di continuare a testimoniare come ci ha insegnato lei e sono contento di vedere che l’impegno dei giovani rispetto a molti anni fa è aumentato, che le scuole hanno fatto davvero notevoli passi avanti, che la memoria sia diventata una valore per tanti». Qualcosa si muove, spiega Alessandro che solo poche ore prima è stato proprio a Terni, città in cui Roberto nacque, a celebrare il 21 marzo con il coordinamento di Libera che proprio al fratello è dedicato. 

Saldare la testimonianza  all’impegno è necessario, è alla base della nostra forza, alla radice – commenta Don Tonio dell’Olio, dell’ufficio di presidenza di Libera. «Spesso sento dire che  coloro che sono morti nella lotta alle mafie si trovavano “nel posto sbagliato al momento sbagliato”. E’ l’ora, invece, di riaffermare il contrario coloro che sono morti erano proprio nel posto giusto al momento giusto,  sono i mafiosi che uccidono ad essere nel posto sbagliato al momento sbagliato».  E’ il momento di guardare ai fatti, alla realtà delle cose – spiega Dell’Olio. E per farlo bisogna sapere stare in uniti, dalla società civile, alle scuole, alle istituzioni, alla politica  “Si anche alla politica  perché noi – chiosa Tonio Dell’Olio – non abbiamo mai detto “che sono tutti uguali” anzi,  la nostra unica speranza per cambiare le cose in questo paese e nel mondo è proprio che “non siano tutti uguali”.

Un invito a continuare a credere e sostenere la buona politica, dunque,  a pochi giorni dall’insediamento dei due presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso, che nei loro primi interventi pubblici hanno parlato di lotta alle mafie, che hanno aderito durante la campagna elettorale alla piattaforma di proposte contro la corruzione, e infine, a poche ore dalla presentazione di una nuova proposta di legge per istituire il 21 marzo come Giornata nazionale in ricordo delle vittime delle mafie. Perché nel nostro Paese dopo 18 anni  il Parlamento non ha ancora approvato il “21 marzo”. Paradossi appunto, come quelli del silenzio, dell’indifferenza. Come quelli che “uccidono una seconda volta”.

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