Informazione e carcere: una carta deontologica per giornalisti
“Perchè quando parlate di carcere raccontate solo gli aspetti peggiori? Perché rispetto ad un percorso di reinserimento ben riuscito fa notizia invece il detenuto che in permesso premio scappa oppure commette un furto rispetto ai tanti che invece fanno ritorno?” Questi gli interrogativi posti alla categoria nella giornata di presentazione della Carta del Carcere e della pena la scorsa settimana a Regina Coeli. Eh si perché in questi, come per altri argomenti, il sensazionalismo, la notizia ad effetto ha un peso decisamente maggiore, ma rappresenta anche la distorsione dell’informazione nostrana. E se questo vale per il carcere allo stesso modo può valere quando si parla di immigrazione, di disabilità, di rom… ovvero di tutti quei contesti che si collocano “ai margini” per antonomasia.
Per porre in qualche modo rimedio alla distorsione è ora disponibile, per gli addetti ai lavori, la nuova carta deontologica, che in pochi punti schematici fissa dei criteri per una corretta informazione e per il rispetto, non solo di chi si trova al di là delle sbarre, ma anche dei familiari che stanno fuori e delle vittime e dei loro familiari. A sottolineare questo aspetto non così scontato, è una detenuta del carcere di Pavia, in permesso premio, arrivata appositamente a Roma per prendere parte all’iniziativa. Il concetto alla fine è di un’estrema semplicità: continuare ad insistere in maniera morbosa su un reato, continuare a rivangarlo appiccicandolo addosso alla persona che lo ha commesso, magari anche dopo che questa ha finito di scontare la sua pena significa non solo impedire all’ex detenuto/a di intraprendere un percorso di reale reinserimento sociale, ma implica anche un rinnovato dolore nelle vittime o nei familiari delle stesse. Un danno duplice, che incide pesantemente su quello che dovrebbe essere lo scopo primario della detenzione carceraria e che fa leva su quel diritto all’oblio che in Italia è una pagina ancora indistinta.
Diritto contenuto nella stesura iniziale della carta, ma misteriosamente sparito dopo l’approvazione da parte del Consiglio nazionale dell’Odg, senza che a questo sia stata data una spiegazione: “ sono ammesse ovvie eccezioni per quei fatti talmente gravi per i quali l’interesse pubblico alla loro riproposizione non viene mai meno. Si pensi ai crimini contro l’umanità, per i quali riconoscere ai loro responsabili un diritto all’oblio sarebbe addirittura diseducativo. O ad altri gravi fatti che si può dire abbiano modificato il corso degli eventi diventando Storia, come lo stragismo, l’attentato al Papa, il “caso Moro”, i fatti più eclatanti di “Tangentopoli”.
Evidentemente quel vuoto normativo che di fatti esiste, o la paura che in qualche modo potesse essere leso il diritto di cronaca deve aver messo un freno, e il paragrafo è scomparso nella bozza finale, e nello stupore generale dei promotori. Tuttavia, in attesa che l’Ordine decida di chiarire le perplessità in merito al punto rimosso, le questioni che riguardano l’informazione sul carcere sono anche altre e ben più ampie e partono dalla necessità primaria di una accurata conoscenza della legge e dei suoi dispositivi ( il giornalista non può non sapere…) fino ad arrivare al racconto della vita dentro e fuori dal carcere, prescindendo dagli inevitabili stereotipi. “Da quando abbiamo tirato in ballo, giustamente, la questione del sovraffollamento- dice per esempio Patrizio Gonnella – sembra che questo sia l’unico problema in carcere, o che comunque tutto dipenda dalle carceri sovraffollate…” La verità è piuttosto che dietro quelle sbarre c’è un mondo molto più complesso ed è piuttosto quello raccontato da chi l’informazione la fa direttamente dal carcere, da dietro le sbarre, con i detenuti: riviste, siti online, trasmissioni radiofoniche e che troppe volte hanno scarsa voce nel mondo “esterno”. L’input per una carta deontologica parte proprio da quel contesto, fatto di volontari e persone che dentro il carcere lavorano quotidianamente. Sta ora alla categoria far si che l’ennesima carta non torni ad essere lettera morta e la questione detentiva rientri a pieno titolo nell’agenda del prossimo Governo.
A questo proposito i discorsi di insediamento dei neo Presidenti di Camera e Senato dovrebbero far ben sperare.
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