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Diffamazione e diritto all’oblio

di Lucia Lipari* il . Senza categoria

Libera Informazione ha scelto di dedicare il pomeriggio di approfondimento della Giornata della Memoria e dell’Impegno, lo scorso 16 marzo a Firenze, al tema della libertà d’informazione, della diffamazione e del diritto all’oblio. A seguire l’articolo dell’avvocatessa Lucia Lipari dell’Ufficio Legale di Libera, fra le relatrici del seminario insieme ai giornalisti Santo Della Volpe, Rino Giacalone, Lirio Abbate, Giovanni Tizian.

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Una questione molto attuale e vivace infiamma il dibattito pubblico:  la considerazione del diritto all’oblio  come garanzia costituzionale da un lato e bavaglio alle vittime, forse, privilegio in più per chi delinque dall’altro. Il diritto ad essere dimenticati, come dicono gli inglesi right to be forgotten, nell’era del web 2.0 è possibile? E’ giusto avere il diritto di cancellare passati difficili? Notizie ingombranti? Il dibattito ha investito le Autorità sulla privacy e l’Europa, che sta studiando una possibile Direttiva da rendere applicabile in tutti gli Stati membri. Ma analizziamo un po’ più da vicino questo magmatico diritto all’oblio, previsto dalla giurisprudenza fin dagli anni ‘70 e annoverato tra i dr. inviolabili dell’individuo; è da considerarsi il diritto di chiedere che i propri precedenti pregiudizievoli, le informazioni tra virgolette scomode, che arrechino danni all’onore ed alla reputazione, passato del tempo siano rimosse e rese inaccessibili. La sua tutela ed accezione dinamica viene sancita dall’art. 2 della Cost. che recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”.

Si tratta quindi del diritto di un individuo ad essere dimenticato, o meglio, a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. In sostanza, un individuo che abbia commesso un reato in passato ha il pieno diritto di richiedere che quel reato non venga più divulgato dalla stampa e dagli altri canali di informazione; a condizione che l’opinione pubblica ne sia stata ampiamente informata. Questo principio del diritto parte dal presupposto che, quando un determinato fatto è stato assimilato e conosciuto da un’intera comunità, cessa di essere utile e si affievolisce pertanto l’interesse pubblico a divulgarlo: smette si essere oggetto di cronaca e ritorna ad essere un fatto privato e come tale si fa ricondurre nell’alveo del dr. alla riservatezza. Ciò tenendo in considerazione un fattore preminente: : il diritto all’oblio garantito dall’art. 2 della Cost. viene corroborato dall’art. 27 della Cost., secondo cui: “Le pene … devono tendere alla rieducazione del condannato” ed in questa chiave il dr. all’oblio ne favorirebbe un più facile reinserimento sociale.

La questione, tuttavia, si complica, perché come dicevamo all’inizio: nel momento d’oro dei social network si parla di una quantità impressionante di dati personali che circolano su internet e pertanto quasi ingestibile, si twitta e si postano foto e status quasi compulsivamente. Si pensi anche alle degenerazioni come lo “scandalo Instagram”, che avrebbe voluto disporre anche a scopo commerciale delle immagini degli utenti, o all’impossibilità di eliminare un account su Skype. “Dio perdona, la rete no”, ha, infatti, affermato Viviane Reding, Commissaria UE per la Giustizia ed i Dr. fondamentali, proponendo una riforma globale che tuteli la privacy degli utenti sul web e che dovrebbe essere convertita in legge entro il 2015. La riforma proposta, e l’Italia ha svolto un ruolo centrale nella sua formulazione, dice no alle gogne elettroniche e quindi mediatiche per chi ha delinquito e contempla: maggiore controllo dei propri dati sensibili, soprattutto per chi è stato soggetto a provvedimenti giudiziari; multe fino a 500.000 euro per i trasgressori; il consenso esplicito al trattamento dei propri dati personali; l’obbligo di avvisare gli utenti entro 24 ore, nel caso che si verifichi il furto dei  propri dati da parte di hacker; per le pubbliche amministrazioni la dotazione di un data protection officer, una nuova figura professionale che si occuperà proprio di vigilare sui dati. Ma il punto nevralgico è la cancellazione di informazioni personali pregiudizievoli qualora non più di rilevanza pubblica, tranne che dagli archivi delle testate. Sul punto non a caso la Reding ha chiarito che “Gli archivi dei giornali sono un’eccezione, il diritto ad essere dimenticati non può significare il diritto a cancellare la storia”. La precedente Autorità Garante della Privacy Francesco Pizzetti, oggi è Antonello Soro, si è mosso in questa direzione sin dal 2005, ribadendo così anche recentemente, alla presenza di Google e Facebook, durante la Digital Life Design, una grande conferenza di cultura digitale, l’orientamento in favore del dr. all’oblio ed all’identica protezione dei dati in tutta l’Unione Europea, il tutto bilanciato dal limite del principio di pertinenza per cui i fatti possono essere riproposti, anche a distanza di tempo,  ma solo se hanno una stretta relazione con nuovi fatti di cronaca e vi è un interesse pubblico alla loro diffusione.  Ciò che si vuole evitare, in verità, è che si crei l’effetto del messaggio in bottiglia: il far galleggiare notizie imbarazzanti che in rete sono prontamente conoscibili con un click. Ma può mai essere invocato un asettico dr. all’oblio se si parla di assassinii che hanno tenuto col fiato sospeso la nazione o comunque determinato un lutto sine die ai familiari delle vittime? Si può nel bilanciamento degli interessi in gioco optare per ovattare le esistenze? Coprire la realtà di un velo di Maya? E’ un’operazione azzardata dal punto di vista sociologico, ma ancor più umano. La riforma in cantiere snatura, altresì, l’essenza stessa di internet: cioè la possibilità di tutti di fruire delle notizie in tempo reale, notizie destinate a vivere nell’eterno presente di internet, ma il dato grave è la minaccia che rappresenta per la stessa libertà di espressione, visto che oggi molta informazione vive nei blog e nei siti di citizen journalism (giornalismo orizzontale fatto dai cittadini). A tal proposito, Vittorio Zucconi su Repubblica ha parlato dell’indelebile memoria della rete, il salto di qualità di una sorta di Grande Fratello divenuto un grande Archivista: il web. Il fatto di disciplinare la materia è apprezzabilissimo, ma sul dr. all’oblio proprio no. Se consentiamo a chiunque la pretesa di rimuovere un contenuto giudiziario sgradito, guardando a questa epoca attraverso internet, sembreremo tutti dei chierichetti e le storie dei delinquenti e dei mafiosi saranno sparite o convertite in favole.

E’ bene citare una sent. della Corte di Cassazione del 1998, la n. 3679, secondo cui: se l’interesse pubblico sotteso al diritto all’informazione (art. 21 Cost.) costituisce un limite al diritto fondamentale alla riservatezza (artt. 21 e 2 Cost.), al soggetto a cui i dati appartengono  è correlativamente attribuito il diritto all’oblio e cioè a che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati. Emblematica sul tema è anche la sentenza n. 5525 del 2012 della Terza Sez. Civ. della Corte di Cassazione, il cui dettato ha disposto che i siti di informazione devono correggere le notizie presenti nei loro archivi, anche quando sono vere. Correggerle nel senso di fornirne il contesto e l’eventuale aggiornamento. Il caso è quello di un ex assessore di un piccolo Comune di Milano, che negli anni di Tangentopoli era stato prima arrestato e poi in seguito prosciolto: i pm milanesi lo avevano accusato di corruzione. Però nell’archivio online del Corriere della Sera, si trovava la notizia del suo arresto, senza link o riferimenti.

L’ex assessore allora ha fatto ricorso al Garante della privacy, chiedendo la cancellazione dei dati personali che lo riguardavano nell’articolo del Corriere. Ai nostri fini serve rilevare che la Cassazione apoditticamente ci dice che le testate online, nel mare magnumdi internet, devono intervenire anche quando le notizie da loro pubblicate non costituiscono diffamazione o lesione della reputazione. Il fatto che su internet siano rintracciabili altre notizie su un caso nello specifico non esonera la società editoriale dall’obbligo di contestualizzare e aggiornare tramite “collegamento ipertestuale” l’evoluzione della sua vicenda processuale.

E’ bene ricordare anche una sentenza, del gennaio 2013, del Tribunale di Ortona, sebbene l’iter legis non si sia ancora concluso, che muove ancora in questa direzione. Considerazioni queste sviscerate, che ci permettono di riprendere il fil rouge di questa riflessione: l’Italia, parte del più grande contenitore europeo, può, nel contemperamento degli interessi, far prevalere il diritto all’oblio sul diritto alla storia ed alla memoria? Sulla bilancia delle garanzie pesano da un lato il dr. di cronaca, d’informazione, di trasparenza, dr. alla storia, alla memoria, alla manifestazione del proprio pensiero mentre dall’altro lato gravano il dr. alla riservatezza, alla continenza, alla protezione dei dati personali, dr. al reinserimento sociale dopo aver scontato una pena, il dr. all’onore ed al decoro contro la diffamazione e lesione della reputazione. Ad ogni buon conto, il limite che dovrebbe essere garantito pensando all’oblio ed alle vittime innocenti è quello oraziano della “giusta misura”, del mesotes, dei giusti confini, oltre i quali  non sempre vive il diritto. Non va mai dimenticato il valore incontrovertibile di un popolo a conservare la propria memoria, sia essa anche a tinte fosche, e soprattutto a ricordare le persone che hanno contribuito con la propria vita a dettarne il racconto.

Un fatto di cronaca può assumere rilevanza quale fatto storico? La risposta è affermativa, lo stabilisce la sent. N 5525 del 2012. Si pensi per iperbole al diritto  all’oblio, nell’ipotesi sempre di passaggio in giudicato, per reati di mafia, stragisti, delitti efferati o comunque reati compiuti da alte cariche dello Stato la cui gravità è indiscutibile …. Pare doveroso a questo punto ribadire a gran voce l’importanza sacrale della storia e la necessità inviolabile della Memoria. La parola Storia, dal greco iστορία, nella sua portata etimologica, sta a significare proprio la “conoscenza acquisita tramite indagine” e prodotta dalla memoria. La storia ha, in ragione di ciò, una proiezione teleologica verso il futuro, proprio per la sua potenza trasformatrice, come strumento di cambiamento sociale, ricordando le stesse parole di Karl Marx. Va tuttavia distinta la memoria dalla storia, perché la prima investe il mondo soggettivo dei ricordi privati, delle vicende personali; la storia invece stigmatizza un’esperienza collettiva o comunque soggettiva ma letta in modo terzo, la storia va a rivestire così una funzione sociale della memoria stessa, ingente patrimonio etico e culturale di ogni popolo. Ne discende facilmente la grande responsabilità dello storico: sottrarre alla morte il racconto dell’uomo. Marguerite Yourcenar che sembra riprendere le parole di Marx riguardo alla forza trasformatrice della storia, in Memorie di Adriano fa dire al suo protagonista: “ho ricostruito molto e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito e modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire… significa scoprire sotto le pietre il segreto della sorgente”. Che dire… la storia siamo noi e per Libera, ancor di più, è ricerca della verità, non una semplice celebrazione del passato ma uno sguardo al domani, forti della consapevolezza di ciò che è stato; perché la memoria quando è viva, condivisa e riconosciuta si strappa all’anonimato e diventa storia. Volti, nomi, racconti, passioni. Onorare chi è morto, significa costruire condizioni diverse per le società di domani, passare il testimone attraverso la memoria e cosi affrancare le società dall’ipoteca criminale. Questo lo spirito da cui è nata la “Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie”.  Ecco perché il diritto. all’oblio non può affermarsi ipso facto. Andiamo verso un nuovo diritto di cittadinanza che vede nel principio della trasparenza, nella storia, come possibilità di conoscere, un suo pilastro. E questo dobbiamo pretendere: storia, verità, trasparenza, giustizia.

 * a cura di Lucia Lipari, avvocatessa, Ufficio Legale di Libera

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