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A Firenze per unire quello che le mafie dividono

di Françoise Farano il . Senza categoria

(Dalla nostra inviata del campo di mediattivismo).  Sono in tanti sotto questo sole di marzo che scalda gli ultimi giorni di’inverno di Firenze durante la diciottesima Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie. Oltre 150 mila, venuti da tutta Italia, di ogni età e orientamento, in una parola “trasversali”, «per unire  – come dice don Luigi Ciotti – quello che le mafie e il potere vogliono dividere». Questo fiume coloratissimo di partecipazione attiva scorre vivo sotto le finestre dei fiorentini. Una breve sosta spontanea proprio davanti alla casa dove passò gli ultimi giorni don  Lorenzo Milani, il 27 maggio 1923. A vederci, il prete degli ultimi, sorriderebbe, anzi di certo sorride da lassù, e accarezza con uno sguardo di gentilezza e comprensione i familiari delle vittime delle mafie, alla testa dei 150 mila con il loro «dolore che si fa impegno graffiante». I nomi dei loro congiunti vengono scanditi uno ad uno per non dimenticare, per non dimenticarli e impedire che essi vengano uccisi una seconda volta.

Il piazzale accanto allo stadio “Artemio Franchi” echeggia delle parole fondatore dell’Associazione Libera contro «le mafiosità addormentate e addomesticate… C’è bisogno di cose vere, di sostanza, di proposte… di un parlare serio, puntuale e sobrio, di parole non svuotate del loro significato» e la notizia dell’elezione alla Presidenza della Camera di Laura Boldrini contribuisce a salutare queste parole con un’ovazione. Firenze si fa dunque testimone di un nuovo Rinascimento: «la forza degli onesti mossi dalla normalità del bene e del coraggio è il motore del cambiamento», continua Don Ciotti. «Indignarsi non basta! L’indignazione si cura dando dignità ai familiari delle vittime attraverso il riconoscimento del loro diritto alla pietà per i loro morti e alla verità, perché non esiste giustizia senza di essa; si cura attraverso il riconoscimento e la riconoscenza per il lavoro svolto dai tanti uomini e dalle tante donne di Stato che scelgono ogni giorno di non girarsi dall’altra parte; si cura attraverso l’esercizio della democrazia, che è passione e ragione e genera coscienza critica. Infine, l’indignazione si cura dando valore alla cultura, che è il termometro dello stato di salute di un Paese». Soleva dire il giudice Antonino Caponnetto che «la mafia teme più la scuola della giustizia. Essa prospera sull’ignoranza della gente, sulla quale può svolgere opera di intimidazione e di soggezione psicologica: solo così la mafia può prosperare». Don Ciotti cita l’incendio che qualche settimana fa ha privato Napoli della sua Città della Scienza, un danno, a un luogo simbolo della cultura, devastante come se al posto del fuoco fosse esplosa una bomba, e subito il pensiero va ad un altro luogo di cultura, l’Accademia dei Georgofili di Firenze, squarciata da un ordigno nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1993.

La facciata è stata ricostruita e le luci all’interno testimoniano che la vita e la cultura sono tornate ad abitare quel luogo, dove cinque persone innocenti (Nadia, Caterina, Fabrizio, Angela Maria e Dario) morirono, ma la scelta di lasciare ben visibili – nonostante il restauro – due lunghissime crepe verticali, i lembi di quella ferita profonda e di piantare nelle vicinanze un ulivo forte e nodoso simbolo di rinascita, danno conto della volontà della cittadinanza e delle istituzioni di far prevalere la memoria sull’oblio. E allora ricordiamo: il 27 maggio di 90 anni fa nasceva don Milani, che amava ripetere «A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca». Lo stesso giorno vent’anni fa l’esplosione di via dei Georgofili tornava a scuotere un’Italia ormai messa in ginocchio dalla cosiddetta “stagione degli attentati”. Il 27 maggio prossimo prenderà il via il processo sulla trattativa Stato-mafia, che vede imputati fra gli altri,  ex ufficiali del Ros, capimafia, Massimo Ciancimino, l’ex senatore Marcello Dell’Utri e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino.

La realtà è che le mafie ci hanno reso tutti vittime, ma la memoria e l’impegno in prima persona ci stanno emancipando dalla paura e la verità un giorno ci renderà di nuovo liberi.

 

 

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