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Firenze: città di storia, impegno e legalità

di redazione il . Progetti e iniziative, Toscana

E’ la città dell’arte, della letteratura e della stessa lingua italiana. Firenze, crocevia del libero pensiero e della bellezza, è anche la città che ha conosciuto sulla propria pelle la violenza di Cosa nostra. Era la notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993, un’autobomba rompe il silenzio della notte in via dei Georgofili. Muoiono cinque persone, 48 sono ferite. L’obiettivo degli stragisti mandati dai corleonesi di Leoluca Bagarella, succeduto alla leadership dell’organizzazione dopo l’arresto del cognato Totò Riina, sono gli Uffizi, la perla di Firenze.

«La Strage di via dei Georgofili – ricorda don Andrea Bigalli – animatore di Libera in Toscana – ha rappresentato per la città una momento di lacerazione. Bisognava distruggere gli Uffizi, senza alcun interesse per le vite umane, per imporre le proprie condizioni allo Stato».  Firenze è la città di Caterina Nencioni, di 6 mesi, di Nadia Nencioni di 9 anni, di Angela Fiume di 36 anni, di Fabrizio Nencioni di 39 anni; di Dario Capolicchio di 22 anni, vittime innocenti colpite nel sonno dall’esplosione terrorista. Quest’anno si commemorano i 20 anni della Strage, mentre la magistratura sta continuando a lavorare per svelare le trame e i misteri di quegli anni.

Il 16 marzo Libera ricorderà proprio a Firenze le vittime di quella strage insensata, così come tutte le vittime innocenti della violenza delle mafie. «Questo evento, sottolinea Bigalli – segnerà la differenza rispetto alle manifestazioni che Firenze ha conosciuto».  Nel 1992 Firenze ha conosciuto un altro inquietante passaggio della violenza mafiosa. Nel mese di novembre un ordigno esplosivo fu fatto trovare nei Giardini di Boboli. «Il 5 Novembre 1992 –  s legge nella sentenza della Corte d’Appello di Firenze sulle stragi del 1993 – fu rinvenuto, dal personale di servizio nel giardino di Boboli, un ordigno in una zona del Giardino chiamata “Le Scesine”, dietro la statua di Marco Cautius, ai margini di una siepe. L’ordigno era avvolto in un sacchetto di plastica simile a quelli della nettezza urbana, di colore nero. Era chiuso con nastro da imballaggio. Si trovava a circa dieci minuti di cammino dall’entrata del giardino».

A piazzare l’ordigno fu un mafioso catanese, Santo Mazzei, ancora non affiliato a Cosa nostra ma coccolato dai corleonesi di Riina. L’obiettivo, ancora una volta un gioiello dell’arte fiorentina, rientra nel “colloquio” a suon di avvertimenti e bombe, intavolato da Cosa nostra con pezzi delle istituzioni. La famosa “Trattativa” sulla quale a Palermo sono stati rinviati a giudizio 10 imputati tra politici, vertici delle forze armate e mafiosi. Niente vittime, almeno in quel caso, ma la dimostrazione che Firenze e la Toscana erano tra gli obiettivi della violenza stragista dei mafioso.

Pagine buie, quelle vissute dal capoluogo toscano alle quali fa da contraltare l’esempio dei tanti cittadini illustri di Firenze che si sono spesi per la ricerca di verità e giustizia e per l’affermazione della legalità. Don Bigalli ne cita alucni: «Bisogna ricordare Antonino Caponnetto, padre del pool antimafia di Palermo; Piero Luigi Vigna, per anni Procuratore nazionale antimafia; Gabriele Chelazzi, il magistrato che ha indagato sulla Strage di via dei Georgofili, stroncato da un infarto che mette in luce la difficoltà di dipanare la matassa di menzogne e mezze verità».

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