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Omicidio a Brancaccio, venti di guerra o regolamento di conti?

di Fabrizio Feo il . L'analisi

Le pistole dei killer di Cosa Nostra tacevano, a Palermo, dal settembre del 2011 quando fu ucciso Giuseppe Calascibetta il capo del mandamento di Santa Maria di Gesù. Chiaro, dunque, che l’assassinio di di Francesco Nangano , detto ”U malatu”, cioè malato, di protagonismo, spavaldo – stando a quello che hanno raccontato negli anni i pentiti – porti con se una serie di interrogativi che vanno oltre il delitto. L’ultimo dei cinque colpi sparati contro Nangano è stato sparato alla testa: il colpo di grazia, tanto per non lasciare dubbi sulla matrice mafiosa del delitto, compiuto nella zona di Brancaccio il regno dei Graviano, Giuseppe e Filippo, al 416 bis per aver deciso e organizzato le stragi mafiose del ’92 e ’93 . Il quartiere dei Guttadauro, anche loro Giuseppe e Filippo. Il quartiere dove il medico Giuseppe Guttadauro, in particolare, decideva anche candidature e sorti politiche di personaggi di spicco del centrodestra. A Francesco Nangano, un anno fa, era stato inviato un messaggio pesante: qualcuno avevano dato fuoco all’autosalone che gestiva in via Messina Marine. E certo non si trattava di un attentato estorsivo. Il mese scorso altro messaggio: gli era stata bruciata l’auto sotto casa. Eppure non sembrava particolarmente allarmato se girava senza prendere grandi precauzioni ed è stato sorpreso dai killer all’uscita da una macelleria del suo quartiere dove abitualmente faceva la spesa armato “solo” di 4 cellulari e di una mazzetta di banconote da 500 euro. Una delle ipotesi di lavoro degli inquirenti parla di contrasti con Antonino Sacco personaggio di rilievo delle famiglie di Brancaccio ora detenuto e in regime di 416 bis. Nangano che pare tirasse le fila di affari assai lucrosi potrebbe essere entrato in rotta di collisione con Sacco. Capire a chi Nangano possa aver pestato i piedi non è così semplice, anche perché non si uccide uno come Nangano a cuor leggero (e i due attentati che hanno preceduto il delitto potrebbero essere dunque due avvertimenti che la vittima non ha voluto ascoltare): un delitto del genere va ponderato e approvato da chi comanda.

Nangano aveva un legame di parentela significativo: era il cognato di Matteo Cracolici. Cracolici negli anni novanta era molto vicino al padrino latitante Matteo Messina Denaro, oggi figura di riferimento per tutta Cosa Nostra. Anzi fu proprio Cracolici a mettere a disposizione una carta di identità necessaria a Messina Denaro per sfuggire alla cattura . E Matteo Messina Denaro, amico di capo mafia come i Graviano, i Guttadauro , a Brancaccio , il quartiere di Nangano, era di casa. Non solo: Filippo Guttadauro ha sposato la sorella di Matteo Messina Denaro.  Di recente il fratello di Filippo Guttadauro, Giuseppe ex aiuto primario dell’Ospedale Civico, è tornato in libertà, ma non è il solo.  Sono tornali liberi anche Pietro Tagliavia e Giovanni Asciutto che pure sono nomi di vertice del mandamento mafioso di Brancaccio. Insomma, per capire chi abbia deciso, e dove porti il delitto Nangano si deve comprendere qual è la catena di comando attuale nel mandamento di Brancaccio strategico per gli equilibri dell’intera Cosa Nostra. Un interrogativo cui trovare risposte perchè, tra l’altro il delitto è stato compiuto mentre tornano nei loro quartieri una ventina di nomi pesanti di Cosa Nostra, che potrebbero riscrivere non si sa quanto pacificamente gli equilibri delle famiglie palermitane. Il delitto Nangano potrebbe essere stato deciso per chiudere una questione dentro Brancaccio e in qualche modo inviare un segnale preciso all’esterno: nessuno fa di testa sua. Al tempo stesso la storia di Nangano chiede uno sforzo di memoria, utile,  probabilmente, per il presente.

Nangano, è un nome che viene fuori tra i nomi di mafiosi o sospetti tali per la prima volta nel ’98 . Insieme ad una pattuglia di uomini d’onore ”riservati” , dei quali per evitare l’identificazione, all’ interno della cosca erano conosciuti solo i soprannomi . E quello di Nangano era appunto “ u Malatu”. Nangano era sospettato di essere un killer . Proprio un mese fa un trafiletto ”pubblicita’ legale” su un quotidiano aveva riportato a galla una storia accaduta 28 anni, fa la storia di un giovane rapinatore Filippo Ciotta . Nangano era stato sospettato di averlo eliminato, di aver eseguito la sentenza di condanna per il giovane che aveva dato fastidio, infranto le regole. Il tribunale il 25 gennaio scorso ha dichiarato la ”morte presunta” di Ciotta , ordinando la pubblicazione dell’atto sul giornale. Ciotta era sparito vittima della lupara bianca nel marzo 1985 . La famiglia disperata aveva denunciato la sua scomparsa ai carabinieri. Ricercato per una rapina, Ciotta era latitante da qualche tempo. Quando i carabinieri avevano visto i familiari presentarsi in caserma avevano compreso che da quel momento le tracce del giovane rapinatore erano state perse per sempre. Insieme a alui erano scomparsi altri giovani: Giuseppe e Francesco Fragale, e Filippo Montagnino. Avevano commesso insieme alcuni furti offendendo gente di rispetto o protetta dalla mafia al quartiere Sperone. “Scassapagghiari :quando la mafia definisce così un piccolo criminale il suo destino è già scritto. Nessuno ha più ritrovato i loro corpi nonostante l’appello dei familiari dei Fragale : “Vi preghiamo, restituiteceli vivi o morti”. Nonostante la madre dei Fragale si fosse presentata con le foto delle vittime in tribunale . Le aveva mostrate agli imputati gridando: ”Ridatemi i miei figli, disgraziati, ditemi dove sono”. Niente. Dei Fragale di Montagnino e di Ciotta nemmeno l’ombra. La procura di Palermo aveva ottenuto il rinvio a giudizio di diversi mafiosi per otto omicidi : non solo quello di Ciotta ma anche quelli del senatore del Pri Ignazio Mineo e dell’imprenditore e presidente del Palermo Calcio Roberto Parisi. Trent’ anni di reclusione in primo grado per mafiosi di spicco come Francesco Tagliavia e Lorenzo Tinnirello, ergastolo per Antonino Marchese, Pietro Salerno, Giuseppe Lucchese e anche per Francesco Nangano “u malatu”. Nangano, condannato per mafia e per omicidio da latitante ,poi catturato, venne alla fine assolto dall’accusa di mafia e anche per l’omicidio Ciotta. Ottenne perfino 270 mila euro di risarcimento per i 4 anni di “ingiusta detenzione” . Ed ebbe il suo momento di notorietà quando gli investigatori scoprirono che aveva una relazione con un’ assistente sociale che era stata chiamata a fare il giudice popolare in un processo di mafia. La morte che Nangano ha fatto dice molto di lui, molto di più di quanto non abbiano scritto le sentenze. E dice molto, ricorda quello che è ancora oggi Cosa Nostra: attraverso i decenni, mutevole come ogni cosa umana, certo, ma sempre pervasiva, presente anche sotto la cenere, capace di nascondersi, di trarre in inganno o di manipolare, comunque un calderone bollente e nauseabondo di trame e di interessi per cui gli stessi nomi, anche solo per sospetti, possono trovarsi dietro storie, sempre tragiche, “grandi” come quelle che portano a delitti eccellenti e “minime” come quelle che decidono la fine di un gruppo di giovani rapinatori.

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Fabrizio Feo

Giornalista. Ho lavorato, dal 1977, per diversi quotidiani tra cui L’Unità, L’Ora di Palermo, Paese Sera, il Giornale di Napoli. Ho collaborato a Epoca, all’Espresso, e dal 79 a trasmissioni e rubriche della Rai radiofoniche e televisive come Tg2 Dossier. In Rai, dal 92, ho seguito la cronaca giudiziaria, occupandomi, come inviato, in particolare di crimine organizzato e terrorismo internazionale. Ho firmato numerose inchieste in Italia e all’estero sui rapporti tra criminalità mafiosa e politica, devastazioni ambientali e traffici illeciti, ho anche collaborato a studi sulla criminalità mafiosa presso Università, Istituzioni, Organismi di ricerca. La libertà di pensiero, l'impegno a raccontare i fatti,a cercare la verità sono diritti-doveri minacciati,ogni giorno,voglio provare a difenderli sostenendo,uno spazio vitale: Libera Informazione.

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