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Gela, dove Stidda e Cosa nostra fanno affari insieme

d Gaetano Liardo il . Senza categoria, Sicilia

Se avessimo letto la notizia vent’anni fa sarebbe apparsa ridicola, paradossale. Stiddari e mafiosi di Cosa nostra che “co-gestiscono” gli affari illegali nella città siciliana avvelenata dai fumi dell’Enichem. Eppure, i risultati dell’operazione Agorà, portata a termine lo scorso 12 febbraio dai Carabinieri di Gela, coordinati dalla Dda di Caltanissetta, non sono che l’ultima conferma di una situazione ormai consolidata. Dopo una lunga guerra intestina le due organizzazioni hanno capito che il modo migliore per coesistere è quello di fare affari in comune. Imponendo insieme il pizzo e dividendone i proventi.

Gli anni della guerra

Sono lontani gli anni della violenta faida che contrappose stiddari e mafiosi nel lembo estremo della Sicilia meridionale. La mafia nascente contro la vecchia Cosa nostra, messa in difficoltà dalla virulenza e dalla spietatezza dei giovani killer della Stidda. A scatenare il conflitto sono i copiosi finanziamenti romani per riqualificare la diga sul lago Disueri, importante fonte di approvvigionamento idrico della ricca pianura di Gela. Qui si coltivano i carciofi violetto, tipica e sostanziosa produzione degli agricoltori di Niscemi, altro centro importante per gli equilibri mafiosi dello scacchiere meridionale dell’Isola.  Sono 200 i miliardi di lire del finanziamento che fanno gola ad entrambe le organizzazioni criminali.

Gli stiddari sono pronti ad intercettarli con una società apposita che fa capo a Salvatore Lauretta e a Orazio Coccomini, uomini di fiducia del boss gelese Salvatore Iocolano. Cosa nostra, dal canto suo, non vuole perdere il business, inaugurando una propria società ad hoc che fa capo a Salvatore Polara e a Giuseppe “Piddu” Madonia. Per far capire l’andazzo agli avversari, i due boss ordinano di eliminare Lauretta e Coccomini. Il duplice omicidio, il 23 dicembre del 1987, è la data di inizio della violenta faida.  Tra il dicembre del 1987 e il novembre del 1990 si conteranno oltre cento omicidi nella sola Gela, compreso quello di Polara, massacrato in casa nel dicembre del 1988 insieme a propri familiari. Un’escalation di terrore che culmina nella Strage di Gela del 27 novembre del 1990 quando, commandos di stiddari aprono il fuoco in diversi punti della città provocando otto morti e sette feriti.

La pax mafiosa

La mattanza gelese scuote lo Stato che decide di intervenire inviando uomini e mezzi. Dopo alcuni anni viene aperto il Tribunale di Gela con l’obiettivo di monitorare e perseguire gli affiliati delle due organizzazioni mafiose. In visita a Gela nel dicembre del 1994, la Commissione antimafia ha fatto il punto sulla risposta delle istituzioni. Nel documento approvato nel luglio del 1995 si legge che: «Come è noto nel 1992 la giunta regionale deliberò un pacchetto di provvedimenti a favore di Gela per 26 miliardi. Di questi, 9 miliardi dovevano essere utilizzati per la costruzione di centri sociali. Il Ministero di grazia e giustizia aveva stabilito, poi, una spesa di 700 milioni per alcuni centri polifunzionali di aggregazione. Non si conosce lo stato attuale di tali iniziative. Le uniche due che hanno avuto un principio di attuazione e sono attualmente in corso sono quelle che, lo Stato, ha promesso, e cioè i centri polifunzionali del Ministero di grazia e giustizia. Per il resto, pare che tutto sia rimasto sulla carta, sia perché alcuni finanziamenti non si sono concretizzati sia perché altri non hanno trovato rispondenza».

Tanto rumore, ma, in quegli anni i risultati sono stati pressoché nulli. Stidda e Cosa nostra, tuttavia, hanno compreso che continuando a spararsi tra loro avrebbero indebolito le proprie posizioni, e i propri affari. Avviene così che, nel 1991, tra le due organizzazioni viene siglata una pax mafiosa. Le attività illegali a Gela, e nei comuni del comprensorio, sarebbero state gestite congiuntamente. Si cerca di evitare, in questo modo, una contrapposizione e, possibili future faide, tra le due organizzazioni.

La cogestione degli affari criminali

La scelta tattica, condivisa da Stidda e Cosa nostra, è quella di co-gestire i principali business criminali, organizzando una “equa” spartizione dei proventi illeciti, primi fra tutti quelli derivanti dal racket delle estorsioni. Nella sentenza del processo “Munda-Mundis” del 2010, relativo al pizzo imposto alle ditte che lavorano sulla raccolta e sullo smaltimento dei rifiuti a Gela si legge imprenditori che: «Hanno pagato il “pizzo” (..) alla “stidda”, i cui ratei sono stati divisi con “cosa nostra” in occasione delle riunioni mensili intercorrenti tra i rappresentanti delle due consorterie volte alla “cogestione” del “settore estorsivo”».

Il collaboratore di giustizia Emanuele Celona, un tempo affiliato alla famiglia Emmanuello di Cosa nostra, sentito nello stesso processo ha specificato la collaborazione tra le due organizzazioni criminali. «Circa la gestione degli introiti  delle estorsioni – si legge nella sentenza Munda-Mundis – Celona ha chiarito che successivamente alla “strage di Gela”, consumata il 27 novembre 1990, nei primi mesi del 1991 è stata difatti ratificata la detta pace tra “cosa nostra” e “stidda” con l’accordo di “cogestione” delle estorsioni nel territorio gelese e della conseguente suddivisione a metà dei relativi introiti mediante incontri mensili tra i “referenti” delle due organizzazioni».

Un patto tutt’ora in vigore. «La stidda – scrivono i magistrati della Dna nella relazione del 2012 – continua a conservare una certa influenza nei comprensori di Gela e Niscemi, consolidando sempre più la propensione all’accordo sistematico con le famiglie di cosa nostra operanti nello stesso territorio, per una equa e proporzionale spartizione degli illeciti guadagni provenienti dalle estorsioni, dal traffico degli stupefacenti, dall’usura e dal controllo degli appalti».

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