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L’Altra ‘ndrangheta dell’Emilia-Romagna

di Gaetano Liardo il . Emilia-Romagna

C’è una ‘ndrangheta diversa che detta legge in Emilia-Romagna. Non è quella che colonizza in Lombardia, dove a farla da padrona sono le ‘ndrine reggine, ma è quella che delocalizza. Sembrerebbero sfumature linguistiche, ma si tratta di una visione strategica per contrastare le cosche calabresi che imperversano nella ricca regione emiliano-romagnola. Già perché nelle province emiliane di Parma, Piacenza, Modena e Reggio Emilia la ‘ndrangheta presente e vincente è quella di Cutro, e in misura minore di Isala Capo Rizzuto, indebolita dalle faide interne degli ultimi anni.

Scrive la Dna che: «La lingua che si parla in Emilia dal punto di vista criminale è quella di Cutro e non c’è quasi nessuno spazio per altri».  Nello specifico, la relazione scritta dal Consigliere Roberto Pennisi si legge che: «Nel territorio emiliano la presenza più rilevante dal punto di vista del crimine organizzato è quella della ‘ndrina proveniente dalla casa madre di Cutro che ha delocalizzato: e che non dà conto a nessuno. In quel territorio – si legge ancora – sono esistite altre ‘ndrine, o meglio promanazioni di altre ‘ndrine, quale quella degli Arena di Isola Capo Rizzuto. Ma le vicende che la hanno vista sanguinosamente scontrarsi nel crotonese con altri sodalizi ne hanno offuscato, almeno nel Nord-Italia, la potenza e lo splendore».

L’Altra ‘ndrangheta che delocalizza 

Come si caratterizza la ‘ndrangheta che delocalizza nelle province emiliane? E’ una mafia che non ha interesse se non a fare affari e convogliare i proventi illeciti nel territorio di origine. Detto in altri termini: spreme le realtà dove delocalizza i suoi investimenti senza alcuna intenzione di creare una presenza diversa da quella utile per arricchirsi. Nella relazione si legge che la delocalizzazione mafiosa è: «Il sistema della creazione di un centro di potere criminale operante autonomamente nel territorio diverso da quello d’origine, ma coll’obbligo di dar conto dei risultati economici alla “impresa madre”».

Si legge ancora che: « (..) Quel sistema della delocalizzazione con una sempre più marcata tendenza allo sfruttamento di quello (il territorio dove si è presenti, ndr) dal punto di vista economico per produrre ricchezza da convogliare, in parte, verso la “casa madre”, piuttosto che utilizzarlo, come superficialmente poteva ritenersi in passato, come luogo sul quale, invece, convogliare ricchezza altrove prodotta per reinvestirla e/o riciclarla».  L’Altra ‘ndrangheta, quella cutrese della cosca Grande Aracri, è quella che considera Reggio Emilia il bancomat delle ‘ndrine. A riferirlo agli inquirenti è il boss, poi pentito, Angelo Salvatore Cortese, referente reggiano dei Grande Aracri.

Nella relazione del Prefetto di Reggio Emilia trasmessa nel settembre del 2010 alla Commissione antimafia si può leggere che i boss della ‘ndrangheta hanno: «La possibilità di trovare in provincia di Reggio Emilia appoggi logistici ed economici durante la latitanza, di procurarsi armi e drenare danaro da imprese di corregionali “amiche” o comunque che conoscono o sanno ben riconoscere la forza intimidatrice dell’Organizzazione. Il collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese riferisce addirittura di ditte che hanno costituito come una sorta di “bancomat” per la ‘ndrangheta».

Reggio Emilia e non solo 

Non è solo la provincia reggiana ad essere interessata dalla delocalizzione ‘ndranghetista. E’ una vasta zona della pianura Padana, che va oltre i confini dell’Emilia-Romagna, ad essere interessata dal fenomeno. Modena, Piacenza, Parma, ma anche Cremona, Mantova e Brescia in Lombardia, e Verona, Vicenza, Venezia, Treviso, Padova e Rovigo in Veneto.  Qui oltre alla ‘ndrangheta, a delocalizzare è anche la camorra del Clan dei Casalesi, storicamente presente e attiva. Motivo per cui, si specifica nella relazione della Dna: «(si sono, ndr) Svolte per iniziativa della Direzione Nazionale riunioni di coordinamento investigativo tra la DDA di Bologna e la DDA di Brescia, e la DDA di Bologna e la DDA di Venezia, tutte aventi per oggetto indagini dei citati Uffici relative a manifestazioni nei relativi territori di gruppi criminali organizzati inquadrabili nell’ “ALTRA ‘NDRANGHETA”. Ed è appena il caso di rilevare come l’area delineata (..) sia relativa a territori in cui insistono i Distretti di Bologna, Brescia e Venezia».

Nell’audizione alla Commissione antimafia del 17 aprile del 2012 Pennisi ha parlato di delocalizzazione delle mafie con riferimento al Veneto, realtà dove, come abbiamo visto in precedenza, l’Altra ‘ndrangheta incide in numerose province. Parlando ai parlamentari presenti Pennisi ha specificato il concetto della delocalizzazione, citando un’operazione condotta dalla Dda di VenezIa.  «(I boss, ndr) Operavano in diverse parti del territorio veneto, ma i proventi dell’attività d’usura, di estorsione e di svuotamento delle imprese in difficoltà con la vendita dei beni facenti parte del patrimonio sociale di queste imprese in stato di decozione, non rimanevano nel territorio ma confluivano nel territorio dove aveva sede l’impresa che aveva delocalizzato una parte della sua attività nel territorio Veneto».

Vale a dire che, in Veneto, così come in Emila-Romagna e nelle province lombarde di Brescia, Mantova e Verona, l’Altra ‘ndrangheta e la camorra casalese, creano profitti che fanno fluire lungo l’asse Nord-Sud, e non al contrario come succede con le organizzazioni criminali che, in altre regioni dell’Italia settentrionale, puntano alla colonizzazione del territorio.

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