Processo Rostagno,mafia e massoneria: i giudici chiamano nuovi teste
Sono 24 pagine, una ordinanza che non riapre il processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, non scrive nuovi scenari, la Corte di Assise ha deciso di mettere nero su bianco la propria convinzione che tante delle cose ascoltate possono essere perfettamente vere e vanno semmai approfondite e questo lo ha fatto con le previsioni dell’art.507, ossia la norma del codice che prevede a conclusione della fase di escussione dei testi ammessi all’avvio del dibattimento, la possibilità di ascoltare nuovi testi o di ammettere documenti perché in qualche modo richiamati durante la prima fase processuale. Ci sono state le richieste delle parti, la pubblica accusa che ha puntato dritto contro il presunto killer Vito Mazzara, sicario conclamato della mafia trapanese, ci sono state le richieste delle parti civili a proposito delle indagini giornalistiche svolte da Rostagno nel territorio e con la indicazione di alcune fonti, ci sono state le richieste delle difese degli imputati, l’altro è il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga (e se fosse rimasto vivo ci sarebbe stato alla sbarra come mandante anche il patriarca della mafia belicina, Francesco Messina Denaro), che hanno puntato essenzialmente a introdurre altri scenari, dalle vicende “private” ai traffici di armi e gli affari di Gladio, le interconnessioni con altri gialli internazionali rimasti tali come l’assassinio in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. A tutte le richieste delle parti la Corte ha concesso tanto, ma la parte grossa dell’ordinanza è frutto delle valutazioni dei giudici togati e popolari. E le richieste della Corte di Assise sono quelle che guardano verso una unica direzione, le colpe della mafia nel delitto. Ipotesi che resta il fulcro del processo.
L’esordio dell’ordinanza è di marca “mafiosa” nel senso che è a quella pista che i giudici cominciano subito a guardare, sono stati chiesti atti su perizie balistiche a proposito di armi usate da Cosa nostra in suoi delitti, su armi trovate all’imputato Vito Mazzara, le perizie a proposito del delitto ordinato da Totò Riina del giudice trapanese Alberto Giacomelli. Nel corso del processo è emerso con forza quale fosse il livore dei capi mafia contro Rostagno, ne hanno parlato diversi collaboratori di giustizia, come Angelo Siino, Giovanni Brusca, il segnale era arrivato all’editore di Rtc, la tv dove Rostagno lavorava, all’imprenditore Puccio Bulgarella il pentito Siino ha detto di avere riferito che Rostagno stava dando fastidio, la moglie di Bulgarella (l’imprenditore è deceduto da poco tempo), la prof. Caterina Ingrasciotta (che verrà risentita dai giudici) ha fatto riferimento che si coglievano fastidi “nei salotti” della città, un giornalista di Rtc, Ninni Ravazza, a dibattimento, e non prima, si è ricordato che un giorno Bulgarella irruppe in redazione, assente Rostagno, per dire, non con buone maniere, che era ora di abbassare certi toni. Ed ancora i giudici vogliono sapere gli affari di Bulgarella, le indagini che lo hanno riguardato, gli appalti truccati ai quali con la sua impresa avrebbe partecipato, raccomandato sempre da Cosa nostra. Lui aveva la stanza attacacta a quella di Mauro Rostagno, se Peppino Impastato a Cinisi conduceva le sue battaglie a 100 passi dalla casa di don Tano Badalamenti, Rostagno faceva tv a cinque passi dalla stanza dove di tanto in tanto arrivava Angelo Siino l’emissario più vicino all’allora latitante Totò Riina. E’ possibile che oggi per il fatto, che più avanti diremo, che la Corte di Assise abbia deciso anche di guardare dentro gli armadi dei segreti sui traffici di armi passati per Trapani, e dentro gli armadi delle indagini su Gladio trapanese (verranno sentiti il senatore Massimo Bruttio che a livello nazionale per il Pci si occupò di Gladio, l’ex vice presidente dell’Ars Camillo Oddo che da segretario del Pci a suo tempo fece un documento legando il delitto Rostagno a Gladio, i più alti ufficiali di Gladio, Piacentino, Fornaro e Martini – se ancora in vita – ed è stato chiesto alla Procura di depositare senza omissioni il verbale di interrogatorio del capo centro Vincenzo Li Causi, morto, misteriosamente, durante una missione in Somalia proprio mentre i magistrati di Trapani si apprestavano a risentirlo), tutto il contesto mafioso finisca messo all’ombra? Questo è successo nel tam tam che talvolta si muove sul social network, questo si è dedotto leggendo titoli e articoli di giornale. La difesa ha molto insistito su questi aspetti (ma non sono state ammesse testimonianze eccezionali come quella dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro), non fu un delitto di mafia, ma un delitto ordito da altre entità perché Rostagno aveva scoperto affari segreti dei “servizi segreti”.
La Corte di Assise vuole scandagliare anche questo terreno, ma anche in questo caso l’ombra della mafia c’è, è stato il pentito Sinacori a fornire un dato storico, quello che Cosa nostra nei traffici di armi c’è sempre entrata. E quindi Rostagno poteva essere diventato una “camurria” – così andava sbraitando il patriarca della mafia Francesco Messina Denaro – perché avrebbe potuto mettere gli occhi su questi interessi. Intanto però c’è una smentita rispetto alla storia che lui trovandosi in compagnia di una donna scoprì un atterraggio segreto su un aeroporto chiuso (quello di Chinisia o quello di Milo, tutti e due a punti opposti e fuori dal centro urbano trapanese): la donna che lo accompagnava, moglie di un generale dei servizi segreti, sentita a verbale ha smentito di avere mai conosciuto Mauro Rostagno. Verrà il giornalista Sergio Di Cori (palesatosi d’improvviso amico di Rostagno e suo buon conoscitore nell’estate del 1996 quando la Polizia arrestò per favoreggiamento la compagna di Mauro, Chicca Roveri e per autori dell’omicidio una serie di ospiti di Saman, pista cosidetta interna totalmente caduta ma che qualcuno di tanto in tanto tira fuori così tanto per gettare altro fango sulla scena processuale dopo quello spalmato nel tempo un po’ in giro per l’Italia) a dire come seppe di quel traffico e come parlò con Rostagno, cosa gli disse il giornalista, lui amico fidato “all’insaputa dei familiari di Mauro”.
Ma tutto questo si troverà nella parte finale dell’ordinanza perché prima di arrivare a questi punti la Corte di Assise ne ha posti altri, come la necessità di interrogare Giacoma Filippello compagna del boss campobellese Natale L’Ala, mafioso e massone, ammazzato dopo tre tentativi andati a vuoto, prima di morire avrebbe incontrato Rostagno e a lui avrebbe potuto svelare segreti della massoneria, in secondo piano durante il processo da parte dei cronisti è passata la circostanza che Rostagno aveva ottenuto informazioni importanti, come le ripetute presenze nel trapanese del gran maestro della P2 Licio Gelli…se questa conoscenza sembra poca cosa mentre all’epoca l’Italia veniva attraversata da strane trame forse si commette un grave errore di sottovalutazione. E’ Licio Gelli in quegli anni a “benedire” con il rito massonico la loggia segreta di Trapani dove si troveranno scritti mafiosi, politici, burocrati, banchieri, colletti bianchi, professionisti, funzionari di prefettura, questura, loggia frequentata da cardinali e anche da emissari di Gheddafi. La Corte di Assise vuole sapere di più sull’omicidio di Vincenzo Mastrantonio, ammazzato pochi mesi dopo Mauro Rostagno, era il tecnico dell’Enel che faceva le manutenzioni a Lenzi, sul luogo del delitto, e quel 26 settembre 1988 c’era buio nella zona, un corto circuito aveva spento i fanali, ma Mastrantonio era l’autista di Vincenzo Virga, e il pentito Milazzo ha detto che fu ucciso perché non era capace a tenersi dentro i segreti, e con lui parlò del delitto di Mauro Rostagno. Per questa ragione in aula tornerà l’ex capo della Mobile, oggi questore di Piacenza, Rino Germanà. Così come si colloca nel filone degli appalti mafiosi l’approfondimento investigativo su mafia e riciclaggio dei rifiuti che proprio in quel 1988 conosceva il suo apice, e il boss Vincenzo Virga che gestiva tranquillamente un impianto di riciclaggio costruito a Trapani con finanziamenti pubblici, andava dicendo sornione “trase munnizza e nesce oro”.
Nomi eccellenti quelli che la Corte vuole pure sentire, come il giornalista Corrado Augias che dedicò una puntata della sua serie “Telefono Giallo” al delitto Rostagno quando si parlava tanto di pista interna, o ancora i giornalisti Palladino e Scalettari che di recente sul Fatto Quotidiano hanno scritto di contatti tra servizi segreti e uno dei sospettati, poi archiviato, del delitto, Giuseppe Cammisa, il famoso Jupiter braccio destro del guru Francesco Cardella. Anche Cammisa la Corte vuole sentire così come il giornalista maltese Stagno Navarra che si occupò di interessi illeciti a Malta del guru Cardella. La giornalista Valeria Gandus per delle dichiarazioni rese mentre la Procura di Trapani indagava sulla pista interna.
Siamo a quasi tre anni dall’inizio del processo (prima udienza 2 febbraio 2011), si sono tenute sino al 14 dicembre 41 udienze la prossima sarà il 18 gennaio, nel frattempo si attende il deposito di una super perizia a proposito dei reperti che vengono ricondotti all’abile tiratore Vito Mazzara, campione di tiro a volo della nazionale italiana e tiratore scelto della mafia trapanese, molto bravo ad ammazzare cristiani. La Corte di Assise con la sua ordinanza vuole ancorare a precisi riscontri fatti dibattimentali molto importanti, a cominciare dalla cosidetta firma di Cosa nostra su quelle cartucce che Vito Mazzara era solito sovraccaricare e sparare a freddo per sovrapporre diverse striature. Lui che poteva permettersi di girare con il suo fucile calibro 12 in auto, pronto ad andare ad uccidere per ordine dei boss, se fosse stato fermato avrebbe detto che stava andando ad esercitarsi per la sua passione sportiva pluripremiata, e invece come hanno raccontato i pentiti spesso andava ad uccidere in compagnia di Matteo Messina Denaro o ancora con coperture eccellenti come quella dell’allora consigliere comunale del Psi Franco Orlando che però condannato per mafia fu assolto dalle accuse di avere partecipato a delitti.
Tutto questo e però c’è un giallo da risolvere. La scomparsa di un proiettile calibro 38 dai reperti. Un proiettile estratto dal corpo di Mauro Rostagno durante l’autopsia. Mistero, giallo, c’è una indagine in corso ma sembra che se qualcuno ha voluto togliere di mezzo una prova di fatto di quel proiettile esistono fotografie che pare siano più nitide del proiettile stesso, e poi con la perizia su Mazzara non c’entra nulla. Potrebbe entrarci con qualche altro accertamento ora chiesto dalla Corte, tra le comparazioni per le quali i giudici hanno mostrato attenzione e curiosità non fine a se stessa ma per potere giudicare. Se è vero questo quella sparizione potrebbe essere stata frutto di una azione preventiva, non per aiutare agenti di servizi segreti, gladiatori o altro, ma solo e sempre mafiosi, perché i delitti sui quali la Corte ha puntato attenzione sono omicidi di mafia, decisi dalla cupola, la stessa che volle Rostagno morto. Ma diamo tempo al tempo, la Procura di Marcello Viola sta indagando e il giallo non resterà tale ancora per molto. Intanto scorrendo l’ordinanza della Corte di Assise il processo Rostagno è difficile che nel 2013 possa concludersi. Si riempirà ancora di altri elementi lo scenario trapanese di quel 1988, il processo su questo si sta rilevando molto utile, è un puzzle che si va componendo presentando cose che sembrano essere le stesse di oggi. Solo chi vuol essere cieco fa finta di non vedere, il processo Rostagno ci sta raccontando la Trapani di 25 anni addietro e molte cose oggi sembrano proprio le stesse. A cominciare dalle delegittimazioni e dai falsi gialli grazie ai quali mafia e poteri forti hanno piantato qui salde radici. E Mauro Rostagno era una camurria perché le sue denunce irridevano quella mafia che non era più fatta da contadini ma da “menti raffinate”.
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