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Lecce, oltre duecento anni di carcere per il clan Nisi-Briganti

il . Puglia

Condanne per oltre duecento anni di carcere sono state inflitte nel giudizio abbreviato scaturito dall’ operazione “Cinemastore” dello scorso gennaio. Il blitz prese il nome dalla videoteca del quartiere “Santa Rosa” fatta saltare in aria il 19 aprile 2009 dall’ esplosione di un ordigno durante le ritorsioni contro l’ ex killer della Scu ed ex collaboratore di giustizia Giampaolo Monaco. La Direzione Distrettuale Antimafia e gli agenti della Squadra Mobile della Questura di Lecce avevano sgominato il clan Nisi-Briganti, secondo gli inquirenti, organico alla Scu. Il Gup Carlo Cazzella ha, però, accolto solo parzialmente le richieste del Procuratore Capo Cataldo Motta e del sostituto Guglielmo Cataldi che invocavano oltre 500 anni di carcere per gli imputati.

 

L’ accusa, a vario titolo, era di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti, gioco d’ azzardo, tentata rapina, tentata estorsione, riciclaggio e detenzione di arma comune da sparo. L’ operazione, secondo gli investigatori, aveva dimostrato la vitalità della Sacra Corona Unita, capace di rinascere dalle proprie ceneri e di rimanere radicata sul territorio salentino nonostante l’ impegno delle forze dell’ ordine. Il Procuratore Motta aveva sottolineato come il  processo fosse il risultato di tre anni d’ indaginicondotte con grande capacità investigativa dagli agenti della Squadra Mobile di Lecce, guidata da Michele Abenante. È soprattutto la decisione del giudice di condannare a due anni di carcere Pasquale Briganti, meglio conosciuto come Maurizio, a mettere in evidenza la differenza di convinzioni tra accusa e difesa.Per la Procura Briganti è, insieme a Roberto Nisi (che sarà processato il 25 gennaio davanti ai giudici della Prima Sezione Penale), il capo della nuova Sacra Corona Unita leccese. Per lui, il Pubblico Ministero Cataldi aveva chiesto quindici anni. A Giuseppe Nisi, fratello di Roberto, la pena più pesante: 14 anni di reclusione per mafia, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga e spaccio. Quattro anni e otto mesi per mafia sono stati inflitti a Carmela Merlo, moglie di Roberto Nisi. È accusata di aver provveduto al mantenimento degli aderenti al clan e di aver fatto da tramite tra il marito, quando era detenuto, e gli altri esponenti del gruppo, che così continuavano a ricevere ordini.

 

Secondo l’ accusa, l’ associazione esercitava la sua forza d’ intimidazione creando un clima di omertà ad essa favorevole per lo svolgimento delle varie attività criminose. Tra queste la riscossione del “punto”, ossia la tangente sul commercio della droga operato da soggetti non facenti parte dell’ organizzazione, ma costretti al pagamento del “balzello” al clan egemone sul territorio. Decisive per le indagini, le intercettazioni telefoniche e ambientali. Queste ultime sono state fatte anche all’ interno di diverse case circondariali. Preziosi, anche, i servizi di osservazione, pedinamento e controllo degli indagati e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Il sodalizio esprimeva la sua forza anche attraverso le diramazioni negli altri gruppi criminali, facendo leva sulla “pax mafiosa” che da alcuni anni sembra regnare nella Sacra Corona Unita.

Le motivazioni della sentenza saranno depositate fra tre mesi.

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