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Stato – mafia, la Consulta decide: “distruggere telefonate fra Napolitano e Mancino”

Di redazione il . Istituzioni

Le polemiche hanno tenuto banco per tutta l’estate e oggi i giudici della Corte Costituzionale hanno deciso. In merito all’indagine sulla “trattativa” Stato – mafia è stato accolto il ricorso presentato dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, contro la procura di Palermo sulle intercettazioni indirette di alcune conversazioni telefoniche tra il capo dello Stato e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, sottoposto a sorveglianza dai pm siciliani nell’ambito dell’indagine.
Le motivazioni della sentenza saranno rese note entro gennaio. La Consulta ha ritenuto che non spettasse alla Procura di valutare la rilevanza delle intercettazioni né di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271 del codice di procedura penale. Pertanto, come richiesto dai legali che rappresentano il Quirinale, quelle intercettazioni vanno distrutte perché “lesive delle prerogative che la Costituzione attribuisce al capo dello Stato”.
Questo il comunicato. “La Corte costituzionale – informa la Consulta – in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3 comma, c.p.p. e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti”.
I pm palermitani hanno sin qui sostenuto che l’unico modo  per distruggere le intercettazioni è quello previsto  dall’art.269 del codice di procedura penale, cioè con una udienza stralcio di fronte al Gip e alla presenza delle parti, che qualora interessate possono acquisire atti a loro utili.  Il 19 settembre la Consulta ha giudicato ammissibile il conflitto e il 23 novembre Avvocatura e Procura hanno depositato le rispettive memorie: particolarmente dura quella della Procura, in cui si sottolineava come l’immunità totale vale solo per i sovrani. “Le conversazioni telefoniche dell’ex ministro Nicola Mancino intercettate su mandato dei pm di Palermo nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia sono state 9.295 – scrivevano. Di queste «solo 4 hanno riguardato sue interlocuzioni» col Capo dello Stato, si legge negli atti depositati dalla Procura di Palermo alla Consulta – continuavano nella memoria di costituzione nel processo. “Gli atti depositati dalla Procura di Palermo riferiscono che le telefonate effettuate da Mancino sono state registrate in un arco di tempo che complessivamente va dal 7 novembre 2011 al 9 maggio 2012 – si legge nel documento: sei le utenze messe sotto controllo. Le quattro telefonate al Capo dello Stato, indirettamente intercettate, sono state effettuate da Mancino nelle seguenti date: il 24 dicembre 2011 alle ore 9.40 (durata 3 minuti): il 31 dicembre 2011 alle ore 8.48 (durata 6 minuti); il 13 gennaio 2012 alle ore 12.52 (durata 4 minuti); il 6 febbraio 2012 alle ore 11.12 (durata 5 minuti)”. “Deve quindi essere sottolineato – si legge negli atti depositati  in Corte Costituzionale – che le conversazioni con il Presidente della Repubblica non hanno mai formato oggetto di deposito che determinasse la possibilità della conoscenza ad opera di qualsivoglia parte processuale”.
Le reazioni. “Le decisioni della Consulta non si commentano. Ne prendiamo atto” ha affermato a TMNews il Procuratore Capo di Palermo Franesco Messineo. “Vado avanti nel mio lavoro con la coscienza tranquilla ritenendo di aver sempre agito nel pieno rispetto della legge e della Costituzione” – ha detto invece il pm Nino Di Matteo, uno dei magistrati titolari dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia. “E’ un tema complesso e l’intervento della Consulta ha fatto chiarezza su una situazione non regolata da una norma specifica del codice di Procedura Penale e che si prestava a diverse interpretazioni – dichiara il  presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli. 

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