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Ddl diffamazione: “no” del Senato al carcere per i giornalisti

Di redazione il . Progetti e iniziative

Una battaglia vinta. Così sindacato e ordine dei giornalisti  commentano la notizia arrivata ieri nel tardo pomeriggio  del “no” in Senato  all’articolo 1 del Ddl sulla diffamazione, ovvero il carcere per i giornalisti. Solo alcuni giorni fa, a voto segreto, i senatori invece avevano approvato quell’articolo e previsto, attraverso un emendamento, la possibilità che fosse applicata solo ai giornalisti e non ai direttori dei giornali. Ieri il presidio  al Pantheon che si annunciava “di protesta”  si è trasformato in un momento di “festa” per essere riusciti, con una grande alleanza fra società civile, organismi di categoria e parlamentari a cambiare la sensibilità di molti senatori, ottenendo il risultato di bloccare «una pessima legge che andava ritirata» come dichiara il segretario della Federazione nazionale della stampa, Franco Siddi. Un tentativo di cambiare la vecchia legge sulla stampa in vigore dal ’48 e che attualmente prevede pene pecuniarie e anche detentive per giornalisti e direttori in caso di diffamazione a mezzo stampa (che anche l’Europa chiede di cambiare) si stava trasformando nella “peggiore riforma”: un testo incapace di risolvere il problema della diffamazione, incapace di tutelare i cittadini,  e neppure di garantire il loro  diritto ad essere informati liberamente.  Il presidio al Pantheon, dunque, si è trasformato in una fiaccolata   «per dire che non spegneremo mai le luci sulle notizie importanti» – ha dichiarato il segretario della Fnsi – nella speranza che si decida di riformare la legge sulla stampa introducendo pene amministrative e pecuniarie, proporzionate al danno,  si abolisca il carcere per i giornalisti e direttori, rafforzando lo strumento della rettifica documentata. La riforma della diffamazione a mezzo stampa «è morta, ce ne siamo liberati» – ha aggiunto il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino. Dal momento che «resta in vigore la vecchia legge, che è brutta, ci piacerebbe – ha aggiunto poco dopo il “no” del Senato all’articolo1  – che fra una legge a favore delle banche e una per le assicurazioni se ne facesse anche una per garantire ai cittadini il diritto a un’informazione libera”.

Fnsi: appello alla riflessione accolto, ora riforma serena e equilibrata. «Intendiamo tutelare il diritto dei cittadini ad una corretta informazione e siamo chiaramente contro l’uso della diffamazione a mezzo stampa – dichiara il presidente della Fnsi, Roberto Natale. Ma siamo altrettanto convinti che sia  necessario garantire il diritto ad informare e ad essere informati, liberamente, nel nostro Paese». «Lo stop alla legge in Senato, con la bocciatura dell’articolo1 – continua Natale – è un segnale positivo per una battaglia che ha visto ancora una volta protagonista una alleanza: quella fra cittadini e giornalisti». A partire da questa, continua Natale, dobbiamo adesso chiedere con forza che si lavori, con serenità, ad una riforma complessiva della legge sulla stampa, non solo in materia di diffamazione ma anche per quel che riguarda il testo sull’equo compenso, per quel che riguarda la tutela dei colleghi che in condizioni di precariato, in territori difficili, rischiano ogni giorno per fare il proprio lavoro. Un impegno ribadito sul palco del presidio ieri sera anche da Vincenzo Vita (Pd) senatore che ha lavorato in parlamento, spesso in solitudine, perché questa riforma venisse bloccata e ha affermato «questo no alla pessima riforma del Ddl diffamazione è il risultato di una sensibilità che è cresciuta in queste ore grazie al sostegno ricevuto fuori dal parlamento, grazie all’impegno della categoria e dell’associazionismo impegnato su questi temi». Anche Guido Columba, Unione nazionale cronisti, sottolinea i continui tentativi della politica di penalizzare l’informazione, di mettere il bavaglio, ricordando anche i recenti  tentativi di bloccare uso intercettazioni e limitare stampa.
Le associazioni impegnate per la libertà d’informazione. Fra questi, Articolo 21, e il suo portavoce – deputato, Beppe Giulietti, presente ieri sera, ha affermato: «Quella legge deve ora tornare in commissione, essere rinchiusa in un cassetto e la chiave, possibilmente, dovrà essere buttata dentro le acque del Tevere». «Si poteva procedere diversamente?» Certamente si scrive poi in un editoriale sul Fatto e Articolo21: «Abrogando il carcere per questo tipo di reati, tutelando meglio il diffamato attraverso un uso più rigoroso della rettifica, introducendo il Giurì per la lealtà della informazione, stroncando il malcostume delle “querele temerarie” scagliate come bombe molotov per intimidire i cronisti specie quelli che indagano su malaffare, mafie e camorre. Questo, tuttavia, avrebbe richiesto, un altro Parlamento, senza quel partito trasversale del rancore che ha in mente sempre e soltanto i bavagli. Dal momento che questo è il contesto, sarà il caso che tutti la smettano di sollecitare modifiche ad un testo inemendabile». Sul palco anche Fulvio Fammoni, del comitato per la libertà d’espressione, «siamo il paese in cui l’informazione è da anni schiacciata da un soffocante conflitto di interesse, in cui esistono problemi di antitrust, con le conseguenti distorsioni del mercato pubblicitario. Invece di occuparsi di questo, si continua a intervenire a senso unico contro la libertà d’informazione». Così anche le giornaliste della rete GiULiA che sul palco ricordano le forti disparità di trattamento che ancora permangono sul posto di lavoro, a danno delle donne, e la cattiva rappresentazione dei temi di genere sui mass media. Anche loro in questi giorni hanno sostenuto con forza il “no” a questa “pessima riforma” e hanno chiesto un vero testo che si occupi di tutto il sistema dell’informazione, anche oltre la diffamazione a mezzo stampa.  

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