Scarpinato: il Csm archivia la pratica
«Il discorso del Procuratore Scarpinato costituisce espressione della libertà di manifestazione del proprio pensiero. Va ribadito che i magistrati, come gli altri cittadini hanno diritto di manifestare liberamente in pubblico il proprio pensiero, che peraltro essi devono esercitare in modo da non collidere con i principi costituzionali di indipendenza e imparzialità, cioè con i valori essenziali che caratterizzano lo status degli appartenenti all’ordine giudiziario».
Con queste parole che richiamano l’articolo 21 della Costituzione, il Consiglio Superiore della Magistratura ha chiuso oggi pomeriggio la questione della pratica – aperta a luglio su richiesta del consigliere Nicolò Zanon – a carico di Roberto Scarpinato, Procuratore generale della Repubblica di Caltanissetta. Una richiesta formulata a seguito di quanto lo stesso magistrato aveva dichiarato dal palco della commemorazione della strage di via D’Amelio, lo scorso 19 luglio.
La parresia di Scarpinato
In quella circostanza, leggendo una lettera indirizzata idealmente al maestro e collega Paolo Borsellino, Scarpinato aveva espresso tutta la sua amarezza per i continui attacchi cui la magistratura, nel caso di specie palermitana e nissena, era sottoposta nel momento in cui dimostrava di arrivare a nuove verità per la stagione delle stragi del 1992.
Un attacco proveniente dai palazzi della politica e che aveva infiammato il dibattito, proprio quando sarebbe stato necessario uno sforzo di unità per arrivare finalmente dopo vent’anni a mettere la parola “fine” ad una vicenda giudiziaria e storica così cruciale per il Paese e che, ancora oggi, stenta a trovare una sua sicura ricostruzione, tra deviazioni e trattative.
Scarpinato nel suo discorso, rivolgendosi alla folla presente in via D’Amelio per ricordare Borsellino e la sua scorta, aveva usato parole molto dure nei confronti di quanti non potevano essere reputati degni di partecipare alle commemorazioni in ricordo delle vittime della violenza mafiosa: «Stringe il cuore a vedere talora tra le prime file, nei posti riservati alle autorità, anche personaggi la cui condotta di vita sembra essere la negazione stessa di quei valori di giustizia e di legalità per i quali tu ti sei fatto uccidere; personaggi dal passato e dal presente equivoco le cui vite – per usare le tue parole – emanano quel puzzo del compromesso morale che tu tanto aborrivi e che si contrappone al fresco profumo della libertà».
E ancora, se possibile con maggior durezza ribadiva: «Se fosse possibile verrebbe da chiedere a tutti loro di farci la grazia di restarsene a casa il 19 luglio, di concederci un giorno di tregua dalla loro presenza. Ma, soprattutto, verrebbe da chiedere che almeno ci facessero la grazia di tacere, perché pronunciate da loro, parole come Stato, legalità, giustizia, perdono senso, si riducono a retorica stantia, a gusci vuoti e rinsecchiti»..
Parole dure, sicuramente, ma ispirate da quella “parresia”, cioè da quel parlar chiaro contrapposto all’ipocrisia, che attirarono su Scarpinato gli strali della politica e anche le attenzioni dell’organo di autogoverno della magistratura.
Oggi quest’ultima pagina si chiude definitivamente. Infatti, il Csm era chiamato a valutare se nelle esternazioni di Scarpinato fosse rinvenibile un aspetto rilevante dal punto di vista disciplinare oppure una condotta tale da giustificare l’apertura della procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale o funzionale. Nessuna delle due ipotesi è stata ritenuta avere un fondamento di consistenza.
Il ricordo di Borsellino
Il Csm però oggi non si è limitato ad archiviare la pratica, ma ha colto anche l’occasione per sottolineare come il fare memoria dell’esperienza umana e professionale di Paolo Borsellino, condivisa con altri, in primis Giovanni Falcone, sia stato il primo obiettivo delle parole di Scarpinato, nella circostanza dell’anniversario di via D’Amelio.
Questo esercizio della memoria è il vero messaggio che va dato, perché serve di stimolo non solo alla pubblica opinione ma anche a tutte le istituzioni, chiamate a difendere con i mezzi previsti dalla Costituzione la nostra democrazia e la convivenza civile nel nostro Paese, contro ogni forma di violenza, particolarmente quella che assume le sembianze della criminalità organizzata, così profondamente connesse con il sistema sociale, economico e politico dell’Italia.
Così è chiaro come quel ricordo debba passare, anche e soprattutto, per la credibilità che il sacrificio e la lezione di uomini come Borsellino hanno offerto a tutti gli italiani, a tutte le istituzioni, come manifestato il 19 luglio scorso da Scarpinato nel suo immaginario dialogo con il giudice ucciso dalla mafia: «Sei riuscito con la tua vita a restituire nuova vita a parole come Stato e Giustizia, prima morte perché private di senso. E sei riuscito con la tua morte a farci capire che una vita senza la forza dell’amore è una vita senza senso; che in una società del disamore nella quale dove ciò che conta è solo la forza del denaro ed il potere fine a se stesso, non ha senso parlare di Stato e di Giustizia e di legalità».
Queste ed altre affermazioni, per il Csm, non sono affatto segnali di perdita di indipendenza e di imparzialità, anzi testimoniano «un comune sentire, che diviene tanto più efficace nella sua valenza diffusiva, in quanto proveniente da un magistrato intensamente impegnato in una quotidiana azione di contrasto alla criminalità organizzata».
E vengono evocate a sostegno di questa tesi le parole del Capo dello Stato Giorgio Napolitano: un riferimento importante e non casuale – crediamo non malizioso – se si pensa alle polemiche senza fine che hanno investito negli ultimi mesi proprio il Quirinale in riferimento all’azione della Procura di Palermo.
Ricordano, infatti, i consiglieri del Csm nella delibera odierna che Napolitano nel commemorare Falcone e Borsellino, il 23 maggio del 2009, aveva sottolineato l’importanza di un versante cruciale nel contrasto alle mafie: «Quello della mobilitazione collettiva, del costante dispiegamento delle migliori energie della società civile, allo scopo di trasmettere e diffondere la memoria storica delle drammatiche e tragiche vicende vissute dall’Italia negli scorsi decenni, di alimentare la cultura della legalità, di affermare l’imperativo del resistere e reagire alle intimidazioni della mafia».
E pur rilevando profili di senso di misura per ogni magistrato da osservare nelle pubbliche occasioni, in ragione del ruolo ricoperto, il Csm non ha assolutamente alcun dubbio: «La testimonianza, resa nella forma di una lettera ideale indirizzata a Paolo Borsellino, seppur caratterizzata da toni emotivi e fortemente evocativi comprensibili per il contesto commemorativo in cui sono stati usati, non incide sulle funzioni giudiziarie esercitate dal dott. Scarpinato, appannandone imparzialità e indipendenza».
Non essendoci quindi provvedimenti da prendere nei confronti di Scarpinato, seppure al termine di un articolato dibattito, viene deliberata l’archiviazione della pratica con diciotto voti a favore e sei astensioni, compresa quello dello stesso Zanon.
Si ristabilisce così il principio della libertà di manifestazione del pensiero, anche quando in gioco sia un magistrato, ma soprattutto si ristabilisce l’attualità e l’impegno che gli uomini che hanno perso la vita per lo Stato devono avere per tutti.
Ricordarne la lezione non vuol dire venire meno al proprio ruolo di magistrato. Anzi, è un dovere che non può essere in alcun modo conculcato.
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