«A tutti chiedo una sola cosa: che le nostre scuole siano più sicure perché altre mamme e altri papà non debbano soffrire come noi». Così Nunziatina, mamma del piccolo Luigi, il 3 novembre 2001 si era rivolta alle autorità durante il funerale degli “angeli di San Giuliano”, i 27 bambini e la loro maestra morti nel crollo della scuola Francesco Jovine, in occasione del terremoto del 31 ottobre. E l’allora Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi si era scusato: «Noi adulti non siamo stati capaci di proteggere i nostri figli». Ma proprio quei piccoli morti, il loro sacrificio diede il via a un piano per la messa in sicurezza delle scuole. Ancora una volta è una drammatica emergenza a far scoprire le carenze del Paese. Ma dopo dieci anni quel piano è rimasto indietro, pochi soldi, ancora meno quelli spesi. E, anche qui, con la scure del Patto di stabilità che impedisce ai comuni di spendere i fondi, anche quando vengono stanziati. I dati dell’emergenza sono gli stessi di allora: gli edifici scolastici in zone ad alto rischio sismico sono circa 2.700, quelli in aree a rischio medio 21mila. Per metterli in sicurezza servirebbero almeno quattro miliardi di euro. Davvero una grande opera, tra le più importanti, urgenti e necessarie per il Paese. Ma ci vogliono i piccoli morti di San Giuliano per farlo capire. Così, su input dell’allora Capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, il governo propone un piano straordinario per la messa in sicurezza delle scuole italiane.
Lo prevedeva la Finanziaria 2003. Doveva essere predisposto entro 90 giorni ma il tempo passa e partono solo due piani stralcio di 197 e 298 milioni, per 1.700 e 1.800 interventi. Poi la copertura scompare fino al decreto Gelmini del 2008 che permette di “trovare” altri 115 milioni. Si può così avviare il terzo stralcio, che viene però ritirato. Tocca alle commissioni Bilancio e Cultura della Camera resuscitare il provvedimento, attraverso una risoluzione che riguarda, però, solo il Centro-Nord. Da allora è tutto fermo al ministero delle Infrastrutture malgrado vari solleciti delle commissioni. Intanto nel marzo 2009, dopo una nuova tragedia, il crollo alla scuola Darwin di Torino con la morte di un ragazzo, grazie ai fondi Fas viene stanziato 1 miliardo (ieri un nuovo crollo proprio alla Darwin). Ma 226 milioni se ne vanno via subito per le scuole abruzzesi colpite dal terremoto. E anche questa volta si parte con stralci. Un primo stralcio per 358 milioni viene approvato per tutta l’Italia. E se ne predispone un secondo di 400 solo per le regioni del Sud. Ma per il primo al ministero delle Infrastrutture arrivano in tutto solo 170 milioni. Il resto non c’è più. Effetto tagli della Finanziaria che prevede finanziamenti solo «necessari» e «indifferibili».
Intanto il secondo stralcio viene bloccato al Cipe. Tocca ai nuovi ministri Profumo (Istruzione) e Barca (Coesione territoriale) rimetterci le mani. Un po’ di soldi si trovano: 556 milioni (456 ex Fas) approvati dal Cipe il 20 gennaio scorso. Vengono ricontattate le regioni chiedendo di rivedere i progetti per far bastare i fondi. Lo fanno ma ora serve una nuova delibera del Cipe. Ci sono, infine, 20 milioni annui “prelevati” dalle spese per la politica (effetto “casta”), destinati a un fondo della Presidenza del Consiglio per l’edilizia scolastica, in particolare per le zone a rischio sismico. Fondi distribuiti ogni anno con un Ordinanza di Protezione civile (ad oggi destinati 80 milioni per 476 interventi). Su tutto, però, incombe il Patto di stabilità. Perché, incredibilmente, la sicurezza delle scuole non è esclusa. Così non sono rari i casi di Comuni che devono rinunciare ai lavori per non sforare i parametri di spesa. Inoltre, come denunciato sia dal Cipe che dalla Corte dei Conti, molti dei lavori vanno avanti a rilento. Ci si dimentica presto, anche dei piccoli morti. Così è rimasta parzialmente applicata un’altra iniziativa fondamentale per la sicurezza delle scuole. Era il monitoraggio «degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali», scuole comprese. Era prevista dall’Ordinanza di Protezione civile n.3274 del 20 marzo 2003. Gli edifici da verificare erano circa 70mila. Ma i fondi stanziati, appena 273 milioni, sono bastati solo per due anni, 2003 e 2004 e così ci si è fermati ad appena 7mila verifiche. E nessun governo ha pensato di rifinanziare il preziosissimo monitoraggio.