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Reggio Calabria, quando il clan impone le sue merci ai commercianti

Di Gianluca Ursini il . Calabria

«Quando, anni fa, arrivai a Reggio, quel che mi colpiva era come nei supermercati si trovassero solo buste di carta; non si trovavano quelle di plastica. Oggi sappiamo il motivo: il signor Rosmini vantava crediti con tutta la grande distribuzione, e di conseguenza, secondo le analogie criminali, ha riscosso in questa maniera…». A parlare è il neo questore reggino Guido Longo, siciliano che in riva allo stretto sta sperimentando la rivoluzione in atto tra le cosche nella riscossione del pizzo, a Palermo come a Catania come in Calabria; i mafiosi non chiedono più “un fiore”, ossia un contributo mensile in danaro, offrendo una fantomatica protezione; pretendono il monopolio nelle forniture di un dato settore merceologico.

La cosca Rosmini di Reggio aveva trovato un territorio nel quale farla da padroni, e una nicchia merceologica nella quale far prosperare gli affari: le buste per i clienti di iper, supermercati e drogherie, persino gli ambulanti del mercato all’aperto. Il procuratore aggiunto della procura antimafia reggina, Ottavio Sferlazza, altro siciliano in prima linea in Calabria, ha commentato così l’operazione “Cartaruga” che sullo Stretto ha portato in carcere 12 componenti  del clan Rosmini: «Mi sembra di essere tornati agli anni di Palermo, nei quali i boss, anche se non riuscivano a strappare grandi somme, dovevano però, per dimostrare autorevolezza, ottenere almeno qualche cosina dai taglieggiati. Unicamente per dimostrare che in quel dato territorio la facevano da padroni».

E infatti il capoclan arrestato dalla questura reggina, Francesco Rosmini, che aveva sostituito il cugino Diego già in manette da due anni con le operazioni “Alta tensione” del pm Giuseppe Lombardo, si comportava nei suoi quartieri di competenza come un re, più che da Rais mafioso. San Giorgio Extra, Ciccarello e Modena, dove vive la nutrita comunità Sinti reggina e dove perlopiù sono immigrati dalla parte jonica della provincia o dall’area di lingua grecanica. Lì Rosmini non tollerava che gli si dicesse di no, tanto da imporre anche, nelle elezioni del 2011, che si affiggessero solo i manifesti dei candidati Pdl da lui appoggiati; questa tranche della inchiesta “Alta tensione” è stata poi menzionata nella relazione prefettizia, che ha portato allo scioglimento per mafia del comune calabrese, perché da qui scaturì anche l’arresto del consigliere comunale PdL ex Udc, Pino Plutino.

E nel settore cartaceo e delle buste, tramite l’impresa “Cartaruga” sequestrata dalla polizia i Rosmni si erano imposti come monopolisti, eliminando comunque la concorrenza, non di imprenditori sani, ma di altre cosche storicamente legate al commercio minuto,  come i Labate (detti “ti mangiu” per l’uso violento dell’usura a strozzo dei commercianti) o i Lo Giudice, e imponendo il proprio prodotto ai maggiori operatori della grande distribuzione, su Reggio i marchi “Sma” (controllati da un ex assessore in manette dal 25 luglio nella operazione “Assenzio”: Dominique Suraci) “Quiper” e “Doc Market”.

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