Regione Lombardia, la ‘ndrangheta può attendere…
Alla fine l’ha spuntata ancora una volta lui, il “celeste”, Roberto Formigoni, ancora in sella dopo i numerosi scandali che stanno investendo in queste ultime settimane la Regione Lombardia.
Dopo i proclami bellicosi del segretario leghista Matteo Salvini, il giorno dopo l’arresto dell’assessore Zambetti per i voti chiesti alla ‘ndrangheta, il vertice romano con Alfano e Maroni ha partorito il classico topolino. Purtroppo l’altrettanto classica montagna resta con il suo volume ingombrante ad occupare la scena, sotto gli occhi di tutti, almeno di quelli che vogliano davvero vedere e non limitarsi ad uno sguardo superficiale.
Una montagna che si chiama ‘ndrangheta compreso tutto quello che di annesso e connesso si può dire, alla luce anche degli ultimi venti arresti: una politica corrotta che non esita a ricorrere al sostegno delle cosche pur di arrivare nelle stanze del potere.
“Zambettino” o “pisciaturu” per gli amici
Una politica che qualcuno si ostina a ritenere al di sopra della criminalità organizzata. Una politica alla quale le cosche ricorrerebbero quasi con un rapporto di sudditanza. Non è così, non è mai stato così e anche dalla vicenda Zambetti ne traiamo un istruttivo esempio. Infatti, quello che colpisce di più è quanto emerge dalle intercettazioni e dai verbali: in un quadro a tinte fosche, forse degno di altri periodi della storia italica, si scorge un panorama davvero angosciante delle relazioni tra il politico finito in manette e gli emissari delle cosche.
Un rapporto perverso dove a trovarsi in situazione di sudditanza psicologica e fisica è proprio il politico finito sotto ricatto, costantemente irriso per aver stretto un patto diabolico dal quale può avere solo guai, una volta eletto. Zambetti viene minacciato a più riprese, deve stare ai patti se no scatta la reazione anche violenta. In realtà, secondo la tradizione mafiosa, è sufficiente la semplice minaccia, ma tant’è, perché il risultato è lo stesso: «Sennò dopo andiamo a prenderlo e lo crepiamo, parliamoci chiaro…, lo andiamo a prendere in ufficio e lo crepiamo di palate».
Il rapporto tra la cosca e il politico non si esaurisce una volta che ha preso corpo il reato di voto di scambio, ma è destinato a produrre ulteriori risultati, questa volta tutti a vantaggio esclusivo del clan: un appalto, un’assunzione, un favore. Per questi motivi le cosche si decidono a sostenere anche la figlia di Vincenzo Giudice, Sara in corsa per le comunali del 2011. Prima o poi potrebbe tornare utile un’amicizia a Palazzo Marino e quindi per una volta si può fare a meno di essere fiscali nel pagamento dei voti promessi, perché la cosca potrebbe avere ritorni di altra natura, se necessari.
Tutto fa brodo e un politico finito in questo tunnel senza uscita, deve continuare a fare una sola cosa, anche se apparentemente inutile: correre senza fermarsi e non chiedere mai conto e ragione, per non incorrere nelle sanzioni minacciate. Un politico così piegato strutturalmente ai voleri dei boss è parte integrante di quel “capitale sociale” che le inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia milanese in questi ultimi anni stanno portando lentamente alla luce. Un capitale sociale che esprime a pieno il potenziale negativo della cosiddetta “zona grigia”, dove gli interessi criminali si sposano con quelli leciti delle pubbliche amministrazioni, degli ordini professionali e dell’economia legale, salvo inquinare tutto una volta che la commistione sia portata ai massimi livelli.
Ecco perché la compravendita instaurata tra Zambetti e le cosche è un profondo vulnus alla politica, non solo regionale. Ecco perché non basterà difendersi, negando la conoscenza dei legami di Costantino e D’Agostino con i clan o imputando le ingenti somme versate ai due come se fossero un mero rimborso per le cene elettorali. Se così fosse, se fossimo solo in presenza di normali relazioni tra politici e sostenitori, non si spiegherebbero allora i richiami contenuti nelle intercettazioni alla ricorrente paura di Zambetti per i due e per i loro sodali.
Una paura totale, assoluta, che arriva a livelli di stress fisico e psicologico inimmaginabili e che portano l’umanità di Zambetti a sparire completamente, di fronte ai suoi carnefici che non esitano a prendersi gioco di lui con parole pesanti: «Si è cagato addosso, si è cagato completo. Si è messo a piangere davanti a me e a zio Pino, eh!, come piangeva». E ancora commentano tra di loro gli esponenti delle cosche: «’Sti politici di merda..Piccoli e grandi, queste merde sono uno peggio dell’altro». E dalla mancanza di rispetto il passo verso lo sberleffo vero e proprio è breve: “Zambettino” e “pisciaturu”, vale a dire gabinetto, sono solo alcuni dei modi in cui il politico viene apostrofato senza possibilità di alcuna replica.
Alfano: «Tolleranza zero!»
Una classe politica trattata in questo modo dalla criminalità organizzata pone inquietanti interrogativi sulla capacità della stessa di esprimere senso e direzione alla vita collettiva di una regione, di un paese. Ci si sarebbe quindi aspettato un sussulto d’orgoglio da parte di Formigoni e della maggioranza che governa il Pirellone per mettersi alle spalle questa storia, oltre alle altre che ormai riempiono i faldoni del Palazzo di Giustizia di Milano.
E invece in queste ultime ore è andata in scena la solita recita, in cui le parti erano già stabilite per tempo. Infatti, nonostante Salvini minacciasse le dimissioni di assessori e consiglieri, le sirene romane hanno avuto la meglio. Di tutto il Pdl ha bisogno in questo momento tranne che perdere pezzi di maggioranza ed è bastato a Formigoni pronunciare solo due parole magiche – Veneto e Piemonte – per convincere il riottoso alleato leghista ad abbassare le pretese, minacciando a sua volta la caduta di altre due regioni governate insieme nel caso fosse stato costretto ad andarsene. Ora si parla di forte discontinuità e di rimpasto di giunta e Formigoni si spinge anche oltre l’impossibile, dichiarando di voler arrivare alla scadenza naturale.
La Lega, debole ancora in questo momento per i malumori interni dovuti al distacco del cordone ombelicale dal suo creatore Umberto Bossi, si adegua nelle parole del nuovo leader del Carroccio: «Avevamo chiesto a Formigoni o di dimettersi o di azzerare la giunta: ha scelto di azzerare la giunta». Una Lega che sembra ancora divisa visto che Salvini comunque continua a parlare di elezioni in concomitanza con la tornata delle politiche. E sembra perfino grottesca la sottolineatura del segretario del Pdl Alfano quando proclama «tolleranza zero con chi macchia la nostra bandiera». Già grottesca o meglio surreale, visto che la proclamata diversità della Lombardia dai problemi del sud del Paese in mano alla criminalità organizzata da decenni si è sciolta come neve al sole nel giro di pochi anni.
E sembrano ormai un ricordo lontano anche le polemiche scoppiate tra l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni e lo scrittore Roberto Saviano circa l’irresistibile avanzata delle cosche al nord, nel silenzio del Carroccio. Ecco perché non basterà un rimpasto di giunta o anche le elezioni anticipate, se prima non verrà varata una riforma elettorale che consegni nuovamente al cittadino la possibilità di scegliere i suoi rappresentanti. Ecco perché in Lombardia, come nel Lazio e nel resto del Paese di fronte al calo di credibilità della classe politica, la battaglia contro le mafie e la corruzione diventa la priorità per ogni agenda pubblica di interventi. Ci chiediamo però se sia mai credibile che nei prossimi mesi la politica lombarda abbia questo scatto di reni e riesca a produrre quello che fino ad oggi non è stata in grado di fare?
E non sarà forse vero che nei prossimi mesi si parlerà ancora e a lungo delle vicende processuali delle forze politiche toccate dalle indagini, che riguardano per fatti diversi tanto Pdl, quanto Lega e Pd e che mettono sul piatto nomi del calibro di Formigoni, Zambetti, Bossi e Penati, per tacere di tutti gli altri finora coinvolti nelle inchieste della magistratura milanese? Intanto, Formigoni ha già scaricato il suo ex assessore, addossando la responsabilità della scelta di Zambetti ai giochi interni ai partiti.
Sul merito di quanto successo e sul fatto che, tramite l’assessore responsabile della compravendita di voti, la criminalità organizzata si sedesse al tavolo della sua giunta, non una parola ovviamente, salvo parlare di tradimento della fiducia personale e di quella espressa dagli elettori. Staremo a vedere quale giunta dimezzata in numero di poltrone e quale programma per superare l’impasse Formigoni riuscirà a mettere in campo e quale sarà l’impegno specifico in tema di lotta alla corruzione e agli intrecci con la criminalità organizzata.
Attendiamo, senza troppa fiducia purtroppo.
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