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Mafie e corruzione: il legame inconfessabile

Di Lorenzo Frigerio il . Lombardia

Nuovo appuntamento con i seminari interuniversitari promossi da Libera e da sette atenei di Milano. Lunedì 8 ottobre è stata la volta dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dove si è tenuto un interessante incontro dal titolo “Crimine e corruzione tra livelli di potere e rappresentanza politica”. Ad introdurre i lavori Luigi Campiglio, professore ordinario di “Politica Economica” che, nel denunciare il freno che la corruzione rappresenta per lo sviluppo del Paese, ha ribadito la mancanza di un inquadramento sistemico al problema della criminalità organizzata. A complicare ogni tipo di analisi sono stati finora due pregiudizi forti anche nella comunità accademica: da un lato si pensava che la criminalità organizzata fosse solo un problema del sud e dall’altro la corruzione era considerata, con non poco cinismo, un lubrificante necessario dell’attività economica. Oggi l’inefficienza cronica del sistema, interpella i livelli di controllo del territorio da parte della politica e quindi serve un apporto della comunità scientifica in grado di svelare ogni compromesso anche con le forme della criminalità organizzata.
Ha preso quindi la parola la professoressa Nerina Dirindin dell’Università di Torino che ha affrontato il rapporto tra legalità e integrità nel sistema di tutela di un bene primario come la salute. Le cause della corruzione in questo settore cruciale per la spesa pubblica sono le asimmetrie informative, i conflitti d’interesse, la discrezionalità dei livelli decisori, l’imprevedibilità degli eventi e, infine, la complessità del sistema di tutela. Dirindin ha presentato alcuni dati sconcertanti: nella sola Unione Europea il 5,6% del budget della sanità è assorbito dalla corruzione e il 10% degli italiani ha pagato una qualche forma di tangente in seguito a contatti di varia natura con il mondo della sanità.
I risultati sono devastanti in termini di impatto sui costi, disorganizzazione ed effetti sulla salute delle persone. Si crea così una distorsione nella competizione su questo tipo di mercato a vantaggio dei corrotti, si alimenta la sfiducia verso le istituzioni e verso il sistema di tutela, causando alla fine un deficit di democrazia. A seguire sono stati esposti quattro rapporti di ricerca che sono stati realizzati nelle università  italiane, in seguito a collaborazioni tra diverse cattedre ed istituti.
Il primo di questi è stato presentato da Emma Galli dell’Università di Roma “La Sapienza”, frutto del lavoro comune con Nadia Fiorino (Università di L’Aquila) e Ilaria Petrarca (Università di Verona): oggetto di ricerca i differenziali di crescita che caratterizzano le economie delle regioni italiane e la loro relazione con la corruzione pubblica. Il periodo preso in esame è ampio – dal 1984 al 2004 – e serve a mettere in luce la persistenza di notevoli diseguaglianze regionali, nonostante le politiche pubbliche abbiano spinto verso la riduzione dei differenziali di reddito pro capite tra una regione e l’altra. Un primo elemento di riflessione quindi è dato dal fatto che la corruzione passa per il canale della spesa pubblica e si ripercuote sulla crescita. Dalla ricerca emerge un robusto nesso tra corruzione e crescita di segno negativo: se il numero di crimini individuali (es. peculato) per milione di abitanti aumenta del 1%, la crescita economica rallenta di circa l’8%. Se invece vengono calcolati sia i crimini individuali che quelli associativi, l’impatto resta negativo, ma scende al 2.2%.
Infine, la presenza della corruzione diminuisce l’impatto positivo della spesa pubblica sulla crescita economica, riducendola del 4,5%. A seguire il prof. Gilberto Turati dell’Università di Torino ha messo a fuoco il rapporto tra decentramento fiscale e debolezza delle istituzioni. Nel rapporto realizzato con Sergio Beraldo dell’Università Federico II di Napoli e Massimiliano Piacenza dell’Università di Torino, si approfondisce il tema del decentramento come meccanismo per responsabilizzare i politici locali. Tuttavia si osserva che la responsabilizzazione funziona più i cittadini finanziano con risorse proprie i servizi consumati a livello locale, facendo sì che sia più bassa l’inefficienza della spesa. Altra condizione utile è la qualità dell’ambiente istituzionale: dove questo è “debole”, la responsabilizzazione può cedere il passo alla sottomissione della classe politica alla volontà di oligarchi o elite locali e quando queste prendono i contorni della criminalità mafiosa i guasti sono di palmare evidenza.
Il report esamina i 201 casi di scioglimento dei comuni per infiltrazioni mafiose possibile grazie alla Legge 221/91: più di un quarto di questi è avvenuto in Campania (75 a fronte dei 49 in Sicilia e dei 38 in Calabria). Nel lavoro presentato si fa rilevare come la riduzione dell’ICI non abbia avuto effetto sui comuni sciolti per mafia, mentre ha comportato un consistente incremento della spesa nei comuni non sciolti, proprio in virtù dei processi di responsabilizzazione virtuosa innescati. Una terza ricerca, che va nella medesima direzione, è stata presentata da Massimo Bordignon della Cattolica di Milano, realizzata con Gilberto Turati (Torino) e Matteo Gamalerio dell’Università inglese di Warwick che hanno approfondito le relazioni tra federalismo fiscale e processi di selezione della classe politica. Contrariamente a quanto si sarebbe portati a pensare, il federalismo fiscale anziché innescare un processo di responsabilizzazione della politica locale, finisce per produrre effetti contrastanti in termini di sviluppo, qualità dei servizi erogati alla cittadinanza e anche sul versante della corruzione. In realtà molto dipende dalla capacità di coprire con risorse proprie le spese a livello locale. Dove i trasferimenti dal centro sono ancora una importante fonte di finanziamento, si lascia spazio alla corruzione e all’impiego inefficiente delle risorse. I politici “migliori” saranno quelli capaci di avere più relazioni con il centro. Dove invece i servizi dipendono dalla raccolta locale delle imposte, i “migliori” saranno quelli più capaci di gestire le risorse raccolte. La ricerca ha analizzato l’introduzione dell’Imposta Comunale sugli Immobili (ICI), verificando una modifica della qualità della classe politica differente a seconda del grado del cosiddetto “sbilanciamento verticale”, cioè il trasferimento dal centro al locale delle risorse. Si rileva un aumento di sindaci “buoni amministratori” (+ 26,4% tra il 1988 e il 1997); una riduzione della loro esperienza politica sul totale degli anni di lavoro; un aumento della qualità dei servizi.
Ultimo lavoro esposto quello realizzato da Raul Caruso dell’Università Cattolica di Milano che ha approfondito le relazioni tra il reato di estorsione e i livelli di disoccupazione in un arco temporale che va dal 2004 al 2010. Il reato in questione tiene insieme gli elementi della patrimonialità e della  violenza. L’estorsore è solitamente un dipendente di un’organizzazione criminale e la minaccia di  estorsione ha un costo dovuto alla sua messa in opera. L’estorsione non è una relazione autonoma: l’estorsore e la vittima si conoscono. Eppure il fenomeno è sottostimato: mancano le denunce. I dati pubblicati dall’Istat indicano che nel periodo 2004-2010 le estorsioni in Italia sono aumentate dell’11%: al primo posto la Campania, ma quella che registra il maggior incremento è la Lombardia (+31,1%), seguita da Liguria (+34%), Lazio (+26%).
Caruso, nel sottolineare che la sua ricerca continua, ha evidenziato come comunque si stia dimostrando un nesso importante tra estorsioni e disoccupazione di lunga durata. Si registra, infatti, un’associazione positiva e significativa tra disoccup
azione maschile di lunga durata e le estorsioni. Le estorsioni aumentano al crescere del reddito ma anche al crescere della povertà. Il lavoro ora punta ad approfondire la relazione tra estorsioni e tasso di disoccupazione; disoccupazione giovanile e disoccupazione di lunga durata. Nei prossimi mesi ci saranno altri seminari delle Università di Milano, realizzati in collaborazione con Libera. Lo scopo ultimo di queste attività è mantenere desta l’attenzione del mondo accademico sui rapporti tra mafie e corruzione in regione e non solo.
 

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