Ci sono più di 16.000 aziende di proprietà dello Stato abbandonate a se stesse. Sembra incredibile che in tempi di crisi ciò sia possibile, ma purtroppo è tutto vero. Sono le aziende confiscate alla criminalità organizzata che – a differenza dei numerosi immobili e terreni assegnati alle cooperative – giacciono presso l’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Dall’inizio della crisi il numero di queste aziende è tristemente aumentato del 65%, ulteriore dato che testimonia il dato di pervasività mafiosa del nostro fragile sistema economico. Nel 90% dei casi sono destinate al fallimento, con notevoli ripercussioni per migliaia di lavoratrici e lavoratori coinvolti. Se volessimo fare una stima al ribasso potremmo dire senza ombra di dubbio che sono più di settantamila le persone che hanno pagato con il licenziamento la condotta criminale del proprio datore di lavoro, che sempre di più è un insospettabile, un colletto bianco o una testa di legno. Il paradosso quindi è che con la mafia si lavora e con lo stato no, una situazione inaccettabile per un paese che vede proprio nella criminalità organizzata la sua holding finanziaria più prolifica.
Molte di queste imprese non sono altro che titoli aziendali, altre invece valgono decine di milioni di euro e sono state sottratte al malaffare grazie alla legge Rognoni-La Torre che ne permette la confisca. Alberghi, ristoranti, strutture turistiche, imprese edili e agricole che per anni hanno costituito una fonte inesauribile per le casse dei colletti bianchi. Purtroppo, secondo i dati forniti dall’Agenzia del Demanio, non esiste un settore della nostra economia o un territorio del nostro paese che sia immune all’infiltrazione mafiosa. Se da anni ci diciamo che le mafie non possono essere sconfitte solo sul piano repressivo ma servono interventi di contrasto sul piano economico e sociale, il patrimonio delle aziende confiscate rappresenta un ulteriore emblema della sconfitta dello stato nei confronti della prepotenza mafiosa. Un altro esempio ci è stato fornito dalla recente riforma Fornero, che ha eliminato l’accesso agli ammortizzatori sociali previsti dalla legge 109/96 per i lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate. Gran parte di queste lavoratrici e lavoratori – sempre più spesso inconsapevoli della mafiosità del proprio datore di lavoro – pagano con il licenziamento e la disoccupazione colpe non loro e ciò succede proprio in territori già fortemente condizionati dalla zavorra mafiosa. L’intervento dello Stato, al contrario, dovrebbe garantire sicurezza sociale e certezza di un vero e serio percorso di emersione alla legalità. Bisognerebbe contrapporre il lavoro legale e pulito allo sfruttamento e alla violenza delle mafie, che inquinando la nostra economia attraverso il riciclaggio di capitali arrecando un danno devastante al nostro sistema paese. Sono queste le motivazioni che hanno spinto la Cgil, in collaborazione con numerose organizzazioni della società civile tra cui proprio l’Arci, a proporre una serie di interventi sostenibili e immediatamente realizzabili per tutelare i migliaia di lavoratori di queste aziende e per rilanciarne l’enorme potenziale di sviluppo economico.
Le proposte, contenute in un articolato di dieci punti, saranno oggetto di una proposta di legge d’iniziativa popolare da presentare al prossimo governo, perchè su un punto come la lotta alla criminalità non è più possibile accumulare ritardi; serve un maggiore coinvolgimento del Ministero dello Sviluppo economico, l’istituzione di un fondo di rotazione per la ristrutturazione aziendale finanziato con parte delle liquidità confiscate, garantire l’accesso incondizionato agli ammortizzatori sociali per i lavoratori, favorire l’uso sociale di queste aziende incentivando la costituzione di cooperative giovanili e di ex dipendenti.
Queste sono alcune delle proposte contenute nel testo della futura legge che è stata presentata ieri 4 ottobre a Roma. Un cambio di paradigma necessario nella difficile opera di contrasto a tutte le mafie, un salto di qualità doveroso per contrastare l’illegalità economica dilagante che ha aggravato la crisi scaricata proprio sui lavoratori e sui cittadini onesti. Una proposta che ha anche l’ambizione di rilanciare un fronte ampio e unitario nella lotta alla criminalità, per evitare quest’ultima diventi solo propaganda nella bagarre elettorale. Su questo punto servono atti concreti, la proposta della Cgil per tutelare i lavoratori delle aziende confiscate e per favorirne l’emersione alla legalità lo è, oltre che essere un utile provvedimento per rilanciare l’occupazione e lo sviluppo in un paese dilaniato dalla crisi economica.
Roberto Iovino, ufficio legalità della Cgil nazionale per “Arcireport”
Alcuni interventi audio a cura di Radio articolo1
Federazione nazionale della Stampa – 4 ottobre 2012
Io riattivo il lavoro. Parla Don Tonio Dell’Olio, Libera
Speciali 05/10/2012 – ( 5,22 MB)