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Roma, Ingroia agli studenti:
“I magistrati oggi non sono soli”

Di no.fe. il . Progetti e iniziative

Dopo le polemiche sull’espressione “sono partigiano della Costituzione” oggi Antonio Ingroia, parlando davanti ad una platea di giovani studenti della facoltà di giurisprudenza di “Roma Tre”, sceglie una ulteriore definizione per descrivere la magistratura di oggi, quella formatasi dopo la mattanza degli anni ’80 e le stragi del ’90 e spiega: «In tanti, sia quelli che si sono formati negli uffici di Falcone e Borsellino, sia quelli che da quel lavoro del pool hanno tratto gli insegnamenti fondamentali della professione, oggi sono magistrati più consapevoli, in grado di operare con strumenti più adeguati, in maniera più efficace, contro le mafie. Anche senza dire che sono “partigiani della Costituzione” possiamo sicuramente dire che oggi la magistratura giovane, che discende da quegli insegnamenti, è una magistratura costituzionalmente orientata ed è una risorsa che guarda alla parte più sensibile del paese, a quella parte che vuole rompere il legame fra pezzi della società e le mafie ». 
Ingroia parla all’aula magna della facoltà di giurisprudenza affollata di studenti per più di un’ora e racconta della storia giudiziaria dell’antimafia, i primi processi a Cosa nostra, la nascita del pool, il biennio stragista e le indagini di questi ultimi anni. Il magistrato, che in questi anni si è occupato anche delle indagini più scomode, quelle che riguardano le stragi mafiose degli anni ’90  ha ricordato anche l’isolamento in cui hanno dovuto lavorare i magistrati Falcone e Borsellino, negli ultimi anni della loro vita. Considerati “eroi” dopo la loro morte, in vita erano stati contrastati e osteggiati non solo dai mafiosi ma anche dai collusi. Da chi dalle loro indagini pensava di difendersi attaccandoli, spesso attraverso la stampa.
Ingroia ha più volte richiamato il ruolo della società civile, l’importanza dell’impegno di ciascuno e marcato una differenza fra l’isolamento e gli attacchi subiti dal pool antimafia negli anni ’80 e quello che è accaduto, anche recentemente questa estate, intorno ai magistrati che stanno seguendo le indagini più delicate sulla trattativa  Stato – mafia. «I primi – ha detto Ingroia – sono rimasti soli, attaccati da mafiosi, dal mondo della politica e penalizzati dal silenzio del resto della società civile. Oggi i magistrati impegnati in prima linea in questa e altre indagini sanno che non sono soli». Al contrario – ha spiegato il procuratore aggiunto di Palermo –  sentono accanto una società responsabile, che si informa, che vuol sapere la verità su quello che accadde in quegli anni. La chiede con forza, al loro fianco, nell’interesse di tutti».
Una società civile rappresentata da una vasta e diffusa rete di associazioni. Molte di loro nel 1995, quando il magistrato Gian Carlo Caselli, lasciò Torino per andare alla procura di Palermo, scelsero di formare  una rete, un coordinamento di associazioni «perché – spiega Gabriella Stramaccioni, coordinatrice di Libera,  accanto all’antimafia istituzionale, giudiziaria, ciascuno di noi si assumesse le proprie responsabilità rispetto ad un fenomeno così pericoloso e pervasivo come le mafie». La Stramaccioni, inoltre, mette anche in guardia dal pericolo che la stessa società civile corre oggi: quello di non riconoscere le mafie che sempre più si sono “civilizzate” mentre la società si è “mafiosizzata”. Questi cambiamenti richiedono ancora più attenzione e informazione.  Rita Mattei, giornalista Rai, e a lungo impegnata nel racconto delle vicende di mafia e antimafia dalla Sicilia, moderatrice del dibattito di oggi e voce storica delle cronache di mafia (oggi anche presidente dell’Assostampa romana) ha sottolineato doveri e responsabilità del mondo dell’informazione nel racconto di questo fenomeno. Un nodo centrale, anche secondo Ingroia, che così risponde ad uno studente che chiede cosa sia concretamente fare antimafia sui territori: «Siete giovani e preparati quindi potete impegnarvi innanzitutto a sapere, a capire a distinguere le informazioni dalle polemiche, a scegliere e diffondere i fatti». Come a dire, questo è già di per sé profondamente antimafioso nel nostro Paese. 

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