«Mauro è vivo!» e Rostagno torna a Milano
Fin dal tardo pomeriggio, la sala della Provincia di Milano, in via Corridoni, comincia a riempirsi di volti e presenze che arrivano alla spicciolata. Alla fine la sala sarà completa in ogni ordine di posti e molti rimarranno in piedi fino oltre la mezzanotte, quando si chiuderà la manifestazione. Tutti si sono dati appuntamento oggi, nel centro di Milano, per ricordare Mauro Rostagno, a ventiquattro anni dall’omicidio voluto dalla mafia per mettere a tacere la voce scomoda che dalle frequenze di Rtc denunciava malaffare e corruzione. Tutti hanno risposto positivamente alla chiamata della figlia Maddalena che ha voluto ricordare il padre, alla vigilia della ripresa del processo a Trapani, con la voce e la testimonianza dei compagni di lotta, degli amici di sempre e di chi ne ha raccolto il testimone nella lotta alla mafia. Giovani e meno giovani si trovano per dare il giusto tributo a chi non si è piegato mai al conformismo e tanto meno alla violenza. Una serata sobria e che non lascia spazio alla retorica ma al racconto, soprattutto dell’ultimo periodo della vita di Rostagno, quello che lo portò a scontrarsi direttamente con la violenza mafiosa che non esitò a spazzare via chi con intelligenza e passione voleva dare voce ai cittadini di quel territorio, vessati da una cattiva politica e da una criminalità oppressiva.
Maddalena: «22 anni per avere un processo»
Ad aprire la manifestazione un intervento video di Moni Ovadia che sottolinea l’attualità della battaglia di Rostagno per la giustizia sociale: «Ricordare oggi Mauro è una straordinaria occasione per riattivare processi di lotta contro la tirannia del mercato e una sedicente democrazia». Secondo Ovadia, la lotta intrapresa da Rostagno contro la criminalità organizzata è stato il modo più vero per essere vicino alle vittime, ai feriti di un processo profondamente antidemocratico. Prendono poi la parola Jole Garuti dell’associazione Saveria Antiochia Omicron: «La vicenda umana di Mauro è estremamente affascinante. Eppure la sua morte addolora per le accuse ingiuste e i continui depistaggi. Oggi si cerca di far luce nel modo giusto. Se ne è occupato un magistrato che non ha fatto sconti a nessuno come Antonio Ingroia». Garuti si alternerà poi nella conduzione della serata con i giornalisti Paolo Brogi e Toni Capuozzo. Sergio Martin, altro amico e compagno di Mauro, sottolinea come la serata di Milano sia un modo concreto per essere vicini alla compagna di Mauro, Chicca Roveri e alla figlia Maddalena: «Il processo è in corso ma nessuno lo sa. Dobbiamo mobilitarci perché Rostagno e la sua famiglia non siano lasciate soli». Martin legge un messaggio inviato dalla scrittrice Dacia Maraini che parla di Rostagno come di un giovane determinato, coraggioso, intrepido ai limiti della temerarietà. Secondo la Maraini, «Rostagno scoprì la pace, praticando la lotte di classe. Era una persona civile, audace, capace di grandi sentimenti e grandi progetti. Mi dispiace non averlo mai conosciuto». Il consigliere provinciale Massimo Gatti, tra gli organizzatori della serata con la sua lista “L’altra Provincia di Milano” dichiara che la serata in ricordo di Rostagno serve a ridare onore a Milano, una città dove alte autorità dello Stato hanno negato l’esistenza delle mafie. Con un breve intervento, Maddalena Rostagno ringrazia i tanti presenti: «24 anni fa abbiamo perso una persona a noi tutti cara e abbiamo aspettato 22 anni per avere un processo». La figlia del giornalista ucciso presenta un secondo video: è la sigla di “Havana” la nuova trasmissione che Rostagno si preparava a lanciare dagli schermi di Rtc. I riflettori si spengono e sullo schermo compaiono i volti degli ospiti della comunità Saman e poi il giornalista con il suo sorriso ammiccante e l’inseparabile sigaro. Per un attimo, per una frazione di secondo, sembra che dica a tutti di non prendersi troppo sul serio, di non piangere chi non c’è più ma di rimboccarsi le maniche e di continuare la sua strada con più determinazione. La serata riprende e dopo che Paolo Brogi sottolinea il silenzio dei media sul processo Rostagno e invita a far crescere i contatti della pagina facebook, è la volta di Giulio Cavalli, attore e autore teatrale finito sotto scorta per il medesimo bisogno di raccontare la verità che animava Rostagno. Il monologo che Cavalli recita, con il contrappunto musicale di Gaetano Liguori, è una pagina di delicata poesia e passione profonda. È un canto civile che restituisce il senso dell’impegno di Mauro e il valore della memoria collettiva: «Facciamo che ce la prendiamo la responsabilità della storia di Mauro. Di mettere insieme i pezzi».
I lettori di Libera Informazione possono leggere sul nostro sito le pagine che Giulio Cavalli ha scritto appositamente per la serata di Milano e che rischieremmo di rovinare cercando di sintetizzare: non osi fare la prosa, male, quello che riesce a fare la poesia, così bene… Dopo Cavalli, tocca a Valeria Gandus con il suo invito ad abbattere il muro del silenzio attorno al processo: «L’omicidio Rostagno non sia un mistero, ma piuttosto un segreto. Si è giunti al processo con molta fatica, imboccando dopo ventidue anni la pista di mafia e ora bisogna continuare per avere la verità».
Giacalone: «La difesa tutela Cosa Nostra, non gli imputati»
Poi è la volta del giornalista Rino Giacalone, unica voce ad avere raccontato tutte le udienze, 33, anzi 34 con quella odierna dallo scorso 2 febbraio 2011, data d’apertura del processo. Le sue puntuali cronache hanno trovato spazio apposito anche sul sito di Libera Informazione. A lui viene concesso più tempo, ma così si è voluto per far sapere quello che pochi sanno, ossia quanto va emergendo dal processo in corso. Giacalone rammenta come Trapani sia la prima provincia per Cosa Nostra e un crocevia dei diversi intrecci criminali e illegali che si sono via via uniti alla storia di Rostagno, perché Trapani è la terra di Matteo Messina Denaro che portò le bombe a Milano, Roma, Firenze. «Non faccio il cancelliere del processo – dichiara il giornalista siciliano – è vero però che non ho conosciuto Rostagno in vita, ma solo attraverso atti giudiziari. Un vero e proprio coro sociale ha impedito di fare luce sul delitto per 22 anni. Rostagno non doveva essere visto come un eroe. Dopo quei funerali così affollati la gente doveva dimenticarlo in fretta». Giacalone parla anche di due faldoni di carte finite nel processo, sono gli appunti di Rostagno per la nuova trasmissione “Havana” in cui si descrivono gli scenari trapanesi: non solo la mafia ma anche la storia della banca controllata dalla famiglia D’Ali, il cui ultimo rampollo divenne senatore e sottosegretario al Ministero dell’Interno. E ancora in quelle carte si parla di massoneria e traffici di armi. C’è spazio anche riportare le contraddizioni emerse dalle dichiarazioni di uomini delle forze dell’ordine. Non c’è solo il valente Rino Germanà, capo della mobile a Trapani, poi retrocesso a commissario a Mazara del Vallo perché scomodo, che fin dall’inizio accredita la pista mafiosa per il delitto. A deporre a Trapani sono anche ufficiali dell’Arma che si destreggiano tra inquietanti allusioni e opportuni “non ricordo”, per i quali la pista mafiosa serve solo a coprire malefatte della famiglia e dei compagni, ritenuti responsabili dell’omicidio. Il processo in corso vede alla sbarra Vincenzo Virga e Vito Mazzara, già condannati in via definitiva per associazione mafiosa. Secondo Giacalone, le difese non stanno difendendo gli imputati ma paradossalmente stanno difendendo la mafia, perché si stanno tirando fuori ancora tutte le calunnie degli ultimi ventidue anni. Questioni di “corna” e di gelosia, aff
ari di droga e armi gestiti da Cardella e ancora la mala amministrazione della comunità Saman: tutto serve per tenere fuori dal processo Cosa Nostra. Tra le tante testimonianze ricordate, anche quella dell’ex capo della mobile Giuseppe Linares che ha ricostruito indagini durate dieci anni, partendo da quel 1988. Secondo il poliziotto, Rostagno aveva conoscenze sulla mafia che sono diventate di dominio delle forze dell’ordine solo dieci anni dopo. Oggi Linares è stato promosso ma, sembra purtroppo, sia stato soprattutto rimosso. E se oggi Messina Denaro non si cattura è per il ruolo giocato dai depistaggi e dai poteri forti. Giacalone chiude il suo intervento, lungamente applaudito, rilanciando l’appello ai media perché si accendano i riflettori sulle periferie, perché se perde l’antimafia, perde la democrazia nel nostro Paese: «Oggi la situazione a Trapani è diversa rispetto al 1988. La rivolta sociale porta il nome di Libera. Il protagonista di questa storia è ancora vivo. Oggi sappiamo perché Rostagno è stato ucciso, è patrimonio pubblico».
ari di droga e armi gestiti da Cardella e ancora la mala amministrazione della comunità Saman: tutto serve per tenere fuori dal processo Cosa Nostra. Tra le tante testimonianze ricordate, anche quella dell’ex capo della mobile Giuseppe Linares che ha ricostruito indagini durate dieci anni, partendo da quel 1988. Secondo il poliziotto, Rostagno aveva conoscenze sulla mafia che sono diventate di dominio delle forze dell’ordine solo dieci anni dopo. Oggi Linares è stato promosso ma, sembra purtroppo, sia stato soprattutto rimosso. E se oggi Messina Denaro non si cattura è per il ruolo giocato dai depistaggi e dai poteri forti. Giacalone chiude il suo intervento, lungamente applaudito, rilanciando l’appello ai media perché si accendano i riflettori sulle periferie, perché se perde l’antimafia, perde la democrazia nel nostro Paese: «Oggi la situazione a Trapani è diversa rispetto al 1988. La rivolta sociale porta il nome di Libera. Il protagonista di questa storia è ancora vivo. Oggi sappiamo perché Rostagno è stato ucciso, è patrimonio pubblico».
Ciotti: «Mauro, un esempio di giornalismo»
E tocca proprio a Don Luigi Ciotti continuare il filo del ragionamento avviato da Giacalone. Il presidente di Libera dichiara che la mafia a Trapani si respira nell’aria e gli attacchi alle cooperative sociali che lavorano sui beni confiscati in quella zona lo testimoniano. Secondo il sacerdote, la mafia è forte quando la politica è debole e se dal 1999 la convenzione di Strasburgo non viene recepita nel nostro ordinamento si tratta di un indiscutibile aiuto anche alle mafie. «Ricordare Rostagno – dichiara Ciotti – significa avere il morso del più, perché la mafia è oggi ancora forte e il settanta per cento dei familiari delle vittime di mafia non hanno ancora verità. Dobbiamo prestare un poco della nostra vita a Mauro. Il suo è stato un esempio di giornalismo. Credere nella parola e nella comunicazione come strumenti di conoscenza per un riscatto sociale mi sembra fosse uno degli orizzonti di Mauro. C’è bisogno di una denuncia seria, di verità e giustizia. Mauro è morto perché non ha accettato di tacere». Il presidente di Libera ricorda i suoi incontri con Rostagno, ai tempi del CNCA, il Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza. «Il suo vestito bianco evocava una capacità di orizzonti lontani. Il suo era un nomadismo culturale ed esistenziale: c’era il bisogno reale di saldare il sapere alla vita. Mauro l’ho ritrovato in quel vulcano umano che è sua figlia Maddalena. Saldare i sogni con i bisogni era una sua aspirazione. La sua era una travolgente umanità che si accompagnava ad una forte sete di impegno e di conoscenza. Ho avuto in dono dalla famiglia la sua cartella e oggi la uso per portare in giro per l’Italia l’occorrente per celebrare la messa. Mauro chissà cosa ne avrebbe pensato..». Vengono poi letti i messaggi di Leoluca Orlando e della famiglia Pinelli che chiedono verità e giustizia per l’omicidio di Mauro. Benedetta Tobagi invece si occupa di evidenziare come dalla lettura delle carte processuali fosse ovvio fin dall’inizio che la pista da privilegiare fosse quella mafiosa, ma i depistaggi riuscirono nel loro intento. «Non c’è il reato di depistaggio nel nostro codice eppure il tempo è il nemico principale dei processi». La giovane giornalista evidenzia le palesi contraddizioni, gli insopportabili “non ricordo” di esponenti delle forze dell’ordine chiamate a deporre a Trapani, fino all’assurdo tentativo di collegamento tra l’omicidio Rostagno e l’omicidio Calabresi. Nando dalla Chiesa parla con ammirazione di Mauro Rostagno e invita inoltre a non farsi condizionare dall’esito del processo. «Hanno depistato anche in altre vicende ma non deve restare questo dell’antimafia di Rostagno. Non dobbiamo misurarci solo con quelle infamie. È sempre stato così purtroppo. Dobbiamo costruire un’altra storia fuori dai tribunali. La nostra memoria e quella delle giovani generazioni deve essere altra che quella che uscirà dalle aule di Trapani». «Il Sessantotto non ha fatto molto contro la mafia – chiude il sociologo, presidente onorario di Libera – e Rostagno ha riscattato il Sessantotto andando a morire contro la mafia».
Boato: «Fu libero da ogni condizionamento del potere»
Sale sul palco l’attrice Lella Costa che racconta di aver sfiorato in vita Mauro e di avere costruito un bellissimo rapporto di amicizia con la famiglia, nel tempo successivo alla morte di Rostagno. La Costa legge il pezzo scritto dall’amico e compagno in Lotta Continua Adriano Sofri, pubblicato su “La Repubblica” in occasione dell’anniversario dell’omicidio nel 2003. La commozione e la passione con le quali Lella Costa presta voce alle parole di Sofri restano un tesoro prezioso per quanti hanno partecipato alla serata milanese. Ai lettori di Libera Informazione diamo invece la possibilità di leggere l’articolo di Sofri che pubblichiamo in allegato. La serata prosegue senza sosta. Non c’è tempo per metabolizzare l’emozione suscitata da Lella Costa e tocca subito a Enrico Deaglio prendere la parola. Il giornalista ricorda la lunga teoria di omicidi eccellenti in Sicilia e nel trapanese e come la presenza di Rostagno a Trapani sia stata a dir poco “deflagrante”. Deaglio si dice colpito dal fatto che la mafia, lo Stato siano ben organizzati a depistare, anche se quello di Rostagno è un tipico delitto di mafia e si chiede: «Questi carabinieri perché non pagano mai, perché non vanno in galera? Garofalo, procuratore dell’epoca, convocò una conferenza stampa per dire che bisognava chiedere scusa a Cosa Nostra, visto che il delitto Rostagno era stato un delitto tra amici. Neppure lui ha pagato nulla». Il giornalista ricordando i depistaggi anche per la strage di Borsellino, ribadisce come nonostante sia una lotta impari, quella contro la mafia, si debba continuare a farla, per rispetto di quanti sono caduti. Il microfono passa poi a Manlio Milani, presidente della Casa della Memoria di Brescia che riprende le sollecitazioni di Nando dalla Chiesa: «Sebbene il processo sia parte della vita, la verità sta al di fuori del processo. Recuperare la storia di Rostagno è importante, perché al fondo della sua esistenza, c’era la voglia di guardare agli altri, al mondo, con senso di responsabilità. Questo paese è andato avanti per l’esempio di queste persone». Viene quindi letto il messaggio inviato dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia che parla di una serata di libertà e di verità. «Mauro è stato un uomo libero. Mauro ci insegna che chi lotta vive. Milano è ora una città antimafia. Milano era per Mauro una avanguardia sociale e politica, un contesto positivo di cambiamento. Oggi a Milano c’è una idea nuova di cittadinanza. Milano onora la vita, la testimonianza, la passione civile di Mauro Rostagno». È la volta dell’attore e regista Renato Sarti che dopo aver ricordato le similitudini tra Mauro Rostagno e Danilo Dolci legge un breve ricordo inviato per la serata da Erri De Luca. «Il nome di Mauro Rostagno è indelebile» per lo scrittore che ricorda le occasioni di incontro avvenute ai tempi di Lotta Continua. Maddalena Rostagno presenta quindi i due filmati dedicati a Mauro Rostagno che hanno partecipato e vinto al Festival del giornalismo di Perugia, proprio con il racconto della vicenda umana e professionale del giornalista ucciso della mafia. Tocca quindi a Marco Boato chiudere una serata davvero carica di emozioni. Per Boato che si trattasse di un omicidio di mafia fu chiaro fin da subito. Lo stesso Monsignor Adragna celebrò il funerale denunciando le radici mafiose dell’omicidio. Boato lamenta come Rostagno sia stato ucciso una seconda volta, cioè dalla disinformazione. La calunnia sistematica è stata la regola in questi anni, una calunnia che aveva colpito prima Lotta Continua e poi la fa
miglia, comprese le accuse infamanti a Chicca Roveri senza che nessuno poi abbia pagato. «Rostagno è morto come un eroe civile – dice Boato – e l’itinerario civile che lo ha portato alla morte per mafia è stato lungo e pieno di senso. Mauro fu un leader antiautoritario, rifiutando il dogmatismo marxista leninista e criticando i totalitarismi dovunque operò. Riscattò il silenzio dei poveri e degli oppressi. Fu libero da ogni condizionamento del potere». «Mi auguro – conclude il suo intervento Boato – che il processo renda verità alla memoria di Mauro e sani in parte la sete di giustizia della famiglia e di chi lo ha amato».
miglia, comprese le accuse infamanti a Chicca Roveri senza che nessuno poi abbia pagato. «Rostagno è morto come un eroe civile – dice Boato – e l’itinerario civile che lo ha portato alla morte per mafia è stato lungo e pieno di senso. Mauro fu un leader antiautoritario, rifiutando il dogmatismo marxista leninista e criticando i totalitarismi dovunque operò. Riscattò il silenzio dei poveri e degli oppressi. Fu libero da ogni condizionamento del potere». «Mi auguro – conclude il suo intervento Boato – che il processo renda verità alla memoria di Mauro e sani in parte la sete di giustizia della famiglia e di chi lo ha amato».
La sala si svuota poco per volta, si formano piccoli capannelli per continuare a condividere ricordi ed emozioni. Il lascito della serata per tutti i partecipanti è la sensazione di avere fatto qualcosa di importante, di avere esercitato il proprio ruolo di cittadini, trovandosi tutti insieme per celebrare un ricordo importante, che acquista ancora più senso se si pensa che il valore delle battaglie di Mauro Rostagno, in primis quella per una libera informazione in terra di mafia, è ancora lì, intatto, non toccato dal fango, dalle calunnie che pure si sono cercate di buttare addosso a lui, alla famiglia, a quanti ne hanno condiviso passioni e lotte.
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