Facciamo nostro il messaggio di Benedetta Tobagi
In occasione della serata dedicata a Mauro Rostagno a Milano, Rino Giacalone interviene al dibattito del Forum di Articolo 21 sul futuro della Rai proponendo uno dei temi fondamentali: il ruolo del servizio pubblico quale riflettore delle periferie italiane. Zone dove fare giornalismo d’inchiesta è difficile e dove la memoria civile del Paese rischia di scomparirire. E lancia un appello ad Articolo 21 e Libera Informazione che facciamo nostro e rilanciamo alla Rai e ai vertici dell’azienda. Domani, Rino Giacalone, rilancerà l’appello proprio a Milano.
Accendere i riflettori sulle periferie italiane. Parlare del processo per il delitto di Mauro Rostagno significa potere fare anche questo. Perché le trame delle quali oggi sentiamo tanto parlare, i “patti” e le “trattative” non sono nate a Roma o a Palermo, ma sono scaturite da vicende di periferia. A Trapani per esempio di storie da raccontare ce ne sono tante: ricordiamo le logge massoniche segrete e coperte della Iside 2, inaugurata dal commercialista di Totò Riina, Pino Mandalari, circoli frequentati da mafiosi e colletti bianchi che si stringevano le mani e si scambiavano solenni promesse.
O ancora il centro Scorpione di Gladio che sembra essere servito a controllare quello che facevano altri agenti dei servizi, troppo lontana era il confine dell’Est europeo, quando Scorpione arrivò a Trapani il pericolo comunista era oramai svanito, per cui non avrebbe avuto ragion d’esistere e invece a Trapani c’erano addirittura cinque sedi di Gladio, nel cuore del Belice, a pochi metri dalle case dei mafiosi, o per andare indietro negli anni c’è la storia della società Stella d’Oriente di Mazara del Vallo che era paravento di contrabbandi e traffici di armi e di droga, la società si sciolse i traffici continuarono. Storie che non sono concluse affatto.
Vicende che se sono state definite processualmente, restano attuali perché molti dei nomi ricorrenti negli atti giudiziari non sono finiti nelle retrovie della società ma restano a posti di comando, seduti su poltrone addirittura delle Istituzioni o ancora su quelle dalle quali si comanda la criminalità mafiosa che nel frattempo ha cambiato pelle ed è diventata impresa. Potremmo dire che si è creata una marginalità che è servita a fare crescere la piovra mafiosa. Pochi sanno che nel 1981 a intuire l’unicità di Cosa nostra fu un pm della Procura di Trapani, Ciaccio Montalto, prima ancora che arrivasse la confessione di Tommaso Buscetta, Ciaccio Montalto nel 1983 fu ammazzato per ordine di Totò Riina.
Banche ed economia erano nel mirino di Ciaccio Montalto, fascicoli che il pm Carlo Palermo prese quando arrivò qui “cacciato” da Trento e anche Palermo trovò l’accoglienza mafiosa, una autobomba. Il tritolo impiegato e che dilaniò una intera famiglia, la mamma ed i suoi gemellini, Barbara Rizzo, Salvatore e Giuseppe Asta, era lo stesso usato per l’attentato al treno 904 (dicembre 1984) e nel 1989 per l’attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone. Dopo il 1985 ancora una sequenza di delitti, faide, mentre si diceva che la mafia non esisteva.
L’ovattante silenzio è servito a fare crescere Cosa nostra a riempire le sue casseforti, dai delitti la mafia è passata ad occuparsi, di grandi appalti, supermercati, residence turistici, trasporti pubblici, soprattutto ha sempre mostrato di sapere votare bene quando è stato necessario votare bene. Per un certo periodo c’erano quelli che il pentito Giuffrè ha indicato come “cani attaccati”, cioè la mafia poteva fare il bello e cattivo tempo perché non si facevano indagini né processi, poi quando questi sono cominciati a diventare cose all’ordine del giorno è partita la macchina della delegittimazione non della mafia ma dell’operato antimafia, a Trapani si parla male dell’antimafia, della mafia non si parla affatto, anzi il neo sindaco, un generale dei carabinieri, Vito Damiano, ha vivamente pregato gli insegnanti a non parlare di mafia a scuola, proprio mentre l’offensiva contro la mafia sta registrando nuova impennata con ingenti confische che dimostrano come di questi giorni la crisi dei mercati e lo spread non impressionano certo Cosa nostra.
La cronaca giornalistica di questi fatti in tanti l’hanno compiuta ogni giorno, certo non c’è stato un vero e proprio coro, ma il fatto è che spesso sono state cronache relegate alla periferia, le notizie non hanno travalicato questi confini come invece è riuscita a fare la famosa “linea della palma” idealizzata da Leonardo Sciascia che primo fra tutti indicò come la mafia avrebbe avuto capacità ad esportarsi fuori dalla Sicilia. Per cui ben venga l’appello di Benedetta Tobagi perché a cominciare dal servizio pubblico questi riflettori vengano accesi. E perché proprio cominciando dal processo Rostagno? Perché se si vuole leggere la storia di oggi bisogna conoscere quella di ieri, della mafia che cambiava pelle nel 1988 e Rostagno costituiva un pericolo per i suoi editoriali che volevano aprire gli occhi alla città sulle connivenze che si andavano creando, delle indagini che spesso non si facevano perché già mancavano gli uomini a disposizione o quelli che c’erano andavano alla cene con i boss che avrebbero dovuto indagare e poi depistavano. Qui c’è la mafia che non chiede il pizzo ma che riscuote la quota associativa dalle imprese.
Oggi regna la mafia del sanguinario assassino Matteo Messina Denaro, padrone assoluto dei destini di questa terra di Sicilia, già questo dovrebbe essere sufficiente a fare accendere i riflettori e invece accade sentire dire che Messina Denaro quasi non comanda più, che la mafia è oramai battuta, ma sappiamo che non è così, e lo sanno coloro i quali ogni giorno ricevono un invito a non impegnarsi più di tanto, “ma chi te lo fa fare” spesso si sente dire, che è la stessa domanda che in altri tempi altri si sono sentiti porre, qualcuno di questi ha risposto con eloquente sorriso parlando del senso civico del dovere…poi è stato ammazzato. Vorremmo che non fosse più così ma se le periferie restano al buio il pericolo resta attuale anche perché Matteo Messina Denaro in uno dei suoi ultimi pizzini l’ha scritto che “si sentirà parlare ancora di lui”. Noi vorremmo che di lui se ne parli solo un giorno, il più vicino possibile, quando si potrà dire che è stato arrestato e consegnato a stare nell’unico posto dove merita di stare, in carcere.
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