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Una battaglia culturale e sociale che mette in campo il coraggio della verità

di Antonio Maria Mira il . Istituzioni, L'analisi

«Mettere in rete le esperienze», «Una convergenza di forze», «Sollecitare tutta la comunità cristiana», «La positività del “noi». Concetti che si ripetono nelle parole dei tre responsabili degli Uffici della Cei e di don Luigi Ciotti, promotori del progetto sui beni confiscati. «Educare a uno sviluppo integrale, alla legalità e alla cittadinanza – spiega monsignor Angelo Casile, direttore dell’Ufficio Nazionale per i Problemi sociali e il lavoro -. Un’educazione del cuore delle singole persone e delle comunità, mettendo in rete le diverse esperienze. E questa è una mossa vincente che la mafia teme: quando ha davanti singole persone è lei a vincere». 
Dunque, aggiunge, «quella della Chiesa sui beni confiscati è una battaglia culturale e sociale. Che funziona. Gli stessi attentati dei mafiosi sono il segno della riuscita». Ma, avverte, «noi non siamo preti antimafia ma per Gesù. E il Vangelo non può stare col male». «Il soggetto di questa iniziativa deve essere la comunità cristiana – insiste monsignor Nicolò Anselmi, direttore del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile -. Non solo degli eroi, ma temi che devono essere di tutti». Fare attività sui beni confiscati, «è uno schierarsi, non tirarsi indietro. Implica il coraggio della verità. Esporsi in nome della giustizia e della legalità. Ma tutti – ripete – abbiamo bisogno di questo coraggio evangelico, messaggio di speranza». Niente di straordinario, sottolinea don Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana, «ma l’impegno quotidiano per lo sviluppo del bene, della legalità, della trasparenza, della giustizia. Uno strumento di promozione umana e di recupero di valori per liberare dalla mentalità mafiosa». Anche perché nell’uso dei beni confiscati «si trovano grandi difficoltà e i primi avversari – denuncia – non sono solo i mafiosi ma chi con la mafia ha a che fare». Dunque, «questo progetto è un’occasione in più per avere uno strumento in più. Non è altro che quello che stiamo facendo da anni ma per farlo al meglio». Davvero «la positività del “noi”, di realtà diverse che si sono messe insieme, non l’opera di navigatori solitari», sottolinea con forza don Luigi Ciotti, presidente di Libera. Che però avverte: «Nell’impegno sui beni confiscati serve continuità, condivisione e corresponsabilità». Per questo, «il progetto è un segnale forte rispetto ai giochi delle mafie che dividono. Vederlo nascere è una grande gioia. Ne sono riconoscente a Dio e a chi lo ha permesso». Ma è proprio l’uso dei beni confiscati ed essere un'”arma” vincente. «C’è la dimensione culturale per estirpare le radici della mafie che in realtà non fanno cultura. C’è poi la riparazione del danno: bene come spazio pubblico, condiviso e non più esclusivo. Con a consapevolezza che il riutilizzo a fini sociali e per lo sviluppo economico sono la sintesi delle dimensioni che deva avere il contrasto alle mafie». Non si parte da zero. «In tante iniziative si è coltivato il bene e il futuro dando prova che etica ed economia possono andare sotto braccio. Un’economia giusta e sana, frutto del “noi”. Prodotti non avariati dagli interessi criminali ma che hanno il sapore dei territori e della legalità. Diritti invece di favori, dignità invece di sottomissione, coraggio e non più paura, speranza contro la rassegnazione, libertà contro la dipendenza, democrazia contro oppressione». Insomma, ancora una volta, «quella strada per unire la Terra al Cielo».
 

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