Praticare legalità e giustizia
Disabili e immigrati. Mozzarelle biologiche e olio di alta qualità. Uva e origano. Lavoro pulito e accoglienza. Vescovi e volontari. Parrocchie e gruppi scout. Coraggio e speranza. Ma anche grano bruciato e ulivi tagliati. Case danneggiate e mezzi rubati. Minacce e intimidazioni. È la storia dell’impegno della Chiesa sui beni confiscati alle mafie. Facce pulite e comunità vive. Storie che si scrivono ormai da più di quindici anni. Storie di una Chiesa silenziosa (non silente) e operosa. Che non fa notizia. Anzi che non viene ritenuta degna di essere notizia. Preti antimafia? No, solo preti, preti veri. E con loro tanti laici impegnati. Niente urla, niente scandali, niente veleni. E allora… non c’è notizia. Ma don Pino, don Franco, don Vittorio, don Nunzio (oggi vescovo di Cassano in Calabria) continuano a lavorare, a costruire, a coltivare, ad accogliere in quei beni, togliendo consenso e territorio ai mafiosi, e costruendo nuove comunità finalmente libere dalle mafie. Comunità in prima linea e pronte a rinnovarsi. A fare rete. Perché la mafia (come ogni potere forte) lo sa bene che chi è solo, isolato, è più debole. Così come chi si ferma, credendosi ormai “arrivato”.
È l’idea del progetto “Libera il bene – Dal bene confiscato al bene comune”, promosso da tre uffici della Cei e da Libera che nei prossimi mesi coinvolgerà ben 45 diocesi in 17 regioni del Nord, del Centro e del Sud (ne parliamo a pagina 13). Non un corso, non una scuola ma un cammino di formazione, di crescita comunitaria per sostenere le iniziative già esistenti (fatiche e rischi non mancano di certo…), per difenderle e rafforzarle, e per promuoverne di nuove. Ma sempre nello spirito del “noi”, di quella squadra del bene, della giustizia e dei diritti che non sempre c’è, ma che le cosche tanto temono. Quegli ulivi tagliati, quel grano bruciato lo dimostrano. Togliere ai mafiosi per riconsegnare alla comunità. È l’idea vincente che trenta anni fa capì Pio La Torre, politico siciliano che per primo propose la confisca dei beni ai mafiosi. Cosa nostra tentò di bloccare le sue idee uccidendolo il 30 aprile 1982. Ma cinque mesi dopo, la sua legge, la Rognoni-La Torre, che univa il nome di un ministro democristiano a quello dell’esponente del Pci, venne approvata. Era il 13 settembre 1982. Per la prima volta si potevano attaccare le ricchezze mafiose e veniva anche introdotto il reato di associazione mafiosa, quel 416bis strumento preziosissimo nel contrasto al potere criminale. Armi chieste a gran voce da magistrati come Falcone e Borsellino.
Quattordici anni dopo, su iniziativa di Libera che raccolse un milione di firme, nacque la legge 109 che innova la Rognoni-La Torre prevedendo l’utilizzo a fini sociali dei beni confiscati ai boss. Uno strumento la cui importanza è stata subito compresa da tanti sacerdoti e laici, parrocchie e associazioni. Prima di altri. Spesso da soli. Pur tra tante difficoltà, resistenze, ostacoli e intoppi burocratici e culturali («Ma padre chi glielo fa fare a mettersi contro “loro”?») sono così nate tante belle iniziative. Non “anti” ma “per”. Per la comunità, per il territorio, per la speranza, per la giustizia, per la solidarietà. Quei beni, tornati alla comunità, si sono riempiti di “buone prassi”. Un cammino cominciato allora e ormai inarrestabile, malgrado i tentativi violenti dei mafiosi e quelli più subdoli di chi nelle amministrazioni locali li appoggia. E di chi tace, non fa, guarda, accetta, convive. Scelte di testimonianza forte, mentre tanti beni restano abbandonati e devastati per paura e collusione. «Non li vuole nessuno e allora li prendiamo noi…». Un cammino dove sono cresciuti tanti giovani. Un percorso di lavoro pulito, di crescita culturale, di comunità vive e vivaci. Legalità e giustizia concrete, non solo proclamate.
Opere di una Chiesa che c’è, coi fatti. Poco conosciuta (peccato…). Addirittura infamata da chi la descrive come attenta alla “roba”, e “che non paga le tasse” (che invece paga). Forse perché, come per tante altre iniziative, gli uomini e le donne di Chiesa preferiscono il fecondo silenzio alle sterili grancasse. E così alle mafie fa tanto male facendo tanto bene. Ora si prepara a farlo ancora meglio. Insieme.
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