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Letizia Battaglia: “La foto che non sono riuscita a fare? Quella al corpo straziato di Paolo Borsellino”

Di Manfredi Liparoti* il . Progetti e iniziative

“Sono qui in nome del valore della solidarietà, della solidarietà tra donna e donna, tra dolore e dolore” Letizia Battaglia è a Riccione per il Premio Ilaria Alpi, dove ha portato la sua mostra fotografica Storie di mafia, allestita presso Villa Mussolini. Tra le più apprezzate fotoreporter al mondo, Letizia Battaglia con i suoi scatti in bianco e nero racconta i crimini mafiosi degli anni di piombo, l’ascesa dei Corleonesi, l’uccisione di Falcone, ma anche gli effetti dell’azione della mafia sulla società siciliana. Nelle sue fotografie non ci sono infatti solo “morti ammazzati”, sangue, dolore e disperazione, perché lei non è solo la “fotografa della mafia”.   Letizia Battaglia è la memoria dolente di Palermo, della sua miseria e del suo splendore, con le sue tradizioni, gli sguardi di bambini e donne, le feste e i lutti, la vita quotidiana e i volti del potere di una città contraddittoria. “Non sono solo una fotografa – dice –, sono una donna, una militante dell’informazione e per me la memoria è un valore”. 

Un valore che, secondo Letizia Battaglia, si sta perdendo: “Bisogna tornare a raccontare l’Italia, le sue cose belle e quelle dolorose, ma non si fanno più i reportage di un tempo”.   E che ricordo ha di Ilaria Alpi? “Una donna meravigliosa, che dovrebbe essere una spinta a tutte le giovani che vogliono fare giornalismo. Ma è vero, nel mondo dell’informazione se sei una donna non ti danno più molte opportunità, e lo stesso accade ai giovani in generale”.   La mostra del Premio Ilaria Alpi raccoglie 17 fotografie scattate dalla fotografa palermitana per il giornale L’Ora e per l’agenzia Informazione fotografica. È una “antologia di Spoon River” per immagini, la storia di Palermo scempiata dalla mafia. C’è l’uomo ucciso mentre andava in garage, accanto a una bambina lavapiatti. Un ritratto di famiglia nel quartiere Kalsa, un bambino che “gioca al killer” e uno straordinario primo piano di Rosaria Schifani, la vedova dell’agente di scorta Vito, saltato in aria insieme a Falcone. Ma c’è una fotografia che proprio non è riuscita a fare: quella della strage di via D’Amelio, quella in cui morirono Paolo Borsellino, il caposcorta Agostino Catalano e gli agenti Emanuela Loi (prima donna a far parte di una scorta e a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.   
“Altre fotografie non sono riuscite a farle, ma quella del corpo straziato di Paolo Borsellino proprio non ho voluto – racconta –. Ho detto basta, basta, basta, ma mi piacerebbe fotografare i mandanti”.   Per visitare la mostra Storie di mafia a Villa Mussolini c’è tempo fino a fine settembre. L’ingresso è libero, come tutti gli appuntamenti del Premio Ilaria Alpi.   Il Premio Ilaria Alpi rientra nei festeggiamenti di Riccione 90. 
Il programma completo è disponibile sul sito www.premioilariaalpi.it.

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