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2 Agosto, P2, stragi e mandanti: un processo infinito

Di redazione il . Progetti e iniziative

In Italia il terrorismo ha compiuto 14 stragi che hanno provocato 350 vittime, per le quali nessun mandante è stato mai condannato. Depistaggi, ritardi, processi che non hanno mai raggiunto una verità giudiziaria. Una coltre scura copre segreti indicibili che hanno avvelenato la Repubblica, fin dalla sua fondazione. Stragi avvenute in contesti diversi, con diverse modalità ma con la stessa finalità: la nascita di uno Stato autoritario. Una lettura puntuale della storia italiana è stata data a Riccione alla XVIII edizione del Premio Ilaria Alpi nel corso della presentazione del libro “Stragi e mandanti” (Aliberti editore). Gli autori Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione vittime della strage alla stazione di Bologna, e Roberto Scardova, giornalista Rai, hanno studiato una mole impressionante di documenti giudiziari prodotti nei tanti processi sullo stragismo. A iniziare dall’eccidio di Portella della Ginestra del 1948.

Stragi di mafia, stragi fasciste e brigatiste, fenomeni diversi che devono, e possono, essere letti in modo contestuale.  «Dal 1945 ad oggi – sottolinea Scardova – tutti i fatti relativi alla criminalità organizzata, al terrorismo, agli scandali finanziari sono stati analizzati autonomamente con diversi procedimenti e con storie processuali concluse quasi sempre con archiviazioni. Le stragi collegate al terrorismo  hanno provocato 350 vittime, ma solo due colpevoli sono stati condannati, perché? Probabilmente perché non c’è stato un confronto tra magistrati che hanno indagato i diversi casi». Poi è successo qualcosa: «A Brescia – continua – per il processo della strage di Piazza della Loggia, i magistrati hanno raccolto un’enorme mole di nuove risultanze investigative. Tutto questo materiale è stato digitalizzato dalle associazioni dei familiari delle vittime che hanno realizzato una banca dati di un milione e mezzo di pagine, che consente oggi di avere un quadro generale. Nel nostro libro c’è tutto quanto di nuovo è stato raccolto negli ultimi vent’anni».

Tutte informazioni ufficiali – sentenze, documenti giudiziari, di cui non si parla. Dietro ogni strage in Italia, ad esempio,  si è sempre detto che c’è stato un progetto di golpe, con Bologna no. Perché? «Il motivo è chiaro. A Bologna – spiega Paolo Bolognesi – si è inaugurata una strategia diversa per sconvolgere le istituzioni dall’interno e arrivare ad uno Stato non democratico. Questo è il programma della P2, il cui gran maestro Licio Gelli è stato condannato per la strage di Bologna». «Dopo il 1974- rincara Scardova – cambia la strategia eversiva in Italia. Le stragi non sono più finalizzate alla realizzazione di un golpe, ma a condizionare in modo reazionario la politica. Bologna è il punto di arrivo di questa strategia. Nella seconda metà degli anni ’70 Licio Gelli favorisce l’ingresso nella P2 di un gran numero di militari, agenti dei servizi. Contestualmente – aggiunge – punta ad unificare la massoneria italiana attorno al progetto del piano di rinascita democratica, iniziando dalla Sicilia. Sono questi gli anni nei quali i boss di Cosa nostra, sollecitati da Michele Sindona, fanno il loro ingresso nelle logge massoniche».

«Nel 1980 doveva esserci il gran salto con la realizzazione del piano di rinascita. Si è preparato qualcosa di enorme che doveva spazzare via la possibilità delle sinistre di accedere al governo». Ma così, fortunatamente, non è stato. «Dal 1945 – puntualizza Bolognesi – si è assistito ad una gradualità dell’eversione tutelata dai vertici delle istituzioni, le stesse che decidono poi le nomine dei servizi segreti». L’intelligence, quindi, gioca un ruolo importante. «Nel 1977 – ricorda Scardova – si ha la riforma dei servizi italiani. A capo del Sismi Andreotti chiama il generale Santovito, affiliato alla P2. Appena due mesi dopo viene rapito e ucciso Aldo Moro, il delitto politico più eclatante avvenuto in Europa dopo il 1945. Dalla fine della seconda guerra mondiale è attiva in Italia una struttura segreta chiamata l’”Anello”, che agisce nella totale impunità finchè a Brescia, nel corso del processo, un testimone ne parla chiamando in causa Andreotti…».

«L’Anello – aggiunge Scardova – intervenne nel caso del finto rapimento della salma di Mussolini, favorì la fuga dall’Italia di Kappler, ha trattato con le Brigate Rosse per avere il memoriale di Aldo Moro, è intervenuta nel rapimento di Ciro Cirillo. Faccio quindi un appello ad Andreotti: dì ciò che sai!».  Il silenzio sulle stragi e sull’eversione è un segreto ben custodito.  Un segreto di Stato che, nonostante l’impegno delle associazioni dei familiari delle vittime, non è stato ancora scalfito. Tuttavia, ricorda Paolo Bolognesi, la verità è a portata di mano: «Il nuovo metodo messo in atto dalle associazioni dei familiari delle vittime ha creato un’autostrada verso la verità. Bisogna stare attenti che non si trasformi in una Salerno – Reggio Calabria».

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