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Quirinale e Procura di Palermo,
ancora scontro

Di Lorenzo Frigerio il . L'analisi

Pochi giorni di pausa, trascorsi sotto la canicola estiva, giusto il tempo di passare la boa di Ferragosto e virare la rotta verso l’approdo settembrino, ed ecco che le polemiche legate allo scontro istituzionale tra il Quirinale e la Procura di Palermo hanno ripreso vigore, lasciando presagire un ulteriore innalzamento dei toni, in vista di un autunno che si preannuncia altrettanto caldo, anche se non più dal punto di vista meteorologico. Cruciale si conferma quindi il passaggio previsto per il prossimo 19 settembre, quando la Corte Costituzionale sarà chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità del conflitto di attribuzioni sollevato dall’Avvocatura di Stato, in merito all’esito dei colloqui telefonici intercettati tra l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

E questo dopo che le polemiche successive alla pubblicazione di quelli registrati tra lo stesso Mancino e il consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio, erano giunte al culmine, poche settimane fa, con la concomitante e drammatica scomparsa di quest’ultimo, vittima di un infarto fulminante.  Allora si era scatenata una poco commendevole bagarre alimentata da quanti – politici, giornalisti e opinionisti vari – sostenevano che D’Ambrosio fosse stato perseguitato prima, spinto sulle soglie dell’improvviso decesso poi dall’azione incalzante dei magistrati di Palermo.  Superfluo ci pare ogni commento a tale proposito, tanto è l’enormità dell’assunto di partenza, cioè la volontà persecutoria della Procura palermitana, chiamata piuttosto a fare luce su fatti di vent’anni fa, ancora oggi coperti da un imbarazzante silenzio, esito ultimo di un clamoroso depistaggio.  

Intercettazioni, da Zagrebelsky a Monti

La polemica è tornata a divampare ancora una volta mezzo stampa nei giorni immediatamente successivi a Ferragosto, con la pubblicazione di un articolo dell’ex presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky su “La Repubblica” e l’annuncio, quasi in contemporanea, da parte del presidente del Consiglio Mario Monti di un prossimo intervento in materia di intercettazioni da parte del governo da lui presieduto. Nell’articolo l’esimio giurista ha messo in guardia il Presidente Napolitano dalla cosiddetta «eterogenesi dei fini», ponendo l’accento su come, al di là di ogni specifica volontà, sicuramente di segno opposto, la sollevazione del conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Costituzionale avesse finito per fare il gioco di quanti puntavano a delegittimare ed isolare la Procura di Palermo, impegnata nella ricerca della verità sulla trattativa tra Cosa Nostra e Stato.

Secondo Zagrebelsky, il ricorso presentato sarebbe già stato vinto, essendo nei fatti impossibile che i custodi della Costituzione – Presidente e Corte per l’appunto – possano entrare in rotta di collisione sul ruolo assegnato loro dalla Carta: «Non è una contesa ad armi pari, ma, di fatto, la richiesta di un’alleanza in vista d’una sentenza schiacciante». E quindi sarebbe stato meglio non sollevare il conflitto, ma piuttosto cercare una via d’uscita che non esponesse la Procura di Palermo al rischio di una terribile pressione istituzionale che l’opinione pubblica non è in grado di comprendere, se non in termini di un’indebita censura. L’ex presidente della Corte Costituzionale ha inoltre ipotizzato che il silenzio in materia così delicata da parte dei padri Costituenti sia stato consapevole, lasciando quindi che il Presidente fosse soggetto alle stesse regole di tutti gli altri cittadini. Per questo sarebbe stato opportuno, nello spirito di una «leale collaborazione» tra Colle e Procura palermitana, risolvere la questione secondo le procedure e le garanzie ordinarie.

Nelle stesse ore veniva rilasciato, tramite le agenzie, il contenuto di un’intervista al settimanale “Tempi” diretto da Luigi Amicone, in cui il presidente del Consiglio Mario Monti si soffermava sulla vicenda Napolitano, per denunciarne la gravità e l’evidente presenza di veri e propri «abusi». Sempre nell’intervista, Monti annunciava una prossima iniziativa del Governo per cercare di sanare le lacune legislative in tema di intercettazioni.  Apriti cielo, ovviamente..

A stretto giro di posta, il consueto teatrino della politica italiana ha cominciato a far affluire nelle redazioni di giornali e tv dichiarazioni pubbliche e comunicati stampa di leader e parlamentari, in cui la questione delle intercettazioni, ben al di là del merito, è finita per diventare oggetto di scontro e di posizionamento nell’ambito di una campagna elettorale che è lo stato permanente in cui partiti e istituzioni sembrano essere a loro agio, a dispetto dei problemi reali del nostro Paese. 

ANM e FNSI pronte a dar battaglia

Da segnalare, al contrario, come estremamente pertinente, la reazione dell’Associazione Nazionale Magistrati che, in una nota di commento alle dichiarazioni di Monti, ha definito «improprio ogni possibile riferimento a presunti abusi che sarebbero, comunque, oggetto di altre procedure di controllo, secondo gli strumenti previsti dalle normative vigenti».  Nel ricordare la necessaria sospensione di ogni giudizio sulla vicenda, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, l’ANM ha poi ribadito l’auspicio che «che ogni eventuale riforma del regime delle intercettazioni, pur diretta a tutelare il diritto alla riservatezza dei soggetti estranei al procedimento, salvaguardi il pieno utilizzo di tale indispensabile strumento d’indagine, senza peraltro comprimere il legittimo diritto di cronaca». Altrettanto decisa e repentina è stata la presa di posizione della Federazione Nazionale della Stampa: secondo il presidente Roberto Natale, «le intercettazioni sono uno strumento prezioso, parlarne solo in termini di abuso è strumentale». 

Libera Informazione ospita un intervento dello stesso Roberto Natale che annuncia per settembre una nuova iniziativa del “Comitato per la libertà e il diritto all’informazione”, il cartello di sigle del giornalismo e dell’associazionismo che da diversi anni si batte contro ogni forma di bavaglio. 

Scalfari non ci sta..

Per dovere di cronaca, va segnalato come ancora una volta a difesa della posizione del Capo dello Stato si sia pronunciato Eugenio Scalfari che, nel suo editoriale domenicale, ha criticato aspramente l’ex presidente della Corte Costituzionale, proprio per le posizioni espresse due giorni prima sul giornale da lui stesso fondato: «La Corte, quando emetterà la sentenza, potrà benissimo dare ragione al Quirinale senza incorrere nell’accusa di cortigianeria o dargli torto senza provocare alcuna crisi costituzionalmente drammatica. Salvo che nella testa di quei politici o dei loro riecheggiatori che palpitano nella speranza che la Corte dia ragione al Capo dello Stato per poter accrescere i loro attacchi eversivi contro entrambi, preparandosi invece ad attribuire il merito di una sconfitta di Napolitano del quale a quel punto reclamerebbero le immediate e infamanti dimissioni». 

Posizioni opinabili le sue, ovviamente e non intendiamo certo schierare Libera Informazione per dare ragione o torto a Zagrebelsky piuttosto che a Scalfari: ognuno è libero di farsi l’opinione che crede e che “La Repubblica” possa ospitare anche commenti e interpretazioni totalmente divergenti è il sale di una informazione appunto libera. 

Restano però forti dubbi su come si possa scrivere e dare interpretazioni così divergenti di vicende così cruciali per la nostra democrazia dalle pagine dello stesso quotidiano, se si pensa a questi ultimi mesi, dove a fianco delle lucide ricostruzioni delle vicende della trattativa operate da un esperto e qualificato giornalista come Attilio Bolzoni, si sono lette meno lucide
e più forzate ricostruzioni di ipotetici complotti diffamatori, tendenti a trascinare nelle palude melmose della trattativa tra Stato e mafia proprio il capo dello Stato, per provocare la caduta del governo Monti. 

Così come inquieta, ferma restando la necessità di opinioni discordanti in democrazia, l’esito ultimo dell’esternazione domenicale di Scalfari: «Ci sarebbe anche da distinguere tra trattativa e trattativa. Quando è in corso una guerra la trattativa tra le parti è pressoché inevitabile per limitare i danni. Si tratta per seppellire i morti, per curare i feriti, per scambiare ostaggi. Avvenne così molte volte ai tempi degli anni di piombo». E tutto ciò avvenne, ricorda il fondatore de “La Repubblica”, senza che nessun magistrato si sognasse di trascinare alla sbarra i sostenitori di quanti pensavano di arrivare ad un compromesso con le BR per salvare la vita di Moro. 

Scalfari prosegue poi nel ragionamento, per arrivare alla conclusione: «Qual è dunque il reato che si cerca, la verità che si vuole conoscere? Deve essere un’altra e non questa. Deve essere – come alcune frasi d’una delle innumerevoli interviste di Ingroia fa pensare – una trattativa svoltasi in una fase in cui la mafia era ridotta al lumicino e per tenerla in vita si invocava l’aiuto dello Stato. Questo sì, se fosse provato, sarebbe un crimine. Un crimine di enormi proporzioni». 

Una Procura sguarnita

Al netto delle polemiche, però, c’è il rischio concreto di una paralisi nelle inchieste antimafia più importanti portate avanti dalla Procura della Repubblica di Palermo. Un pm nell’occhio del ciclone, come Antonio Ingroia, in procinto di trasferirsi in Guatemala per incarico dell’ONU – incarico da lui stesso accettato proprio per decongestionare il clima di assedio che cinge la Procura di Palermo, come più volte ribadito pubblicamente – si espone nuovamente in queste ore, per definire le parole di Monti “ingenerose” e respingere alla politica l’accusa di sconfinamento di campo rivolta alla magistratura.

Un altro magistrato come il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, segretario dell’ANM palermitana e tra i saggi depositari dell’eredità di Falcone e Borsellino, denuncia apertamente l’isolamento che si è creato attorno agli uffici giudiziari del capoluogo siciliano, dopo la decisione del Quirinale e il conseguente inquinamento della delicatissima fase che sta vivendo la Procura.  L’apertura dei procedimenti disciplinari a carico di Roberto Scarpinato, Nino Di Matteo e dello stesso procuratore Francesco Messineo, al di là del merito, di fatto alterano il contesto attuale, che è già teso per l’annuncio dei ricambi previsti ai vertici degli uffici giudiziari.

I nomi del nuovo procuratore generale di Palermo e dei vertici delle procure palermitani e nisseni dovranno venire dal CSM, chiamato nelle prossime settimane a pronunciarsi anche sull’esito delle contestazioni emerse in sede disciplinare ai danni di alcuni protagonisti della lotta a Cosa Nostra. Lo stesso Teresi ha ricordato come, nel silenzio degli organi preposti, il comando dei carabinieri abbia dato il via ad una girandola di sostituzione di alcuni ufficiali che si tradurrà nell’azzeramento della memoria storica dell’Arma in tema di lotta alla mafia.

E come se non bastasse, nei prossimi giorni si avranno gli sviluppi dell’ennesimo serrato confronto tra gli inquirenti palermitani e l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, chiamato a testimoniare nell’ambito del filone d’inchiesta rimasto aperto sulla trattativa. I magistrati hanno dato facoltà al leader del Pdl di scegliere un giorno tra il 20 agosto e il 5 settembre, ma per ora non hanno ricevuto risposta. 

L’ipotesi ora al vaglio vede Berlusconi nel ruolo di vittima dell’estorsione portata ai suoi danni da Marcello Dell’Utri, a cui sarebbe stata pagata una villa sul lago di Como con un corrispettivo, non frutto di una vera compravendita di mercato, ma piuttosto esito della minaccia di rivelare quanto a propria conoscenza, alla vigilia della sentenza della Corte di Cassazione che avrebbe potuto portare il senatore in carcere. Non c’è che dire la temperatura è destinata a salire nei prossimi giorni.  E le ore più calde sono ancora di là da venire..

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