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Reggio Calabria, condannato Amedeo Matacena

D Gianluca Ursini il . Calabria

“Giuseppe Aquino, in passato vicepresidente della Provincia di Reggio Calabria, aveva fatto da tramite dei rapporti tra Matacena e le cosche reggine, in particolare con quella dei Rosmini”; così nel dispositivo della Corte d’Assise reggina che ha condannato l’ex politico di Forza Italia, ora rifugiato a Montecarlo Amedeo Matacena junior, figlio del patron dei traghetti Villa San Giovanni – Sicilia, che tra i primi aveva fondato nel ’93 un club di Forza Italia sullo Stretto. I Rosmini del paesino collinare di Cardeto, con cui avrebbe tratto accordi elettorali di scambio l’imprenditore – politico sono i “signori della montagna” alleati dei Serraino (altro clan molto forte in Aspromonte ma sbarcato da decenni sulla città dello Stretto) nel cartello dei condelliani contrapposti ai De Stefano e Tegano di Archi nella Guerra di Mafia per il controllo di Reggio dell’86 – 91.  

A distanza di quasi 20 anni dall’inizio del procedimento, che aveva segnato una condanna in primo grado, assoluzione in appello, rinvio al secondo grado in Cassazione, c’è di nuovo una grave condanna per 416 bis in capo all’ex imprenditore e deputato di F.I.; un rappresentante a livello locale del conflitto d’interessi che caratterizzò negli anni ’90 quel partito: se Berlusconi aveva a cuore la tv, Matacena si battè per evitare che prendesse corpo il progetto del Ponte dello Stretto, visto che da due generazioni alla sua famiglia rendeva miliardi il monopolio dell’attraversamento su nave, senza dover muovere comodamente le terga dall’ufficio. In seguito il fondatore di Forza Italia si impuntò sulla realizzazione di quell’opera così cara a ‘ndrine e Cosa Nostra (“un ponte tra due cosche, non tra due coste”, l’icastica definizione di Leoluca Orlando sull’opera) e Matacena venne scaricato dal partito.

Fece soprattutto scalpore l’essere tirato in ballo nel ’95 dalle dichiarazioni di alcuni pentiti; successivamente, la crisi della sua compagnia di traghetti privati hanno segnato il suo definitivo abbandono della Calabria. Matacena jr è da tempo residente nel Principato dei Ranieri, e presta la sua opera di consulente del settore nautico tra Costa Azzurra e Svizzera. Matacena era stato invischiato nel terzo troncone del procedimento “Olimpia” che indagava sui rapporti tra le cosche reggine  e i politici; l’avvocato generale dello Stato in Reggio Scuderi aveva chiesto un mese or sono 6 anni di carcere come condanna per l’ex politico.

Vicenda giudiziaria intricata, quella di Matacena jr: venne condannato in prima istanza nel marzo 2001 dal Tribunale reggino, a 5 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa, concorso esterno. Nel marzo 2006 in corte d’Appello a Reggio viene assolto per annullamento della sentenza, quattro anni dopo la stessa Corte d’Appello conferma la prima disposizione assolutoria. A quel punto interviene impugnazione dell’avvocato generale Scuderi che chiede annullamento dell’assoluzione e rifacimento del giudizio in secondo grado, e che ha ottenuto finalmente condanna. Dopo 20 anni e quando l’imputato è bello che andato in altro Paese.

Alfio Scuderi nella sua arringa in aula aveva definito “illogica” la prima sentenza assolutoria per Matacena: “non commettete l’errore di chi vi ha preceduto”, aveva implorato la presidente di corte, Iside Russo. Pur non condannando il politico, il dispositivo accertava quello che Scuderi definisce un “patto del diavolo” con la cosca Rosmini; il politico venne assolto perché l’accusa non riuscì a dimostrare i benefici che la cosca avrebbe avuto da questo patto con Matacena. Ma per l’avvocato generale dello Stato il solo atto stipulativo, se serio tra le parti, poneva la cosca Rosmini in una posizione di prestigio rispetto alle altre confraternite mafiose della città dello Stretto.

Matacena doveva diventare l’avamposto in Parlamento della cosca; “non si può pretendere una prova notarile del patto tra un politico e la ‘ndrangheta”, il succo della requisitoria di Scuderi. Matacena, oltre a 5 anni di detenzione, è stato condannato alla perpetua interdizione dai pubblici uffici. Inoltre, l’ex deputato al termine della pena potrà essere sottoposto a sorveglianza speciale.

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