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Calabria, medici corrotti e medici corretti

Di Gianluca Ursini il . Calabria

Il procuratore capo Enzo Lombardo, l’aggiunto Giuseppe Borrelli e il pm Vincenzo Luberto; avevano visto giusto, seguito la pista esatta, per arrivare ai medici che si vendevano ai mafiosi, alle volte per nient’altro che una cassa di vino pregiato a Natale, in altri casi per ottenere incarichi prestigiosi per i figli. E si erano imbattuti in due casi esemplari; l’uno, per nostra fortuna, è quello di un professionista calabrese ancora integro e non disponibile ad accordo con i boss, che rifiutò di redigere false perizie per consentire agli ‘ndranghetisti di evitare il carcere duro. Un altro, medico, massone ed esponente della borghesia che conta in una città che si fregia del titolo di Metropolitana, è uno degli esempi che si possono presentare come sintomatici del primo malessere di una società maggioritariamente inquinata dal malaffare, simbolico di quella zona grigia grazie alle quale le mafie prosperano, è il simbolo di quella collusione tra cosiddetta società “bene” e mafiosi che crea ‘ndrinopoli. La rappresentazione in un singolo uomo di cosa sia Reggio, la Calabria, il malaffare che sta inquinando il Paese e del perché a qualche giornalista venga voglia di raccontare cosa sia ‘ndrinopoli, come sia nata e cosa siamo diventati in questi anni, da quando le ‘ndrine si sono impossessate della nostra città e delle nostre vite. 

I due nomi, vanno marchiati a fuoco, sono quelli di Gabriele Quattrone e del dottor Antonio De Rose e del suo potenziale paziente Samuele Lovato. Troppo semplice dire il cattivo e il buono; anzitutto, fino al terzo grado di giudizio, vale la presunzione di innocenza. Di sicuro c’è però un dato, che emerge dalle dichiarazioni dei pentiti a riscontro delle intercettazioni ambientali e dei documenti raccolti dal pm Luberto con le perquisizioni già disposte nel maggio 2011 su diverse cliniche calabresi: c’è la certezza che il dottor De Rose, a precisa richiesta, non si sia prestato. C’è la certezza che Quattrone ha più volte riscontrato ansie, crisi di panico, stati confusionali e disagi vari in capo a diverse persone affiliate alle cosche. C’è il dato di fatto che queste perizia hanno portato benefici agli uomoni di ‘ndrangheta. Alla giustizia dello Stato, accertare se sia stato fatto dietro promessa di un compenso, per dolo, sotto minaccia o magari inconsapevolmente. Non tocca qui dare patenti morali; c’è solo un dato di fatto; con Quattrone certe cose si potevano fare. E nasce da qui l’origine delle mafie moderne, quelle che si infiltrano nella sedicente “buona società”, o per meglio dire, che vengono manovrate dal cosiddetto Jet Set. 

Cominciamo dalle buone notizie; Samuele Lovato, 38 anni, detto “u sicilianu”, affiliato ai Forastefano di Cassano Jonio, oggi collaboratore di giustizia, in passato finto matto per eludere le maglie della legge, più volte e per lunghi periodi ospite (più che ricoverato) a Villa Verde, Gran Hotel di ‘ndrangheta nella definizione del procuratore capo Lombardo. Mai sofferto di nessuna patologia psichica o psichiatrica. E’ lui il principale pentito che ha fornito a Luberto (minacciato di morte più volte dai clan dello Jonio, dagli Abbruzzese ai Forastefano, ben due volte sono stati sventati complotti per ucciderlo con i bazooka) i nomi dei medici che si prestavano e ha spiegato come funzionavano le finte diagnosi di cui a lungo aveva beneficiato.  

Lovato ha spiegato a Luberto la storia di questo giovane medico che rischiò il licenziamento da Villa Verde, per non essersi piegato alla richiesta di false perizie. Altri si vendevano per piccoli regalini, lui ci stava rimettendo il posto per non violare la sua etica deontologica. Antonio De Rose, 40 anni da Rovito, Cosenza, è l’eroe borghese del brutto intrigo di Villa Verde; non era tra quelli che forniva “certificazione per la somministrazione di Diazepam per via intramuscolare o orale”.  

Così la spiega il “siciliano”: «Quando presentavo ‘ste richieste non palesavo nessuno di ‘sti sintomi di crisi di panico o ansia, ero del tutto tranquillo e comunque non mi veniva certo somministrato il Diazepam. In clinica poi, non prendevo le medicine prescritte e i sanitari ne erano perfettamente al corrente. La terapia non veniva assunta né da me né da Ciccio Scrugli né da Andrea Mantella né da Katia Greco, figlia di un boss di Cosenza, ricordo che il medico di turno segnava la somministrazione del farmaco e relazionava sulla cartella clinica di crisi d’ansia fantasma, e l’infermiere aggiornava il diario clinico, solo il dottore De Rose non rilasciava queste false certificazioni». De Rose e un altro pediatra, del quale Lovato non ricorda il cognome e che quindi rimarrà una persona onesta e anonima (il titolo di eroe per aver fatto solo il proprio, forse sarebbe esagerato). Questi due professionisti la pagheranno.  

«So che nel 2009 questa coppia di medici è stata licenziata perché non si prestava a queste false certificazioni» spiega Lovato ai pm, che spiega anche come il direttore sanitario Arturo Ambrosio avesse provato ad ammorbidire il procuratore cosentino Spagnuolo, il quale si era però dimostrato “inavvicinabile”. In altri casi, sono i periti del tribunale il cavallo di Troja delle ‘ndrine. Nel racconto del pentito: «Nel 2009 venne ricoverato un detenuto cosentino, Alessandro Manzo, mi disse che, tramite il suo legale, aveva ottenuto dal perito del giudice, un referto medico compiacente per consentirgli l’internamento a Villa Verde, lì, come tanti, iniziò con i regali al direttore Ambrosio e ai medici; prosciutti, profumi da donna, bottiglie di vino, liquori, salottini interi, set di lenzuola, fino a essere trasferito al piano più “sicuro”, fino a non pagare retta e a non dover far finta di assumere le medicine, gli ansiolitici». 

Quattrone, invece, a Reggio, fa rima con massone. Nobile istituzione, ma che in Calabria, tra Cosenza, Catanzaro e Reggio, conta più di 200 logge conosciute e infiltrazioni mafiose che fanno dire come forse siano i Mastri venerabili ad inquinare le cosche, per poi stringerci affari. «Allora, per quello che mi compete, tra sabato e domenica mi imposto bene la perizia della vostra fanciulla, tra una intervista al mensile “Elle” e una per l’Herald Tribune di New York». Per dire come si presentasse il primario di neurologia del policlinico reggino “Madonna della Consolazione”, nelle carte predisposte dal gip milanese Giuseppe Gennari nella inchiesta Infinito 2 contro il consigliere regionale Franco Morelli e i mafiosi delle famiglie arcote Lampada e Valle (i Lampada in Archi negli anni ’70 erano i macellai dei De Stefano; poi fecero da prestanome per un baretto attiguo al Tribunale; poi negli anni ’80 il grande balzo a investire i proventi destefaniani, dei Condello e Tegano a Milano: oltre 300 tra bar, disco, privè e ristoranti di lusso, ndr). Per Gennari Quattrone fa parte di quella “borghesia reggina che frequenta il giudice Giglio (arrestato il 30 novembre per aver accettato dei colloqui con emissari dei boss, pur di favorire come manager di una Asp la moglie A. Sarlo o il giudice Giusti – che veniva remunerato per le sue consulenze con prostitute di lusso all’hotel Brun di Milano, ndr)”.   

Gennari scrive nella ordinanza cautelare di Infinito 2 «Di aver avuto cognizione diretta del neurologo Quattrone alla presentazione di istanza scarcerazione per Valle Maria, all’epoca sottoposta a misura cautelare nel procedimento alla cosca di ‘ndrangheta. In quel contesto il sottoscritto – scrive il giudice – respingendo l’istanza fondata su asserite patologie psichiatriche di cui avrebbe sofferto la giovane Valle, aveva evidenziato la singolarità della consulenza di parte redatta da Quattrone, che dietro toni apparentemente ineluttabili appariva del tutto inconsistente dal punto di vista scientifico». Gennari ha poi avuto modo di dichiar
are a un sito calabrese che «Leggendo questa ultima informativa fornita dalla Questura reggina, fa piacere apprendere che un semplice sospetto era fondatissima constatazione». «Si è potuto constatare – scrive Gennari nella ordinanza – il particolare impegno messo in atto dall’avvocato Enzo Minasi (legale della famiglia Valle) e da coniugi Lampada – Valle, a pianificare una serie di consulenze mediche per Valle Maria al fine di farle ottenere in maniera fraudolenta gli arresti domiciliari». 

Prima i Lampada e i Valle a Milano; poi i Forastefano e gli Arena a Cosenza e Crotone; la vita dello psichiatra più conosciuto in riva allo Stretto, il confidente dei sogni di tutti i maggiori professionisti e dei più abbienti e influenti tra i reggini, si incrociano da anni con i clan, che da circa 4 decenni, con la creazione della “Santa” nel 1974 su idea dei sanlucoti e dei De Stefano e Tegano, hanno deciso di partecipare più attivamente alla vita delle logge, che tanto potere hanno in Calabria; forse come in nessun’altra regione del Meridione d’Italia, in proporzione.  Questa è la storia, esemplificativa, di come le cosche abbiano infiltrato le Logge, e di come nasca la tanto chiacchierata zona grigia, entità astratta che a volte si sostanzia in un volto, un nome, un curriculum professionale e una storia privata. Ma forse la zona grigia, è fatta di questi professionisti che infiltrano le ‘ndrine. Non il contrario…

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