NEWS

Reggio Calabria, al processo “Meta” sentito il boss Peppe De Stefano

Di Gianluca Ursini il . Calabria

«Io l’infame, non lo ho mai fatto. Mai. Mai parlato con gli sbirri», così parlò Peppe De Stefano “ciao belli” (il soprannome meritato, dal giorno del suo arresto nel dicembre 2008, perché così salutò la cittadinanza mentre usciva a notte fonda in ceppi dalla Questura reggina). Riferisce in collegamento dal carcere di Tolmezzo in Friuli, dove si trova ristretto in regime duro di 41bis da 4 anni, alla giudice Silvana Grasso che presiede il collegio giudicante in aula bunker di Reggio nel processo “Meta”, istruito dal Pm Giuseppe Lombardo, lo stesso dell’inchiesta “Break fast” sui collegamenti tra il tesoriere della Lega Belsito e le ‘ndrine del nord.
 
A deporre è chiamato il colonnello Valerio Giardina, per quasi 8 anni a capo del Raggruppamento Operativo Speciale (Ros) sezione anticrimine della metropoli dello Stretto; deve deporre sul gotha della ‘ndrangheta del capoluogo: le quattro famiglie di mammasantissima, De Stefano, Tegano Libri e Condello; in un processo delicato che analizza i rapporti tra mafia e politica calabrese, e i rapporti di forza tra questi quattro clan. Giardina ha appena finito di fornire la sua versione dei fatti venerdì scorso 29 di giugno, sui rapporti tra gli alleati storici ai tempi della Guerra di Mafia che insanguinò Reggio città tra l’86 e il ’91, insinuando il dubbio che l’alleanza presentasse delle crepe, e che i boss si siano per anni fatti la guerra non a colpi di kalashnikov, bensì (questa la novità) a colpi di delazioni agli organi inquirenti e agli investigatori e spioni del Sismi, che da decenni calano a pattuglie sullo Stretto.
 
Non ha il tempo di terminare la deposizione, il colonnello dei Carabinieri, ora di stanza presso una scuola superiore anticrimine dell’Arma in Roma, che il boss reggente della cosca più potente della ‘ndrangheta, chiede la parola dal carcere friulano per smentirlo. Perché un boss, anche se ha studiato al Classico e ha avuto relazioni con le figlie dei professionisti più noti in città, rimane sempre un boss. E ci tiene a far sapere urbi et orbi che lui, agli “sbirri”, non ha mai denunciato nessuno. «Voglio emerga la realtà dei fatti, per questo ho scelto (di essere giudicato) col rito ordinario). Stimo il dottor Lombardo, ma né lui, né il colonnello Giardina, possono permettersi di dire che sono un infame, perché io gli infami li combatto da quando ho 5 anni». Niente conflitti interni risolti con le soffiate, allora, come aveva lasciato intendere l’ex capo dei Ros a Reggio, «Mai avuto rapporti di confidenza con nessun tipo di entità o istituzione» ribadisce il boss 40enne, famoso come frequentatore di discoteche (d’altronde le più note in città erano tutte intestate a suoi prestanome) e donne appariscenti, anche negli anni della latitanza.
 
Giardina e Lombardo. Ma cosa aveva riferito il colonnello dei Ros su domande del pm Dda Lombardo? A comandare in città, dopo la prima Guerra di ‘ndrangheta della provincia nel 1972 – 1975, e in seguito alla Guerra di ‘ndrangheta del capoluogo del 1986 – 1991, al comando ci sarebbero le cosche De Stefano e Tegagno unite da sempre da vincoli parentali, tutte e due conosciute col temibile soprannome di “arcoti” dal quartiere Archi da dove hanno cominciato ad espandere il loro dominio nell’Antistato. Ma nei primi anni del nuovo millennio sarebbero iniziati, per Giardina, i dissidi interni tra Peppe “ciao belli” che ripercorre le orme del defunto padre Paolo De Stefano, e lo zio Orazio, fratello del Don Paolino ucciso da Pasquale Condello “U supremu” durante la guerra del Capoluogo. Orazio ha legami stretti anche con i Tegano, per il suo matrimonio con Antonietta Benestare, nipote dell’uomo di “pace” Gianni Tegano, fondatore del clan.
 
Questi attriti interni vengono pagati con la vita da Mario Audino, boss del quartiere collinare di San Giovannello, tra il policlinico cittadino e l’Eremo della Madonna della Consolazione. A fine 2003, Audino è il primo boss di rilievo ucciso dalla fine della guerra per il Capoluogo nel 1991. Una figura particolare, che secondo alcuni inquirenti era in affari con un grosso politico di An molto vicino ai De Stefano, al quale avrebbe prestato 4 miliardi per l’acquisto di una farmacia in centro città. Miliardi mai rientrati a casa. Audino come boss ha un’altra particolarità nella storia delle ‘ndrine, perché alla sua morte la conduzione degli affari del narcotraffico in capo agli Audino sarebbero passati alla sua compagna di allora, unico caso di “fimmina i maffia” che diventa con la vedovanza gerente di una attività criminale in prima persona. Audino sarebbe stato ucciso in quanto luogotenente di Peppe “ciao belli” fin troppo intraprendente; sul luogo dell’agguato i sicari lasciano le armi. Per il colonnello Giardina «Un segnale che il bersaglio era solo e soltanto Mario Audino».
 
Dopo i mitra le soffiate. Insomma, per non far ripartire la scia di sangue che dall’86 al ’91 aveva lasciato per le strade i cadaveri di oltre 600 mafiosi, 200 cittadini non affiliati e l’unico giudice mai ucciso dalla ‘ndrangheta in territorio calabro, il consigliere di Cassazione Antonino Scopelliti, si lascia un segnale sul luogo del delitto. Ma secondo il militare ex Ros, il sangue di Audino non porta altro sangue, ma una rappresaglia di tipo nuovo: l’arresto di un De Stefano. In quegli anni, per Lombardo e Giardina, inizierebbe la sua attività quella “zona grigia” che in questi anni alla DDA dello Stretto hanno perseguito i procuratori Pignatone e Prestipino; imprenditori insospettabili, in affari con le ‘ndrine, che avvicinano gli investigatori dello Stato per dare le soffiate utili a far arrestare i boss avversari della cosca di vicinanza.
 
Nel marzo 2004 viene infatti arrestato nella sua latitanza dorata di un attico con vista sul parco “Caserta”, zona collinare, cittadina immersa nel verde e nella quiete, Orazio De Stefano. L’arresto del “consulente”, del “commercialista” della cosca, operato dalla Polizia di stato, sarebbe avvenuto per Giardina, grazie all’ausilio di fonti confidenziali non istituzionali. In sintesi: Orazio sarebbe stato “venduto” per far pagare ai Tegano l’omicidio del boss di San Giovannello Audino. «Questa su mio zio Orazio è una subdola illazione – ribatte dal carcere Peppe “ciao belli”– ci sono indagini che spiegano per filo e per segno come si arriva all’arresto di mio zio Orazio e di mio cugino Giovanni. Per questo chiedo al pm di portare accuse su Giuseppe De Stefano, imputato in questo procedimento, ma non su altri».
 
E invece secondo il racconto di Giardina, queste delazioni e soffiate non si sarebbero fermate, per proseguire fino al 2008, anno chiave per i rapporti di forza mafiosi in riva allo Stretto, anni nei quali barbe finte e investigatori coperti circolano e cercano rapporti con fonti vicine ai clan mafiosi; anni sui quali tutta la luce dovrà ancora esser fatta. Nel febbraio 2008 viene scovato dallo stesso Giardina con gli uomini del ROS nel covo di Pellaro (periferia jonica cittadina) Pasquale Condello “U supremu”, l’assassino col cugino Mico “u pacciu” di Don Paolino De Stefano, dal balcone di casa sua in via Mercatello ad Archi; l’acerrimo nemico dei De Stefano nella guerra per il capoluogo degli anni ’80. Solo 7 mesi dopo, scompare Paolino Schimizzi.
 
Un luogotenente dei Tegano; il più astuto: nipote coccolato di Gianni Tegano “uomo di pace”. E’ cosa risaputa ad Archi che il patriarca del clan un tempo alleato ai De Stefano ne vuole fare il suo erede designato. «A pochi giorni dalla scomparsa – rievoca il colonnello Giardina quel caso che viene considerato emblematico come esempio di “lupara bianca” – mi contattano per farmi incontrare la moglie del
lo scomparso Schimizzi, che aveva specificamente chiesto di parlarmi. Eppure in seguito veniamo a sapere che aveva già parlato con esponenti della squadra Mobile (della Polizia, ndr). Non solo; la moglie di Schimizzi – vedova a quel punto, ma non poteva immaginarlo – è sorella di Irene Utano, moglie di Paolo Rosario Caponera – De Stefano».
La scomparsa di Schimizzi e l’omicidio Audino – per il colonnello Ros – sono legati dalla intraprendenza dei luogotenenti motivata dal legame che avevano costruito negli anni con Giuseppe De Stefano. Senza quei due, si sono ricreati dei rapporti di potere più funzionali alla nuova struttura, che vede il dominio (a pari termini? Rimane da stabilire, ndr) di Libri, Condello, Tegano e De Stefano. E il 2008 si chiude con il botto: a due mesi dalla scomparsa di Schimizzi, in dicembre viene arrestato Giuseppe De Stefano, grazie alla indagini prese in mano dal neo arrivo in Questura Renato Cortese, col coordinamento del pm Lombardo, neo acquisto in Dda. «In quel periodo – continua Giardina – fonti confidenziali accreditavano forti contrasti all’interno dei De Stefano tra i germani Orazio e Giorgio. Non tutti, tra i capi del clan, erano contenti del ruolo di comando assunto da Peppe (“ciao belli”) e soprattutto degli accordi intessuti da quest’ultimo col “Supremo” Condello (nota: l’assassino di suo padre, ndr)».
 

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link