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La lezione di Amato

Di Marcello Ravveduto il . L'analisi

Negli ultimi anni Amato Lamberti si era volutamente isolato, o meglio si era distaccato dal circuito di studiosi, esperti e giornalisti che in questi ultimi anni si sono rincorsi per tentare di analizzare le storie degli scissionisti napoletani e il potere dei mafiosi di Casal di Principe. Un allontanamento che non lo aveva, però, separato dal gruppo di lavoro dell’Osservatorio sulla camorra e sull’illegalità con il quale continuava ad avere un proficuo rapporto di collaborazione, rimanendone punto di riferimento scientifico. Aveva ripreso a studiare le mutazioni della camorra con quella umana e calda passione civile che ha sempre contraddistinto la sua professione accademica e l’impegno politico amministrativo. 
A gennaio, durante un convegno alla Federico II di Napoli, mi disse: «Ho deciso che non andrò più a convegni nei quali intervengono i magistrati». In parte era deluso dal protagonismo mediatico assunto da alcuni giudici, in parte riteneva, con amarezza, che non era sufficiente usare esclusivamente gli atti giudiziari per studiare gli intrecci tra affari, economia e politica dietro i quali si cela la camorra. Questa posizione, resa pubblica con la pacata determinazione del suo carattere, gli aveva attirato non poche critiche, anche da parte di settori della società civile cosiddetta riflessiva. Non si trattava, a mio parere, di un attacco al mondo della magistratura e dell’anticamorra militante, piuttosto sembrava il frutto di una riflessione derivante dall’osservazione dei rapporti tra criminalità organizzata e politica. Ad uno sguardo distratto il suo teorema sembrava far collimare in unico calderone camorra, pubblica amministrazione e corruzione. Ma leggendo i più recenti interventi pubblicati sul suo blog, “La città dolente”, e gli articoli scritti per i dossier dell’Osservatorio, si riesce a scorgere la trama di un ordito che risale all’inchiesta di Saredo, ovvero quando quel senatore del Regno fu inviato a mettere ordine nel comune di Napoli caduto in mano alla “camorra alta”. Ragionando sulla relazione di Saredo aveva individuato nella intermediazione la modalità d’azione criminale che una parte della classe dirigente campana plasma nella forma della politica e dell’economia.
 La “camorra alta” è in fondo composta da soggetti che si pongono al centro di un rete di interessi che ingloba veri e propri sistemi criminali in cui rientrano istituzioni civili, economiche, culturali e sociali. Un intermediazione duplice: la prima condizionante il potere legale, la seconda integrante la violenza della “camorra bassa”. L’esempio che usava per dimostrare questa teoria erano le decine e decine di comuni sciolti per infiltrazioni camorristiche, dove l’essenza dell’intermediazione camorristica, nella gestione di appalti, voti, piani regolatori e servizi pubblici, prende corpo nella sagoma dell’amministratore camorrista: il colletto bianco che interloquisce contemporaneamente con consiglieri, sindaci, imprenditori, sindacalisti, dirigenti della pubblica amministrazione e violenti criminali. Una simile mutazione (del tutto coerente con il modello descritto da Saredo) è la risultanza plurisecolare di una criminalità che aveva definito “camorra liquida”: «In Campania, per cercare di comprendere appieno le caratteristiche assunte dal fenomeno camorristico, in questo processo di adattamento alle trasformazioni che hanno investito il territorio e il tessuto produttivo, dovremmo cominciare a parlare di “mafia liquida”, vale a dire di un sistema criminale innervato in modo interstiziale nel tessuto socio-politico- economico della società campana… siamo in presenza di connotazioni strutturali che intrecciano criminalità organizzata e organizzazione sociale, politica ed economica di gran parte del territorio regionale. Lo dimostrano i quasi cento comuni sciolti per infiltrazioni e/o condizionamenti del crimine organizzato. La camorra, inoltre, come seconda considerazione, ormai da tempo non svolge più semplicemente una funzione vessatoria e parassitaria sull’impresa e l’economia legale. Certo tale dimensione non è assente, come dimostrano la presenza costante di attività estorsive e di pratiche usurarie, in molte aree territoriali al di sopra di ogni limite di tollerabilità. Molto più importanti, però, appaiono i processi di accumulazione finanziaria illegale e la complessiva ristrutturazione della criminalità organizzata. 
Le organizzazioni camorristiche si configurano, infatti, come veri e propri network di società ed imprese che… erogano servizi a richiesta per individui, amministrazioni pubbliche, imprese produttive, mercati territoriali, sia di carattere illegale (sostanze stupefacenti, usura, gioco d’azzardo) sia di carattere legale ma a condizioni illegali (smaltimento illegale di rifiuti, costruzioni abusive, false fatturazioni, truffe all’Inps, all’Aima, agli incentivi della Comunità Europea)». La camorra come una gelatina appiccicaticcia (il Blob) si insinua in tutti gli interstizi lasciati vuoti dallo Stato e li domina mediando con il contesto ambientale, civile, politico, economico, culturale nei quali si è insediata. Una tesi condivisibile, anzi molto confacente allo sviluppo della società dei consumi di massa in cui il terziario, i servi di intermediazione appunto, sono la forma di impresa più diffusa.
Non dobbiamo ricordare Amato Lamberti, sarebbe troppo poco, è necessario invece spulciare le sue carte, i suoi articoli, le sue relazioni più recenti per trasformare il lascito intellettuale in un’occasione di avanzamento degli studi sulla criminalità campana (ancora fortemente sottovalutati all’interno del mondo universitario regionale) mettendo intorno ad un tavolo storici, sociologi, antropologi, economisti, giuristi ed altri esperti per porre fine alle divisioni esistenti e ragionare tutti insieme, anche con il contributo degli studenti, proprio come faceva il professore.

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