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Il magistrato Morosini: «Trattativa con lo Stato grande risorsa delle mafie»

Di Michela Mancini il . Calabria, Sicilia

La ” trattativa Stato – mafia” . Se ne parla anche al dibattito in corso a “Trame” il Festival dei libri sulle mafie che si sta svolgendo a  Lamezia Terme sino al 24 giugno. Il Gip di Palermo, Piergiorgio Morosini, durante la presentazione del suo ultimo libro “Attentato alla giustizia, magistrati, mafie e impunità”, ha lanciato un messaggio  ai suoi colleghi togati.  «Le indagini sulla cosiddetta “trattativa” sono molto delicate. L’informazione è certamente necessaria.  Ma si deve richiedere a quei magistrati, titolari dei procedimenti,  grande sobrietà. Non sono d’accordo con coloro che rilasciano interviste o scrivono editoriali sui procedimenti.  In questo momento si richiede a tutti un supplemento di responsabilità». Quello di Morosini è un intervento lucido sui rapporti tra istituzioni e criminalità organizzata. Rapporti che da fine ‘800, hanno garantito ai soggetti criminali un certo grado di impunità. Il saggio di Morosini si presenta come un’indagine storica sul tema, non è un libro che si focalizza sull’attualità. Cerca piuttosto di tracciare un percorso lineare di cui poi quell’attualità è stata prodotto.  I primi procedimenti giudiziari volti a smascherare le connivenze tra una parte delle istituzioni e le mafie, risalgono ai primi anni 90. Prima di allora, era pura speculazione: vi erano analisi socio-criminologiche che terminavano sempre con un’inevitabile scontro politico. Solo dopo, quando questi rapporti diventano materia penale, si venne a creare uno strano fenomeno: la delegittimazione del magistrato. Un potere, quello giudiziario, che venne celebrato durante i processi alle Br o al terrorismo nero, ma che venne presto messo in discussione quando ad essere toccati furono i politici. Tanto che ha spiegato Morosini: «Sono pochissimi le sentenze di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa». Un incontro denso, quello che ieri a Palazzo Nicotera che ha visto Morosini accompagnato da Giuseppe Vitale (anch’egli magistrato) e Gaetano Savatteri (giornalista e scrittore). Un dibattito che ha ricordato al Paese un’eredità importante, quella del pool antimafia, che non deve rimanere una memoria, ma uno stimolo continuo a fare della giustizia uno strumento “efficace” contro la corruzione e la criminalità organizzata. Per saperne di più abbiamo fatto alcune domande al magistrato in forza alla procura di Palermo. 
 Durante l’incontro lei si è soffermato sul rapporto tra stampa e magistratura. Lo stesso Giovanni Falcone si era più volte dimostrato molto schivo con i giornalisti che volevano ottenere da lui informazioni sulle vicende processuali di cui si stava occupando …
Il rapporto con l’informazione per i magistrati è sempre molto delicato. I magistrati hanno il dovere di intervenire nel dibattito pubblico su temi generali che riguardano la giustizia, offrendo il loro contributo anche perché i cittadini comprendano meglio certe vicende. Però i magistrati devono adottare delle cautele nel momento in cui sono in ballo dei procedimenti che loro stessi stanno portando avanti. Quando un procedimento è pendente, quando si sta sviluppando una vicenda processuale, i magistrati che se ne occupano fanno bene a non parlare pubblicamente di quel procedimento, perché  hanno un ruolo già dentro il processo. Questo è un fatto importante, di cui tenere conto.
Qual è la sua opinione in merito agli avvenimenti attuali relativi alla presunta” trattativa” e all’ultimissimo coinvolgimento del Colle all’interno dei fatti? Ancora una volta la stampa viene chiamata in causa.
Quella è una stagione molto delicata, si sta indagando su vicende molto complesse, ma anche drammatiche. Io credo che a tutti debba essere richiesto un supplemento di attenzione. E quindi anche nel momento in cui certe testate giornalistiche diffondono determinate informazioni o stralci di intercettazioni, devono fare attenzione a dare quelle informazioni in maniera completa. C’è altrimenti il rischio di mettere nel circuito informazioni che possono essere fuorvianti per i cittadini, rischiando di esporre molto il nostro sistema istituzionale .
Lei non potrà, quindi, dare un suo parere in merito alla cosiddetta “trattativa” fino a che le indagini giudiziarie non saranno effettivamente concluse?
Per quel che finora è conosciuto, è sicuramente accertato che ci sono stati dei contatti nell’estate del ’92, tra importanti ufficiali dell’Arma ed emissari di Cosa Nostra. Sull’oggetto di questi incontri i processi devono fare ancora luce. Io attendo una conoscenza degli elementi alla base di queste indagini per poter formulare una valutazione.
Durante l’incontro più volte si è parlato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, che per altro è una grande eredità di Falcone e Borsellino. Dopo il “caso Dell’Utri” che secondo alcuni ha “sconfessato” il reato di concorso esterno, qual è la sua opinione in merito?
Il reato di concorso esterno in realtà è  stato sconfessato dall’intervento del procuratore generale. La sentenza poi in realtà ne ha confermato la legittimità, che è un istituto fondamentale per tutte quelle indagini che cercano di svelare le alleanze nell’ombra tra gruppi criminali ed esponenti delle istituzioni, del mondo delle libere professioni e di quello dell’imprenditoria. Uno strumento per adesso insostituibile.
 A seguire un breve video dell’intervento del Gip, Piergiorgio Morosini



 

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