Mafie in Emilia Romagna, serve mantenere alta l’attenzione
Bisogna essere vigili sulle insidie poste dalle mafie nel nord Italia, e per farlo bisogna conoscere il fenomeno nella sua globalità. Anche in Emilia Romagna, soprattutto dopo il tremendo sciame sismico che ha messo in ginocchio numerose province, distruggendo cittadine, siti industriali, beni culturali di pregio e bloccando importanti settori produttivi. La ricostruzione che si farà dovrà avvenire con la massima attenzione degli organi inquirenti, delle istituzioni locali e regionali, ma anche delle forze sociali emiliano-romagnole. Già perchè è risaputo, e l’Abruzzo ne è solo l’ultimo esempio, che i grandi appalti per la ricostruzione attirano gli appetiti delle organizzazioni criminali.
E’ in questo doloroso contesto che si colloca il nuovo studio sulla presenza delle mafie in Emilia-Romagna realizzato dallo storico Enzo Ciconte, in collaborazione con la Giunta regionale. Un lavoro che si inserisce nelle numerose iniziative portate avanti negli ultimi anni dalle istituzioni regionali, culminato con l’approvazione della legge regionale contro le mafie. Lo scorso dicembre l’Assemblea legislativa presentava un dossier sulle mafie in Emilia-Romagna realizzato dalla Fondazione Libera Informazione, e l’Università di Bologna da due anni realizza studi approfonditi con studenti, ricercatori e giornalisti. L’attenzione c’è ed è importante che continui ad essere alta.
Lo studio di Ciconte, come gli altri precedentemente realizzati, parte da due importanti assunti, che spesso sono stati sottovalutati o ignorati. Il primo è che Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra da più di cinquant’anni hanno allargato la sfera d’azione nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale, Emilia Romagna inclusa. Il secondo è che la presenza mafiosa si manifesta in maniera differente rispetto alle regioni di provenienza. Sotto le due Torri, inoltre, è una presenza ulteriormente diversa rispetto a quel che accade tra le nebbie del Duomo o all’ombra del Colosseo.
Perchè mentre nel Lazio o in Lombardia c’è una qualche forma di controllo del territorio, in Emilia-Romagna ancora, fortunatamente, non si è arrivati a questo punto. Scrive Ciconte: «In Emilia-Romagna è possibile continuare ad affermare – ed è una positiva caratteristica – che non ci sono cosche mafiose talmente forti e radicate da essere in grado di controllare il territorio, neanche una piccola porzione di esso». Non ci sono realtà simili a quella di Buccinasco, nel sud-ovest milanese, o di Fondi nel basso Lazio, tuttavia le mafie sono presenti e attive, interessate a riciclare proventi illeciti, a trafficare droga e ad inserirsi nel settore degli appalti pubblici. Ciconte sottoliena che: «L’Emilia-Romagna – e più in generale le regioni del nord – hanno una marcata vulnerabilità che deriva, come s’è appena detto, da una loro forza: la ricchezza che possiedono». Una situazione che, se non attentamente vigilata e monitorata, potrebbe portare le mafie ad accentrare sempre più potere e ad ottenere quel controllo di porzioni del territorio che sarebbe deleterio. L’Emilia-Romagna ha degli anticorpi, e questo è un dato di fatto, tuttavia da non enfatizzare. C’è una classe politica che, nel suo complesso, riesce a marginalizzare i boss; c’è una classe imprenditoriale che, nel suo complesso riesce a resistere alle lusinghe di facili guadagni; c’è la presenza di organi inquirenti capaci e attenti che negli ultimi anni hanno portato a compimento numerose operazioni antimafia.
Nonostante ciò, c’è anche la criminalità organizzata. A fronte dei numerosi sindaci che resistono per preservare la legalità del proprio territorio, ce ne sono alcuni che, con molta tranquillità i contatti pericolosi con i boss non li disdegnano. A fronte dei numerosi protocolli per vigilare sull’assegnazione degli appalti pubblici, c’è l’impreparazione culturale di molti amministratori che non hanno gli strumenti adatti per evitare che aziende riconducibili al crimine organizzato ottengano i lavori. E le denunce non mancano, sia da parte dei politici che della magistratura e delle Camere di Commercio. Ci sono le gare al massimo ribasso, ci sono aziende compiacenti che, in una logica di do ut des colludono con le cosche. Ci sono gli “uomini-cerniera”, i colletti bianchi che aiutano le famiglie mafiose ad operare nel mercato legale con metodi illegali.
Il problema c’è e Ciconte lo descrive minuziosamente, provincia per provincia, raccontando le principali operazioni antimafia, i collegamenti tra le cosche, le operazioni di riciclaggio, la collusione di un numero crescente di cittadini emiliano-romagnoli, attratti dalla facile ricchezza da poter ottenere lavorando con i boss.
L’Emilia-Romagna non è soltanto, parafrasando quanto detto dal collaboratore di giustizia Angelo Salvatore Cortese parlando di Reggio Emilia, il bancomat delle cosche. E’ il territorio dove si stringono nuove alleanze tra diverse organizzazioni criminali, è il laboratorio dove fiorisce una nuova imprenditoria mafiosa, dove i boss, nonostante le difficoltà cercano sempre di trovare un canale che li porti a contrattare anche con la politica.
Scrive Ciconte nelle sue conclusioni: «Il rapporto con la politica risponde a queste finalità ed ha la caratteristica di voler controllare il territorio che sinora non è riuscito a controllare. Negli ultimi anni, dopo un periodo di sottovalutazione e di disattenzione, è maturata una maggiore consapevolezza nelle istituzioni e nell’opinione pubblica. È un fatto certamente positivo perché guardare e comprendere quello che accade sul proprio territorio è importante per valutare come fare fronte alle nuove situazioni».
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