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Il cuore della ‘ndrangheta resta sempre la Calabria

Di Gaetano Liardo il . Progetti e iniziative, Recensioni

Sempre più spesso negli ultimi anni si parla della ‘ndrangheta, la potente organizzazione criminale calabrese che si è sposata con la modernità colonizzando l’Italia e il mondo. Eppure, tutta questa attenzione sembra far dimenticare che l’origine e la forza della ‘ndrangheta stanno in Calabria. Senza questo collegamento, forte, oppressivo e inossidabile, i boss calabresi non sarebbero arrivati tanto lontano. E’ questa la chiave portante di “Porto franco”, il nuovo libro scritto da Francesco Forgione, ex presidente della Commissione antimafia, presentato ieri a Roma. A discuterne con l’autore Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo della procura di Reggio Calabria e da alcuni mesi trasferito a Roma, e don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera.

In una sala piena, ci sono tanti protagonisti della lotta alla ‘ndrine. C’è l’ex capo della Squadra Mobile reggina Renato Cortese, da poco anche lui trasferito a Roma allo Sco; c’è don Pino De Masi, combattivo sacerdote di Polistena e animatore della battaglia per la legalità nella Piana di Gioia Tauro. Tanti anche i rappresentanti politici, tra i quali Angela Napoli, coraggiosa deputata calabrese componente della Commissione antimafia. Il nocciolo del dibattito, dunque, ruota attorno alla Calabria, terra affascinante e accogliente, ma avvelenata dal cancro ‘ndranghetista.

«Fino agli arresti dell’operazione Crimine – puntualizza Pignatone – è stata ignorata la presenza della ‘ndrangheta al nord». Nonostante, è bene sottolinearlo, a cavallo tra gli anni ’90 e 2000 le ‘ndrine nel settentrione del Paese siano state oggetto di numerose azioni giudiziarie. Basti pensare che in quel periodo in Lombardia sono stati arrestati e condannati all’ergastolo boss di primo livello quali i fratelli Domenico, Rocco e Antonio Papalia, Franco Coco Trovato, Pepè Flachi, solo per fare alcuni esempi. Eppure, sottolinea Pignatone, dopo Crimine: «Si è sviluppato un filone di atti giudiziari, ma anche di pubblicazioni, che vede la ‘ndrangheta come l’attore principale del traffico di stupefacenti, sfruttando il mito della globalizzazione». Come se le ‘ndrine, divenute protagoniste a livello nazionale e internazionale, fossero scomparse dalla Calabria. Ma è proprio in questa regione, specialmente in provincia di Reggio Calabria, che la ‘ndrangheta trae la sua forza, controllando il territorio.

«Se non la si combatte in Calabria – avvisa Pignatone – la guerra non si potrà mai vincere. Ciò non significa – sottolinea il Procuratore – abbandonare le indagini al nord». Anche perchè è sotto gli occhi di tutti che se il cuore pulsante della ‘ndrangheta è in Calabria, se tutte le decisioni sono prese in Calabria, i grandi affari si fanno al nord. Questo semmai dimostra, come è stato riconosciuto dopo decenni di negazioni, che la ‘ndrangheta ha una struttura unitaria. Su questo punto il procuratore che da Reggio Calabria ha gestito, in collaborazione con Ilda Boccassini da Milano, le indagini e il processo Crimine-Infinito, è inflessibile. «Ancora oggi c’è chi dubita di questa unitarietà della ‘ndrangheta, se non sappiamo cos’è l’unitarietà della ‘ndrangheta, non capiamo affondo la sua pericolosità». Negli anni si è sempre considerata la mafia calabrese, come in passato Cosa nostra in Sicilia, come una banda di criminali senza coordinazione né una struttura in grado di offrirla. Parlare invece di un’organizzazione criminale strutturata, radicata nel territorio e proiettata a livello internazionale, rende nel profondo la pericolosità della ‘ndrangheta. Capace, come tutte le mafie, di stringere importanti relazioni esterne.

Proprio quelle che, con dovizia di particolari, Forgione descrive nel suo libro. Personaggi della zona grigia, colletti bianchi, imprenditori, funzionari pubblici, amministratori locali, regionali e nazionali, deputati, ministri, faccendieri, uomini dei servizi segreti e massoni. E’ in questa fitta rete di relazioni che i boss calabresi “sguazzano”, arricchendosi, manovrando voti e influenze, dettando la propria legge. Non è soltanto un problema di legalità, come sottolinea don Luigi Ciotti, ma prima di tutto è un problema di democrazia. «La ‘ndrangheta rappresenta il deserto dei diritti e delle responsabilità». E’ su questo tasto che punta con forza il prete antimafia di Libera. Responsabilità e diritti, ma anche sviluppo pulito, proprio in Calabria, dove è attiva la cooperativa Valle del Marro che produce beni di qualità sui terreni confiscati ai Piromalli di Gioia Tauro.

«Non sarà un caso – sottolinea Ciotti – che, pur nella sobrietà della manifestazione del 2 giugno, il Presidente della Repubblica abbia voluto per il rinfresco al Quirinale solo i prodotti delle cooperative di Libera Terra». Un segno di speranza, certamente, contro le mafie che proprio sui segni costruiscono il proprio potere. Tuttavia, i risultati ottenuti nonostante i problemi burocratici, le lentezze amministrative, le ipoteche bancarie, nel dibattito politico c’è sempre una voce che spinge alla vendita dei beni confiscati. Un segnale che, concorda appieno Forgione, significherebbe la resa dello Stato.

Francesco Forgione

Porto Franco. Politici, manager e spioni nella repubblica della ‘ndrangheta

Dalai Editore, Milano 2012

Pp. 407, 18.00 euro

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