Al via “l’Osservatorio Placido Rizzotto” contro mafie e illegalità
Un cartello criminale, condiviso, che rappresenta il 10% dell’intera economia mafiosa: le agromafie. Dal reclutamento della manodopera, alla logistica, allo stoccaggio sino alla piccola, media e grande distribuzione commerciale i clan fatturano, secondo la Commissione parlamentare antimafia più di 150 miliardi di euro l’anno con un profitto che si aggira sui 70 miliardi complessivi. Per organizzare una risposta concreta a questo business criminale è stato presentato oggi a Roma, presso il Cafè de Paris, bene sottoposto ad amministrazione giudiziaria per mafia e luogo simbolo dell’antimafia a Roma, un osservatorio della Flai – Cgil contro le agromafie e il caporalato. Il caporalato sommato alle infiltrazioni mafiose in questo settore condiziona fortemente economia legale e diritti dei lavoratori. Secondo la Commissione d’inchiesta sulla contraffazione – ricorda Roberto Iovino dell’Osservatorio Placido durante la conferenza stampa di oggi – questo fenomeno nell’agroalimentare ha raggiunto un valore stimato dagli operatori del settore in 1,1 miliardi di euro l’anno, sfruttando e danneggiando la reputazione del Made in Italy in Italia e nel mondo.
Le cifre di questa economia sommersa: 400 mila lavoratori vivono sotto i caporali e 60 mila hanno alloggi di fortuna e sono sprovvisti dei requisiti minimi di vivibilità e agibilità. Il lavoro nero in agricoltura incide per il 90 % del lavoro agricolo nelle regioni del Mezzogiorno, per il 50% in quelle del Centro e per il 30% in quelle del Nord Italia. Un tassello fondamentale per il contrasto a questi fenomeni criminali legati all’agricoltura anche il riutilizzo sociale dei beni confiscati ai boss. «Sempre più – ha commentato Serena Sorrentino, Cgil Nazionale – la legalità deve essere precondizione dello sviluppo economico, anche e soprattutto nella filiera agroalimentare che ha notevole importanza per il nostro Paese». Un impegno, quello dell’Osservatorio della Cgil, che si salda con la memoria. In particolare con quella dei tanti sindacalisti uccisi in Sicilia perché chiedevano, già all’epoca, il diritto al lavoro e ad essere liberi da mafie e condizionamenti di potere.
Memoria e Impegno. Il nipote di Placido Rizzotto, il sindacalista ucciso a Corleone nel 1948 che solo da poco ha avuto diritto ad una sepoltura e funerali di Stato, ha ricordato durante la conferenza stampa che questo Paese e la Sicilia in particolare hanno perso in quegli anni una classe dirigente che stava nascendo, da Rizzotto a Pio La Torre a molti altri, perchè uccisi dai mafiosi che poi hanno governato per anni ampi settori della politica, dell’economia e della vita sociale. Nel loro nome, ricorda RizzottoJr – va rinnovato questo impegno contro le mafie, che già nel 2001 si è fondato sul riutilizzo sociale dei beni confiscati ai mafiosi, una realtà che porta anche questa il nome di “Placido Rizzotto” nella prima cooperativa sorta proprio sui terreni per cui Rizzotto si è battuto trovando la morte per mano mafiosa. Una rinascita per la Sicilia e per la nostra democrazia. Per saperne di più abbiamo intervistato Stefania Crogi, segretario nazionale della Flai – Cgil.
Come nasce l’idea di un Osservatorio contro agromafie e caporalato?
Questo progetto completa e porta avanti un percorso che è partito già alcuni anni fa nella nostra categoria – la Flai Cgil – e all’interno del sindacato impegnato per la legalità e contro le mafie. Contro lavoro nero e precariato. L’osservatorio che sarà dedicato alla memoria e all’impegno di Placido Rizzotto arriva dopo una serie di interventi fatti in questo specifico settore, dal sindacato di strada dopo la configurazione del caporalato come reato di strada, l’osservatorio è presieduto da esperti del settore e ha la presidenza onoraria di un magistrato come Gian Carlo Caselli.
Come si strutturerà e muoverà l’Osservatorio?
Si occuperà di lotta alla criminalità organizzata e della lotta contro la contraffazione nel settore agroalimentare, in particolare. Farà monitoraggio, informazione e sarà luogo per raccogliere denunce e proposte sull’argomento. In particolare mettere insieme tante energie e competenze di primo livello, come magistrati, giornalisti, esponenti della società civile e sindacalisti, garantirà una condivisione delle informazioni e una risposta al fenomeno di gran lunga più organizzata. Produrrà un rapporto annuale e ha già in cantiere importanti iniziative pubbliche a Pistoia e a Palermo. In Sicilia metteremo sul tavolo del dibattito una proposta di legge per proteggere i lavoratori che si trovano ad operare su beni coinvolti in provvedimenti di sequestro per mafia. E in generale di rivedere, migliorandola, la Rognoni – La Torre, la legge sulla confisca e riutilizzo sociale dei beni. In particolare, per l’aspetto che riguarda le aziende e il loro destino dopo la confisca ma anche l’iter e il rischio di vendita di questi beni.
Quanto incidono mafie e illegalità in questo settore? Quali sono le cifre del fenomeno?
Sono molto alte. Considerate che quando parliamo di illegalità e mafie stiamo ragionando su una percentuale di oltre il 60% di lavoratori di questo settore. Il sommerso nel settore agricolo, inoltre, ha la “maglia nera” all’interno del sistema economico generale. La situazione negli anni non è migliorata anzi c’è un tasso di precarietà (su un milioni di braccianti) che è del 90%, fra lavoratori stagionali e a tempo determinato. La crisi economica, inoltre, ha piegato ancora di più la resistenza dei lavoratori; il ricatto “posto di lavoro”o “legalità” si fa sempre più frequente e spesso ci si trova costretti a scegliere per il primo. Noi vogliamo riportare il binomio sviluppo e legalità come condizione per una economia sana e in crescita.
E’ un ricatto che riguarda ancor più chi i diritti spesso non li ha come i braccianti migranti in Italia?
Si è cosi, l’illegalità nella filiera dell’agroalimentare colpisce ancor più i lavoratori migranti sottoposti molto spesso ad un vero e proprio ricatto fra permesso di soggiorno e lavoro. Si tratta di una fenomeno che monitoriamo da molti anni. Alcuni risultati sono già arrivati come gli ultimi arresti di Nardò e Foggia, fermati per caporalato perché a fronte di false promesse di lavoro, reclutavano lavoratori in Italia. Arrivati qui il lavoro non c’era e i migranti si trovavano in una condizione di clandestinità e di “dipendenza” dai caporali e da chi li aveva portati qui.
Le normative attuali sono sufficienti ad incidere su questo fenomeno?
Le normative attuali ci ha permesso di fare enormi passi avanti sul caporalato che è diventato un reato nel codice penale. Ma mancano ancora due tasselli importanti che è necessario aggiungere: le sanzioni per le imprese che si rivolgono ai caporali per reclutare lavoratori e l’immunità per chi denuncia questo sfruttamento, in particolare per i migranti la possibilità di avere un permesso di soggiorno e di poter trovare un nuovo lavoro.
Trackback dal tuo sito.