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Strage di via dei Gergofili, 19 anni dopo

Di Norma Ferrara il . Toscana

Non solo mafia dietro i 200 chili di tritolo che causarono la morte di 5 persone e il ferimento di altre 48, nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993. Anche per questa strage mancano ancora i mandanti. Un corteo silenzioso stanotte è partito da Palazzo Vecchio per arrivare nel luogo della strage, insieme ai famigliari delle vittime, il sindaco Matteo Renzi e il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Stamani nella chiesa di San Carlo, una messa per Caterina Nencioni, Nadia Nencioni, Dario Capolicchio, Angela Fiume e Fabrizio Nencioni. Le vittime di quella strategia stragista intrapresa da Cosa nostra.Per loro anche una mostra, presso la sede dell’Accademia dei Georgofili, sarà riaperta al pubblico con la raccolta dei disegni e degli acquerelli con i quali il maestro Luciano Guarnieri fisso’ le drammatiche immagini del vile attentato. 
L’attentato a via dei Gergofili. Nella notte fra il 26 e il 27 maggio del 1993 una Fiat Fiorino imbottita di tritolo esplode nei pressi della storica Torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l’Arno, sede dell’Accademia dei Georgofili. Cosa nostra non ha mai colpito fuori dalla Sicilia e invece in quegli anni decide di fare ben sette attentati, oltre lo Stretto di Messina. Si comincia con la mancata strage di Via Fauro (attentato a Maurizio Costanzo), si prosegue con Firenze il 27 maggio, si arriverà agli attentati in contemporanea del 27 luglio a Milano e Roma. Si tratta di episodi che ad oggi non solo non hanno trovato piena verità e giustizia ma sono anche poco raccontati. Per i primi anni vennero letti come la risposta feroce dell’ala stragista di Cosa nostra all’azione dello Stato, che dopo le stragi di Capaci e Via D’Amelio, colpisce duro i vertici dell’organizzazione. In quel periodo avviene anche l’arresto del capo dei capi, Salvatore Riina, secondo molti collaboratori di giustizia, colui che ha pensato le stragi e che avrebbe continuato se non fosse stato arrestato. In seguito si allarghera il contesto che genera questa strategia terroristica di Cosa nostra, in quel periodo, avrebbe provato in tutti i modi a far indebolire lo strumento del  41 bis, il carcere duro e l’isolamento per i mafiosi. La strage di via dei Gergofili si inserirebbe in questo “dialogo a colpi di bombe” che da un lato vede i vertici della mafia chiedere alleggerimento delle condizioni carcerarie (e – secondo il cosiddetto “papello” – anche molto altro) e dall’altra parte alcuni esponenti delle istituzioni che hanno provato a intessere, in cambio dell’arresto dei due corleonesi, Provenzano e Riina, una “trattativa”. La trattativa, se c’è stata dopo i fatti siciliani, però non fa che alzare  il livello dello scontro, della “contrattazione” perché dopo Firenze altri attentati mafiosi verranno compiuti a Roma (alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro) e a Milano, in via Palestro, dove un’autobomba provoca  cinque morti: Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, l’Agente di Polizia Municipale Alessandro Ferrari e Moussafir Driss, immigrato marocchino che dormiva su una panchina. L’inchiesta sulla strage è stata unificata con quella della successiva strage di Milano. Nel 2002 la Cassazione ha confermato le condanne per i capomafia della Cupola, 15 gli ergastoli, fra loro Giovanni Brusca, Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. Antonino Messana, l’uomo nella cui abitazione di Prato venne imbottito di tritolo il Fiat Fiorino usato per l’ attentato,viene rinviato nuovamente a processo. Nel marzo scorso, dopo la sentenza di condanna letta ad ottobre del 2011, anche le motivazioni della Cassazione sulle responsabilità per il boss, Francesco Tagliavia. Quest’ultimo coinvolto nel processo, grazie alle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, uomo dei Graviano, lo stesso che ha fatto riaprire e riscrivere i faldoni dell’inchiesta su via D’Amelio e Capaci, quasi vent’anni dopo quelle stragi. 
Il proiettile di Boboli. Per via dei Gergofili, come per molte altre stragi e in particolare quelle del 1993, restano ancora da individuare i mandanti esterni.  Con forza chiedono verità e giustizia i familiari delle vittime delle stragi. In questi anni hanno ricostruito con attenzione tutti i passaggi giudiziari e le esternazioni politiche, quando ci sono state, che mettono in relazione queste stragi fra loro e con una strategia di terrorismo mafioso attuato, come dice lo stesso Spatuzza nelle sue deposizioni, fuori dalle tradizionali regole di Cosa nostra. «Quando avvennero la strage di Capaci e quella di via d’Amelio abbiamo gioito – dice Spatuzza – ma Firenze e tutto il resto non ci appartiene». Così parlo’ il pentito di Brancaccio. «Cosa nostra è un’associazione mafioso-terroristica. La definisco così perché dopo il ’92 ci siamo spinti un po’ oltre, in un terreno che non ci appartiene: alludo alle stragi di Firenze, dove morì la piccola Nadia e all’attentato a Costanzo» – dice Spatuzza. Solo alcuni giorni fa, ai microfoni di Servizio Pubblico, la trasmissione condotta da Michele Santoro, durante la puntata “Vedo,Sento,Parlo” dedicata proprio al biennio stragista (e all’ipotesi di una trattativa bis, sull’arresto di Provenzano), la portavoce dell’associazione familiari vittime delle stragi di Via dei Gergofili, in merito alla strategia portata avanti nel 1993 afferma: «Non appiattiamo tutto su Riina e Provenzano, proviamo a non appiattire i ragionamenti nemmeno  sugli attentati a  Falcone e Borsellino. Trasferiamoci a Firenze, Milano, Roma: sette stragi in meno di un anno. Stragi frutto di una trattativa e che non hanno risparmiato queste vite, queste stragi. Quella trattativa in “Continente” ha prodotto questi attentati, che nessuno anche sul piano politico  nomina mai. La domanda, fra le tante, è soprattutto: Chi ha consentito che fossero uccise persone in quel 1993? In questi giorni siamo stati i primi a ricordare, dopo i fatti di Brindisi, che quella è una bomba mafiosa (siamo stati redarguiti ma nelle ultime ore si torna a guardare a tutte le piste)». La Maggiani Chelli ricorda soprattutto i segnali che precedettero quelle stragi. «Poco prima della strage venne rinvenuto un proiettile nel giardino di Boboli, a Firenze. Quando in questi giorni abbiamo voluto dire di stare attenti su Brindisi l’abbiamo fatto perché all’epoca quel segnale, il proiettile, non fu interpretato, non seppero leggerlo. Lo fecero brillare e non si capì il rischio che si stava correndo». 

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