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Giorni storici
e vecchi vizi

Di Santo Della Volpe il . Sicilia

In Sicilia e in Italia, il ventennale della strage di Capaci ed i funerali di Stato per Placido Rizzotto, hanno segnato  due date che sono entrate nella storia della nostra Repubblica: grazie alla presenza ed agli interventi del Presidente Giorgio Napolitano, lo Stato democratico ha sancito, speriamo definitivamente, una memoria condivisa sulla costruzione della nostra Repubblica. Ed ha scritto nella storia di questo paese che la lotta alle mafie e la battaglia per la legalità sono e devono essere ancora di più un valore diffuso e condiviso, oltre che praticato. C’è stato un salto di qualità, diventando un valore per tutti, quasi come fosse un ulteriore articolo della Carta Costituzionale, magari sottinteso, ma da onorare, oltre ad esser percepito a livello anche popolare; perché se si è sentito a Palermo ed a Corleone, significa che l’eco è arrivato ovunque. 
E questo perché, almeno per questi giorni, la Rai, come Servizio Pubblico Radiotelevisivo, con l’informazione tutta, hanno portato i due avvenimenti nelle case, nella disponibilità ma anche nella coscienza di tutti. Mancava da molto tempo questo messaggio, questa funzione informativa  e questa unità di intenti e di realizzazione.
Eppure, nonostante questo, ancora una volta  abbiamo visto riemergere alcuni vecchi vizi della politica italiana, non solo dei partiti,ma di quell’atteggiamento mentale-politico che abbraccia il Parlamento e le sue forze attualmente presenti, così come alcune parti del Governo e della Chiesa Cattolica. Perché si celebra bene e talvolta poi si razzola meno bene… E se si è visto genuinamente il volto tra il sorpreso e l’incantato del presidente del Consiglio e dei 6 ministri presenti alla commemorazione ufficiale di Falcone e Borsellino nell’aula Bunker del tribunale di Palermo, quando il calore dei giovani e dei bambini con le magliette colorate ed i loro striscioni hanno ricordato allegramente  a tutti la forza ed i valori dei magistrati e degli agenti di scorta uccisi 20 anni fa, in modo altrettanto  spontaneo vien da chiedersi perché allora non si possa tramutare questa “bellissima giornata di antimafia vissuta” (parole di Monti) in pratica e provvedimenti del Parlamento e del governo. Ad esempio migliorando la legge sulla confisca dei beni mafiosi, agendo sulle banche per le ipoteche che frenato le assegnazioni sociali dei beni confiscati, scongiurando vendite all’asta in massa degli stessi beni ; e non per posizioni ideologiche, ci possono anche essere casi di beni da vendere, per carità, ma scongiurando l’ipotesi che  possano andare all’incanto giudiziario beni di alto valore, solo perché non si riesce ad assegnarli a funzioni sociali o di lavoro a causa di ipoteche e contenziosi irrisolti.
Oppure ci farebbe piacere che il Parlamento riprendesse in mano la proposta di legge sull’istituzione del 21 marzo come giornata della Memoria e dell’Impegno antimafia, così come proposto da Libera e tante altre associazioni, in modo da dare scadenza fissa ed istituzionale all’impegno di ricercare Verità e Giustizia per i delitti di mafia, che per gran parte sono ancora  senza mandanti ed esecutori certi e riconosciuti con nomi e cognomi. Una proposta che potrebbe diventare legge dello Stato con poche discussioni e poche votazioni, aumentando il peso della memoria condivisa di questo paese nella lotta alla mafia. Ed il momento è veramente favorevole.
Perché  a Palermo il 23 maggio, a Corleone ed a Portella della Ginestra il 24 maggio 2012, l’Italia ha  riconosciuto  (per Palcido Rizzotto ed i morti di Portella dopo 64-65 anni!!) che quelle  lotte per la giustizia e per le terre ai contadini, erano  esigenze  giuste, così come, oggi, è giusto lottare uniti contro le mafie e le loro presenze ,condizionanti, nell’economia  italiana. E che i malvagi ed antidemocratici con la loro violenza erano e sono ancora i boss della mafia e di cosa nostra, quegli stessi che volevano colpire, ad esempio con Placido Rizzotto e con gli altri 46 contadini e sindacalisti uccisi nel 1947-48, anche la memoria delle loro lotte e dei loro nomi, buttando i corpi delle persone da loro uccise nelle foibe  siciliane, là dove sono stati trovati dopo  più di 60 anni di attesa.
Quel funerale di Stato per Rizzotto, con il presidente Napolitano accolto lungo i paesi che attraversava salendo da Palermo verso la piana  di Corleone da bambini in festa, bandiere tricolori alle finestre e sindaci con la fascia sul petto; quel funerale nella Chiesa Madre davanti ai ragazzi della Cooperativa Libera Terra che lavorano le terre confiscate ai boss di cosa nostra e che non a caso è intitolata a Placido Rizzotto; quella corona di alloro che due corazzieri del Quirinale in alta uniforme bianca hanno depositato davanti al sasso di Portella dove parlò il 1° maggio 1947 il segretario della Camera del Lavoro mentre il bandito Giuliano, a nome dei mafiosi e latifondisti, sparava sulla folla inerme uccidendo 11 persone; quella medaglia d’oro consegnata nella piazza del Comune di Corleone alla sorella di Placido, Giuseppina Rizzotto, sono stati i simboli di un  definitivo riconoscimento ed ingresso nella storia condivisa dell’Italia tutta di quel periodo storico e della sua attualità, come ha ricordato in Chiesa il nipote di Palcido Rizzotto che dello zio prende il nome: “Oggi 24 maggio, da Corleone si leva un grido, non passi mai più la mafia” ha detto tra gli applausi,chiedendo verità e giustizia per tutte i sindacalisti vittime di mafia in quegli anni, per i quali ha chiesto che si realizzi un altro sogno, quello di riscrivere la storia di questi uomini”. Così come Susanna Camuso, leader della CGIL che non ha mai abbandonato quei sindacalisti uccisi e quei nomi, ha chiesto di riaprire il processo per Rizzotto, ricordando che il lavoro è la radice profonda della democrazia e della giustizia sociale e che ora le mafie si possono colpire al cuore con la confisca dei beni. E Valentina Fiore, della cooperativa Placido Rizzotto, si è rivolta all’urna con i resti di un uomo ucciso 64 anni fa ma all’età di 34 anni, quindi giovane come tanti ragazzi oggi al lavoro sui campi sottratti ai mafiosi coronando il suo sogno, dicendogli “Il sorriso di un bracciante che ha capito, ti avrà dato allora la forza di continuare nei momenti di solitudine; oggi noi non siamo soli e tu non saresti stato solo“.
Gli applausi di quella chiesa e la commozione di Emanuele Macaluso che ricordava il pastorello Giuseppe Letizia, ucciso dal capo mafia e medico di Corleone, Michele Navarra solo perché aveva assistito all’omicidio di Rizzotto, hanno riportato Giustizia in un paese martoriato dalla mafia ma ora ricordato anche per l’antimafia. Eppure anche in questa occasione,qualcosa è riuscito a stonare il complesso di solenne ingresso nella nostra storia italiana di persone che per la Costituzione hanno dato la vita: quando l’arcivescovo di Monreale  Salvatore Di Cristina, officiando la messa  ha storpiato ben due volte il nome di Rizzotto in Rezzuto, qualcuno ha pensato all’età  avanzata ed alle difficoltà di lettura. Ma quando alla fine dell’omelia ci siamo resi conto che monsignor Di Cristina non aveva mai pronunciato la parola “mafia”, allora  abbiamo pensato che qualcosa nella lotta alla mafia e nella cultura  di questo paese deve essere ancora conquistato. 
Il diritto-dovere storico, etico e politico a chiamare le associazioni criminali con il loro nome, a pronunciare la parola mafia, i colpevoli con nome e cognome, senza  paura di uscire da presunte equidistanze che con la mafia sono assurde perché sarebbe come mettere sullo stesso piano chi si batte per la giustizia e la Cos
tituzione ed i delinquenti che vogliono aggirare  i diritti dei cittadini con la violenza. 
Quanto strada c’è ancora da fare per sconfiggere la cultura  vecchia e sconfitta dalla Storia di chi non vuol vedere ancora oggi la mafia nel potere avendo paura di schierarsi…Quanta strada c’è da fare per limare quella criminalità che lega  politica, violenza, affari e che Falcone definiva “un fenomeno umano che ha avuto un inizio e quindi avrà una fine”…  Quella fine dipende, oggi più che mai, da tutti noi: ma, di fronte all’entusiasmo dei giovani arrivati a Palermo il 23 maggio da tutta Italia, di fronte a quelle navi della legalità che con i volti di Falcone e Borsellino abbiamo visto arrivare al porto di Palermo cariche di vita ed entusiasmo; di fronte a Maria Falcone che chiedeva che non ci fossero più reticenze o presunti segreti su trattative passate con la mafia, favorendo l’accertamento della verità, oggi è più che mai importante l’impegno delle istituzioni e delle forze politiche, del Governo e dei partiti. 
Per onorare lo sforzo di coesione e di condivisione storica sancito dal presidente Napolitano con  leggi e provvedimenti che favoriscano la lotta alla mafia, la legge contro la corruzione, ad esempio, quella per snellire le procedure per la confisca dei beni ai mafiosi condannati definitivamente e, lo ripetiamo come segno di buona volontà, l’istituzione del 21 marzo come giorno della Memoria e dell’Impegno  a nome di tutte le vittime di mafia, per la Verità e la Giustizia.

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