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Messico, la strage dei giornalisti

Di Gaetano Liardo* il . Internazionale

Come definirla se non strage? Giornalisti, fotografi, reporter, blogger, chiunque abbia la possibilità di scrivere o postare qualcosa in Messico è definito come un nemico da abbattere. I narcos vogliono il silenzio, e per ottenerlo uccidono. Quest’anno, secondo i dati dell’International Press Institute (Ipi) sono 4 i giornalisti uccisi in Messico. Nel 2011 sono stati 10, 12 nel 2010, 11 nel 2009. Dal 2006, anno in cui il presidente Felipe Calderon ha dichiarato guerra ai cartelli dei narcotrafficanti, ben 52 giornalisti sono morti. Fatti fuori per imporre il silenzio. Nello stesso periodo, secondo i dati ufficiali del Governo federale sono state uccise in Messico 48.000 persone. Una mattanza. Le colpe ricadono sia sui cartelli dei narcos, che sulle forze di polizia, spesso accusate dai giornali di essere corrotte e di partecipare al grande banchetto del traffico di stupefacenti.
Gli ultimi omicidi sono recenti. Lo scorso tre maggio nello stato di Veracruz sono stati trovati i corpi di Gabriel Huge Cordova, Guillermo Luna Varela e Esteban Rodriguez. Tutti fotografi, Huge si era ritirato dall’attività dopo che i narcos avevano ucciso i reporter con cui collaborava. Con loro è stato trovato il cadavere di Irasema Bacerra, impiegata amministrativa del giornale El Dictamen. Alcuni giorni prima è stata uccisa Regina Martinez, corrispondente dallo stato di Veracruz del giornale Proceso. Soltanto in questo Stato, denunciano i giornalisti della rete Periodistas de a pie, negli ultimi dieci mesi sono stati uccisi 8 giornalisti. Una situazione che mina la stabilità democratica di tutto il Messico. Gli attivisti della rete de Periodistas de a Pie, animatori di una campagna permanente a tutela dei giornalisti, insieme a numerose associazioni dello stato di Veracruz scrivono in una nota che: «Abbiamo richiamato il governo di Veracruz in reiterate occasioni affinchè implementi le misure di sicurezza al settore giornalistico così come a fare riconoscimenti pubblici sul lavoro che realizza». «Soprattutto – aggiungono gli attivisti – per  risolvere le investigazioni dei casi e sanzionare le persone responsabili delle aggressioni. Per questo motivo  – sottolineano –  insistiamo che le investigazioni siano portate fino alle ultime conseguenze, e si stabiliscano sanzioni adeguate come un messaggio contro l’impunità».
Un posizione simile a quella della sezione messicana di Amnesty International che in una nota: «Esprime seria preoccupazione per la sicurezza dei lavoratori dei media nello stato, e fa un richiamo alle autorità statali e federali affinchè forniscano misure di sicurezza efficaci per i giornalisti a rischio e per i loro familiari». Tuttavia Amnesty International va oltre, aggiungendo che: «Gli omicidi di Guillermo Luna, Gabriel Huge, Esteban Rodriguez non sono avvenuti senza preavviso. Secondo le informazioni raccolte da Amnesty International – si legge ancora – i nomi di questi giornalisti, insieme ad altri, sono apparsi in una lista circolata lo scorso anno con una minaccia nei loro confronti. Nonostante fossero informate di questa situazione le autorità statali non presero nessuna misura per assicurare protezione ai giornalisti a rischio, molti dei quali si videro costretti a abbandonare lo stato per motivi di sicurezza».
I giornalisti messicani, in questo modo, devono difendersi sia dai narcos che li attaccano perchè cercano di far luce sui loro sporchi affari, che dalle autorità statali, incompetenti, ma spesso anche colluse. Il caso esemplare è quello della giornalista Anabel Hernandez. Ha denunciato in un libro i rapporti tra politici e narcotrafficanti, e per questo ha ricevuto numerose minacce di morte. Da entrambe le parti chiamate in causa. A difesa della Hernandez si è mossa la società civile messicana e anche quella italiana, con un appello internazionale lanciato dall’associazione Libera. Nonostante ciò, la giornalista ha denunciato aggressioni e ripetute irruzioni in casa da parte delle forze di sicurezza con il pretesto di intimorirla.
Il Messico continua ad essere uno tra gli stati più pericolosi al mondo dove fare informazione, una situazione che deve necessariamente cambiare per impedire che il paese scivoli verso il collasso.
 
*Articolo dello speciale n°89 di “Verità e Giustizia” 

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