Stampa clandestina?
Oramai ci siamo, è questione di poche ore. Domani 10 maggio, la Cassazione deciderà la sorte dei blog (e non solo). Molti ricorderanno il caso di Carlo Ruta, storico, saggista e giornalista siciliano condannato nel 2008 dal tribunale di Modica per il reato di stampa clandestina, pronuncia confermata l’anno scorso dalla Corte di appello di Catania. Ruta aveva un blog, Accade in Sicilia, faceva – sì – informazione e inchieste, specie sulla Mafia. Poi il paradosso: incappato nelle ire non dei mafiosi, ma di un magistrato sentitosi offeso nella reputazione per uno scritto pubblicato su quel blog, sì è trovato a processo per diffamazione e stampa clandestina, reato ipotizzato proprio dal pm querelante.
In primo grado, il tribunale monocratico di Modica aveva concluso che Accade in Sicilia era una vera e proprio testata giornalistica, al pari di quelle cartacee, per di più periodica. E che, pertanto, da un lato doveva considerarsi “prodotto editoriale” ai sensi della famigerata l. 62/2001, dall’altro, proprio in quanto “stampa periodica”, doveva essere registrato presso il Tribunale competente, pena l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 16 della l. 47/48. Tesi completamente recepita anche in appello.
Sebbene non sia questa la sede per barbosi approfondimenti giuridici, credo, comunque, valga la pena di esporre le due critiche principali a questo castello:
– il giudice di primo grado ha negato l’applicabilità di una fondamentale quanto decisiva esenzione dall’obbligo di registrazione prevista dal d.lgs. 70/2003 sostenendo che essa è contemplata soltanto per la “società dell’informazione” la quale, a sua volta, sarebbe un’impresa, a struttura societaria, che si occupa di informazione, mentre il Ruta è una semplice persona fisica; so che molti lettori si sentiranno gelare il sangue, ma dovranno farsi una ragione che una parte non secondaria delle argomentazioni che stanno alla base della condanna si fondano su tale definizione;
– fortunatamente, la Cassazione, pur non essendosi, ad oggi, mai occupata della stampa clandestina telematica, ha già più volte detto che una pubblicazione Web non è di per sé stampa e che, addirittura, neppure alle testate registrate si applicano immediatamente le regole dalla carta (segnatamente, quelle sulla responsabilità del direttore).
Per tornare al pragmatico, cosa potrebbe accadere giovedì? Quali le conseguenze nel caso peggiore?
Quanto al primo quesito, a parte le remota ipotesi dell’inammissibilità del ricorso (declaratoria che osterebbe a qualsiasi approfondimento sui nostri temi giuridici), la Suprema Corte potrebbe annullare o, all’opposto, confermare la sentenza di appello, in entrambi i casi formulando un principio giuridico, vale a dire criticando o avallando il ragionamento dei giudici sottordinati.
A differenza di quanto accade negli Stati Uniti, qui da noi non esiste un rigido vincolo col precedente giurisprudenziale, ma una sentenza di Cassazione, anche non a sezioni unite, ha sempre il suo peso. Ecco perché il prossimo appuntamento è senza dubbio cruciale.
E se, dunque, la Cassazione dovesse confermare la linea dura? A prima vista, la registrazione di una testata potrebbe sembrare soltanto una spesa con molta burocrazia intorno, non una forma di censura preventiva. E va detto che è questa la risposta già data a suo tempo dalla Corte Costituzionale.
Ma fermo restando che ometterla, ove richiesta, costituisce illecito penale per le norme meglio viste, c’è da preoccuparsi per tutte le conseguenze non immediatamente evidenti che l’equiparazione alla stampa cartacea porterebbe con sé. Penso alla responsabilità dei “direttori”, agli obblighi di rettifica e via dicendo, ma sottolineerei due complicazioni di non poco conto che, alla fine, rischierebbero veramente di limitare la libera espressione del pensiero in capo a chi, dell’informazione non ne fa professione:
– quotidiani e periodici devono avere una certa struttura, in particolare un direttore con determinati requisiti, non certo propri di un semplice cittadino; per tacere dei costi se ci si rivolge a terzi;
– anche le pubblicazioni non periodiche devono riportare alcune indicazioni obbligatorie che, se omesse, conducono in tribunale, penale; pertanto, non basterebbe l’irregolarità delle “uscite”.
A conti fatti, una decisione conforme ai gradi precedenti non soltanto si dimostrerebbe giuridicamente imbarazzante (mi riferisco alla bizzarra definizione di “società dell’informazione”), ma anche iniqua e lesiva dei mai abbastanza santificati diritti espressi dall’art. 21 della nostra Costituzione e che non spettano ai soli giornalisti.
In primo grado, il tribunale monocratico di Modica aveva concluso che Accade in Sicilia era una vera e proprio testata giornalistica, al pari di quelle cartacee, per di più periodica. E che, pertanto, da un lato doveva considerarsi “prodotto editoriale” ai sensi della famigerata l. 62/2001, dall’altro, proprio in quanto “stampa periodica”, doveva essere registrato presso il Tribunale competente, pena l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 16 della l. 47/48. Tesi completamente recepita anche in appello.
Sebbene non sia questa la sede per barbosi approfondimenti giuridici, credo, comunque, valga la pena di esporre le due critiche principali a questo castello:
– il giudice di primo grado ha negato l’applicabilità di una fondamentale quanto decisiva esenzione dall’obbligo di registrazione prevista dal d.lgs. 70/2003 sostenendo che essa è contemplata soltanto per la “società dell’informazione” la quale, a sua volta, sarebbe un’impresa, a struttura societaria, che si occupa di informazione, mentre il Ruta è una semplice persona fisica; so che molti lettori si sentiranno gelare il sangue, ma dovranno farsi una ragione che una parte non secondaria delle argomentazioni che stanno alla base della condanna si fondano su tale definizione;
– fortunatamente, la Cassazione, pur non essendosi, ad oggi, mai occupata della stampa clandestina telematica, ha già più volte detto che una pubblicazione Web non è di per sé stampa e che, addirittura, neppure alle testate registrate si applicano immediatamente le regole dalla carta (segnatamente, quelle sulla responsabilità del direttore).
Per tornare al pragmatico, cosa potrebbe accadere giovedì? Quali le conseguenze nel caso peggiore?
Quanto al primo quesito, a parte le remota ipotesi dell’inammissibilità del ricorso (declaratoria che osterebbe a qualsiasi approfondimento sui nostri temi giuridici), la Suprema Corte potrebbe annullare o, all’opposto, confermare la sentenza di appello, in entrambi i casi formulando un principio giuridico, vale a dire criticando o avallando il ragionamento dei giudici sottordinati.
A differenza di quanto accade negli Stati Uniti, qui da noi non esiste un rigido vincolo col precedente giurisprudenziale, ma una sentenza di Cassazione, anche non a sezioni unite, ha sempre il suo peso. Ecco perché il prossimo appuntamento è senza dubbio cruciale.
E se, dunque, la Cassazione dovesse confermare la linea dura? A prima vista, la registrazione di una testata potrebbe sembrare soltanto una spesa con molta burocrazia intorno, non una forma di censura preventiva. E va detto che è questa la risposta già data a suo tempo dalla Corte Costituzionale.
Ma fermo restando che ometterla, ove richiesta, costituisce illecito penale per le norme meglio viste, c’è da preoccuparsi per tutte le conseguenze non immediatamente evidenti che l’equiparazione alla stampa carta
cea porterebbe con sé. Penso alla responsabilità dei “direttori”, agli obblighi di rettifica e via dicendo, ma sottolineerei due complicazioni di non poco conto che, alla fine, rischierebbero veramente di limitare la libera espressione del pensiero in capo a chi, dell’informazione non ne fa professione:
cea porterebbe con sé. Penso alla responsabilità dei “direttori”, agli obblighi di rettifica e via dicendo, ma sottolineerei due complicazioni di non poco conto che, alla fine, rischierebbero veramente di limitare la libera espressione del pensiero in capo a chi, dell’informazione non ne fa professione:
– quotidiani e periodici devono avere una certa struttura, in particolare un direttore con determinati requisiti, non certo propri di un semplice cittadino; per tacere dei costi se ci si rivolge a terzi;
– anche le pubblicazioni non periodiche devono riportare alcune indicazioni obbligatorie che, se omesse, conducono in tribunale, penale; pertanto, non basterebbe l’irregolarità delle “uscite”.
A conti fatti, una decisione conforme ai gradi precedenti non soltanto si dimostrerebbe giuridicamente imbarazzante (mi riferisco alla bizzarra definizione di “società dell’informazione”), ma anche iniqua e lesiva dei mai abbastanza santificati diritti espressi dall’art. 21 della nostra Costituzione e che non spettano ai soli giornalisti.
*Tratto da Articolo21
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