Il coraggio di Peppino e la forza di Felicia nel ricordo di Luisa Impastato
Anche a Cinisi, a 30 chilometri da Palermo, la mafia ha cambiato strategia. Non ci sono più morti ammazzati per strada, ma anche la sola memoria di Peppino Impastato, ucciso per ordine del boss Gaetano Badalamenti nel maggio del 1978, è scomoda e non suscita lo stesso rispetto del passaggio in paese del boss Procopio Di Maggio. Anche a Cinisi, che ospitò all’indomani della morte di Peppino la prima manifestazione antimafia del paese, cosa nostra ha mutato aspetto. Si proclama il lutto cittadino quando il 7 dicembre 2004 muore mamma Felicia, ma nessuno lo osserva; al suo funerale partecipano neanche cento persone che non saranno tra le diverse centinaia, invece, accorse all’estremo saluto di Peppone di Maggio. A Cinisi potrebbe capitare di chiedere dove sia la casa di Peppino Impastato, oggi Casa Memoria, e di ricevere invece le indicazioni della casa di Gaetano Badalamenti, esattamente “cento passi” più in là. A Cinisi Casa Memoria è meta di persone provenienti dalla Sicilia e da tutta Italia, ma non di chi ci passa davanti tutti i giorni e ne ha vissuto le vicende. Riscattato forse solo agli occhi dell’Italia ma non dei suoi cittadini, a seguito dell’interpretazione di Luigi Lo Cascio nel film di Marco Tullio Giordana, questo è il ritratto che del piccolo comune palermitano colgono gli occhi verde mare di Luisa Impastato, figlia di Giovanni, fratello di Peppino.
A Reggio Calabria per ricevere il premio Anassilaos alla memoria dello zio, la giovane ventunenne accompagnata dall’amica Mara Mansella, ha testimoniato l’urgenza di operare per non disperdere la memoria e la necessità di investire ogni energia per incidere sulla cultura. “La mafia si sconfigge con la cultura e non con la pistola”. Per descrivere questa necessità, la giovane Luisa richiama subito le parole della nonna Felicia, madre di Peppino. La cita spesso nel suo racconto, come esempio e figura di grande forza e determinazione.
Come ha cambiato la tua vita essere nipote di Peppino Impastato?
“Premetto che quando ho scoperto di avere uno zio così importante, ancora Peppino Impastato non era stato investito dall’ondata mediatica prodotta dal film di Giordana. Crescendo, mi sentivo comunque fiera di mio zio e sentivo di avere ricevuto un’eredità pesante ma bella. Dicono che io gli assomigli nel modo di scrivere e di pensare ma ancora oggi avverto una grande responsabilità di fronte alla quale spesso non mi sento all’altezza. Sono giovane e, purtroppo, non ho mai conosciuto mio zio Peppino ma le parole e i racconti instancabili di mia nonna, Felicia Bartolotta, che abitava di fronte a casa mia, mi hanno aiutato a colmare questo vuoto. Ogni domenica, anche l’ultima prima della sua morte, guardavamo il film “I cento passi”; per lei era fondamentale ricordare, era fondamentale denunciare, “ottenere giustizia e non vendetta”. Lo diceva sempre. Adesso io raccolgo il testimone e affianco mio padre Giovanni, fratello di Peppino, in questo lavoro di memoria. Bisogna educare e rinnovare le coscienze, ecco perchè mio padre ha svolto una intensa attività nelle scuole, proponendo l’educazione alla legalità come materia scolastica. Adesso vorrei cominciare anche io a farmi sentire”.
Che ricordo hai di nonna Felicia?
“Era una donna grandiosa. Una nonna che ha rappresentato una parte fondamentale della mia vita. Una mente lucida ed emancipata, nonostante l’età. Fin dalla drammatica morte di Peppino la sua missione è stata sempre quella di non dimenticare. Un esempio per me specie quando, costituitasi parte civile nel processo, puntò il dito contro Gaetano Badalamenti, collegato in video dagli Stati Uniti. Un momento di cui ho visto il filmato e che ancora oggi mi emoziona ricordare. Un momento forte, soprattutto se penso a tutte le operazioni di depistaggio finalizzate a mascherare il delitto di mafia, di cui mio zio era stato vittima, con un agguato terroristico o con un suicidio. Fu la forza di mia nonna, con il prezioso sostegno del Centro Siciliano di Documentazione “Peppino Impastato”, a rincorrere la verità quando forze avverse ne imponevano una diversa e distorta. Fu la forza di mia nonna a non diminuire, mentre le prove venivano manomesse e le indagini deviate”.
Potremmo dire che altre vittime di mafia abbandonate dai familiari, non hanno avuto giustizia perchè, inerte lo Stato, nessuno ha alzato la voce e preteso per loro giustizia?
“Indubbiamente sì. Se mia nonna non si fosse ribellata anche la storia di mio zio Peppino sarebbe stata presto archiviata. Mi viene in mente il coraggio di Rita Atria, testimone di giustizia rinnegata dalla madre e adesso ricordata solo dalla cognata Piera”.
In che cosa consiste il tuo impegno antimafia?
“La casa di nonna Felicia e di zio Peppino, oggi è diventata il riferimento dell’associazione Casa Memoria sempre aperta, come avrebbe voluto nonna. Siamo in pochi ad organizzare attività e in particolare a promuovere annualmente il Forum Antimafia in occasione dell’anniversario dell’uccisione di zio. Lo facciamo con grande convinzione e con la solidarietà di tutta l’Italia in un paese che ci ignora, che ci ha lasciati soli e in cui abbiamo, anche di recente, ricevuto delle intimidazioni”.
Cosa pensi dell’antimafia in Italia?
“Penso che la più efficace sia quella che parte dal basso, muovendo le coscienze”.
Recrimini qualcosa allo Stato?
“Recrimino il fatto che la mafia abbia radici nelle istituzioni, che lo Stato abbia offerto appoggi e sia connivente. La risposta a questa domanda risiede nel numero di personalità politiche indagate o imputate per mafia, nelle lungaggini della giustizia”.
La mafia viola i diritti?
“Si. Dal diritto del commerciante che deve pagare il pizzo a quello del cittadino che ancora ossequia la persona mafiosa che passeggia liberamente. Questo accade ancora a Palermo. Questo accade ancora a Cinisi”.
E’ giovane Luisa, studia lettere moderne e forse tornerà a sognare di fare l’insegnante. E’ giovane, ma la sua analisi non lascia molti margini per continuare ad illudersi che mafia sia sconfitta. Una preziosa lezione di chi, in un territorio controllato e in ostaggio, esercita la propria libertà di coscienza e invita tutti alla stessa fondamentale e irrinunciabile pratica per unire la memoria ad un concreto impegno quotidiano.
*L’intervista è stata pubblicata sul portale Strill.it –
Lunedì 17 Novembre 2008
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